Origine non Preferenziale e Made in: i Rischi di una Cattiva Attribuzione ed il Webinar per Fare Chiarezza

Origine non Preferenziale e Made in: i Rischi di una Cattiva Attribuzione ed il Webinar per Fare Chiarezza

06 Aprile 2023 Categoria: Logistica, Dogane e Supply Chain

Esportare impreparati sull’attribuzione della definizione di origine non preferenziale o Made in può costare molto caro, anche in termini di sanzioni penali. Il webinar gratuito di Overy che si svolgerà il 13 aprile può aiutare a fare chiarezza sulla questione. 

I professionisti di Overy, società di consulenza doganale strategica che eroga percorsi di formazione customizzati su temi doganali per aziende e professionisti, vanta un calendario di webinar gratuiti diretti a imprenditori e addetti ai lavori che costituiscono un primo approccio piuttosto approfondito su alcuni aspetti specifici della materia doganale.

L’approccio dei relatori, Lucia Iannuzzi e Paolo Massari, international trade advisors e co-fondatori di Overy, è molto pratico: i due fanno chiarezza su aspetti tecnici con un linguaggio chiaro, basando la loro relazione su esempi pratici e case history, per poi concludere stimolando la discussione su aspetti più generali, riferendosi all’attualità in tema di commercio e politica economica internazionale.

Il prossimo appuntamento, previsto per il 13 aprile, si concentrerà su Origine preferenziale e Made in: facciamo un passo indietro e stabiliamo le basi per parlare di questi due temi strettamente connessi tra loro.

Origine non preferenziale e Made in: le differenze

Iniziamo subito col definire cos’è l’origine non preferenziale: «Tutte le volte che si identifica l’origine non preferenziale con il Made in lo si fa per semplicità, al fine di differenziarla da quella preferenziale. - spiega Paolo Massari - Non si compie un grande errore se si tiene presente che per made in, appunto, non intendiamo prodotto in, bensì - appunto - rispondente alle regole dettate dal legislatore unionale in materia d’origine».

Il made in di per sé non ha valenza tributaria, ma è ormai un concetto entrato a tutti gli effetti nel commercio internazionale, soprattutto in settori come il tessile, l’enogastronomico ed i beni di lusso, tanto da riuscire ad orientare le scelte del consumatore finale. L’origine non preferenziale, invece, è un istituto con valenza tributaria e legale, rispondente a canoni stabiliti dal Codice doganale unionale.

Ma chiariamo subito un concetto, l’indicazione di origine è obbligatoria?

«Ad eccezione di specifici prodotti (ad es., a titolo esemplificativo e non esaustivo, medico-sanitari, agricoli, alimentari e cosmetici), non esistono norme, né a livello nazionale, né a livello comunitario, che impongono l’adozione di diciture indicanti l’origine geografica dei prodotti che sono importati e messi in circolazione in Italia e nella UE», aggiunge Lucia Iannuzzi. «Tuttavia, se l’origine geografica è indicata deve essere veritiera e corretta: esistono, infatti, norme che sanzionano, a livello penale e amministrativo, l’indicazione di origine geografica al consumatore falsa o ingannevole».

Falsa e fallace indicazione d’origine: le sanzioni penali

La madre di tutte le norme in materia è l’art. 517, c.p.: “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro”.

«Nello specifico per il Made in Italy, la nozione di “falsa o fallace indicazione di provenienza o di origine”, introdotta dal legislatore, è stata chiarita dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale ha spiegato come la falsa indicazione consiste nella stampigliatura della dicitura “Made in Italy” su prodotti e merci che non abbiano una origine italiana, dove per determinare quest’ultima deve farsi riferimento alle disposizioni doganali in tema di origine non preferenziale. Mentre per fallace indicazione s’intende l’apposizione, su prodotti privi di indicazioni di origine, di segni, figure o quant’altro, tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana, ovvero l’apposizione, su prodotti sui quali è indicata una origine e provenienza estera, di segni, figure o quant’altro, tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana», spiegano i due esperti.

Ma chi deve occuparsi di apporre la corretta dicitura di origine e quando?

Abbiamo già visto che l’indicazione non è obbligatoria per i prodotti che circolano all’interno dell’Unione Europea. E’ obbligatoria, invece, quando travalica i confini unionali e, soprattutto, è immutabile, per quante volte il prodotto venga rivenduto, anche in Paesi diversi, a meno che non subisca una trasformazione sostanziale, rientrando in libera pratica sotto nuova forma.

«Le informazioni sulla effettiva origine devono sempre accompagnare i prodotti sui quali è apposto il marchio (registrato o non registrato) che possa indurre il consumatore a ritenere gli stessi italiani, sempre continuando a parlare di Made in Italy, ai sensi della normativa europea sull’origine. Sono necessari, al contrario, ulteriori artifici o raggiri per integrare l’ipotesi di uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, avente rilevanza penale», aggiungono Iannuzzi e Massari. «Qualora tali informazioni non possano essere rese prima della fase della commercializzazione del prodotto, all’atto della sua immissione in libera pratica o in consumo, il titolare del marchio o il licenziatario potranno comunque, al momento della sua presentazione in dogana, impegnarsi, grazie ad una specifica attestazione, a fornire, in fase di commercializzazione, le informazioni ai consumatori sull’effettiva origine estera del prodotto».

E’ quindi fondamentale conoscere le regole d’origine, saper consultare i codici che le regolano ed essere sempre aggiornati sulle interpretazioni della giