I progressi raggiunti dai sistemi di intelligenza artificiale (IA), ormai in grado di creare contenuti come immagini, video, opere musicali o testi senza l’intervento dell’essere umano, hanno alimentato un dibattito sempre più acceso riguardo al loro impatto sulle violazioni e sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
L’intelligenza artificiale è ormai entrata nella nostra quotidianità e le macchine “intelligenti” hanno iniziato a svolgere anche autonomamente alcune azioni e compiti tipici dell’uomo quali dialogare, dipingere, comporre nuove melodie. Pensiamo ad esempio a ChatGPT, una chatbot in grado di conversare e produrre testi in linguaggio naturale, a Deepbeat, che produce nuove canzoni rap collegando tra loro frasi di altri brani, o ancora a Next Rembrandt, che genera nuovi quadri basandosi su un algoritmo in grado di identificare e riprodurre la tecnica e lo stile del noto pittore.
Date queste potenzialità, risulta chiaro che l’impatto dell’intelligenza artificiale sui diritti di proprietà intellettuale, è notevole e destinato ad essere sempre più significativo.
Nello specifico, si pongono due distinte questioni. Da un lato, infatti, si pone il problema relativo all’eventuale violazione dei diritti di proprietà intellettuale delle opere esistenti, e dall’altro si configurano numerosi dubbi circa l’attribuzione della titolarità dei diritti che sorgono sulle opere dell’ingegno (come le opere artistiche, musicali o letterarie) frutto dell’attività creativa dei sistemi intelligenti.
Violazione della proprietà intellettuale da parte dei sistemi di IA
Ad oggi, nonostante numerosi tentativi di delinearla entro confini precisi, non esiste ancora una definizione univoca dell’espressione “intelligenza artificiale”, data la vastità degli ambiti applicativi. L’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO) la definisce come una “disciplina dell’informatica che mira a sviluppare macchine e sistemi in grado di svolgere compiti che si ritiene richiedano l’intelligenza umana”, con un intervento limitato o nullo da parte dell’uomo.
Il cuore di un sistema di IA è il suo algoritmo di ragionamento/elaborazione delle informazioni, che prende come input i dati già presenti in enormi archivi di immagini e testi.
È qui che si pone il problema della violazione dei diritti di proprietà intellettuale delle opere esistenti: generando delle opere derivate che rielaborano quelle già tutelate dal diritto d’autore, le creazioni dell’intelligenza artificiale potrebbero incorrere nel reato di plagio.
In una causa depositata alla fine del 2022, Andersen v. Stability AI et al., tre artisti hanno avviato una class action per citare in giudizio diverse piattaforme di IA generativa sulla base del fatto che questa utilizza le loro opere originali senza licenza per addestrare l’IA ai loro stili, consentendo agli utenti di generare opere che potrebbero non essere sufficientemente trasformative rispetto ai loro lavori esistenti e protetti e, di conseguenza, opere derivate non autorizzate. Casi analoghi presentati nel 2023 riguardano la denuncia di aziende che hanno addestrato strumenti di IA utilizzando pool di dati con migliaia - o addirittura molti milioni - di opere non autorizzate. Getty, un servizio di licenze d’immagini, ha intentato una causa contro i creatori di Stable Diffusion per l’uso improprio delle sue foto violando i diritti d’autore e di marchio che detiene sulla sua collezione di fotografie filigranate.
In ognuno di questi casi, il sistema giuridico è chiamato a chiarire i limiti di ciò che è un “lavoro derivato” ai sensi delle leggi dello stato di competenza sulla proprietà intellettuale e, a seconda della giurisdizione, i diversi tribunali possono rispondere con interpretazioni diverse. Se un tribunale stabilisce che le opere dell’IA sono non autorizzate e derivate, possono essere applicate sanzioni sostanziali per violazione.
Tuttavia, ad oggi, non esiste ancora una normativa specifica in materia, né a livello internazionale, né di singoli Paesi, e quindi, i tribunali stanno ancora cercando di capire come applicare le leggi in vigore ad una materia del tutto nuova. La questione è ancora in divenire soprattutto per quanto riguarda l’attribuzione della responsabilità nel caso in cui venga appurato il plagio: ne deve rispondere il soggetto che utilizza il software, il produttore del software o entrambi?
La cosa migliore da fare, a questo punto, è mitigare i rischi, adottando misure per proteggersi sia a breve che a lungo termine. Gli sviluppatori di IA, ad esempio, devono assicurarsi di essere in regola con la legge per quanto riguarda l’acquisizione dei dati utilizzati per addestrare i loro modelli. Ciò dovrebbe comportare la concessione di licenze e la compensazione di coloro che possiedono la proprietà intellettuale che gli sviluppatori cercano di aggiungere ai loro dati di addestramento, sia attraverso la concessione di licenze che attraverso la condivisione dei ricavi generati dallo strumento di IA. I clienti degli strumenti di IA, a loro volta, dovrebbero chiedere ai fornitori se i loro modelli sono stati addestrati con contenuti protetti, esaminare i termini di servizio e le politiche sulla privacy ed evitare gli strumenti di IA generativa che non sono in grado di confermare che i loro dati di addestramento risultano adeguatamente concessi in licenza dai creatori di contenuti o soggetti a licenze open-source che le aziende di IA rispettano.
Tutela della proprietà intellettuale delle creazioni da parte di IA
Fino a qualche decennio fa, non era contemplata l’ipotesi che, oltre all’uomo, vi fosse qualcuno capace di realizzare un lavoro inedito o un’opera creativa, suscettibile di protezione dalle leggi sul diritto d’autore. In quasi tutti gli stati del mondo, infatti, le leggi in materia di proprietà intellettuale sono concordi nell’attribuire la tutela autorale solamente alle opere espressione della creatività della mente umana. Ma ora che l’intelligenza artificiale ha iniziato a dialogare, dipingere e comporre sorge spontaneo chiedersi: chi è titolare dei diritti d’autore delle opere “create” dall’IA?
In primo luogo, è fondamentale distinguere tra:
- opere ottenute dall’IA con l’assistenza dell’uomo e
- opere generate dall’IA autonomamente.
Mentre nel primo caso l’opera implica uno sforzo creativo umano e il diritto d’autore spetta alla persona fisica che ha dato origine a tale opera, il secondo caso pone delle problematiche come la difficoltà di identificare il titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera o l’impossibilità per un computer di esercitare in giudizio i propri diritti di proprietà intellettuale sulla stessa.
In ogni caso, la principale questione è legata al fatto che, al fine di godere della titolarità di un diritto è preliminarmente necessario essere in possesso della capacità giuridica, della quale le macchine sono sprovviste: la conseguenza è la complessità di riconoscere una qualche tutela in capo alle macchine “intelligenti”.
Al momento, tra le varie strade prospettate – non certo prive di criticità – vi è quella di attribuire la titolarità dell’opera creata dall’IA e i relativi diritti di sfruttamento economico al soggetto che ha ideato il software o a colui che ha trasmesso alla macchina i mezzi necessari per realizzarla.
Discorso a parte è quello che riguarda invece la brevettabilità dei sistemi di IA. L’articolo 52 della Convenzione sul brevetto europeo tutela le invenzioni “che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale”, escludendo esplicitamente i metodi matematici, tra cu rientrano gli algoritmi su cui si basano le IA, da tale categoria. Tuttavia, il paragrafo 3 dell’articolo 52 contiene le premesse per la brevettabilità di algoritmi che siano utilizzati come parte di un sistema di IA che contribuisce a produrre un effetto tecnico ulteriore: se il metodo matematico è parte di un sistema più complesso, che abbia tutti gli elementi delle invenzioni stabiliti nel primo paragrafo dell’articolo 52 (novità, attività inventiva e applicazione industriale), allora l’intero sistema è brevettabile, comprensivo del metodo matematico utilizzato. Ai sensi della normativa vigente, dunque, sembrerebbe che possa essere brevettato un sistema di intelligenza artificiale nel suo complesso, se rispetta i requisiti detti sopra, ma non l’algoritmo in sé.
È indubbio che la strada verso il riconoscimento di una qualche tutela alle opere create dall’IA è ancora lunga, ma è di buon auspicio la recente proposta di Regolamento in materia di intelligenza artificiale presentata dalla Commissione Europea, volta a promuovere l’adozione dell’IA tramite regole comuni a tutti gli Stati Membri, affrontando i rischi associati a determinati utilizzi di tale tecnologia. È auspicabile che il legislatore trovi presto una tutela giuridica efficace capace di proteggerne i lavori creativi, senza che ciò comporti ripercussioni negative sugli incentivi per i creatori umani, salvaguardandone i valori e diritti.
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Durante il webinar, verrà presentato il case history di un’azienda che ha sfruttato con successo i servizi di Intelligenza Artificiale per identificare e acquisire nuovi clienti a livello internazionale: una testimonianza pratica di come l’IA possa trasformare radicalmente le dinamiche commerciali globali.
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Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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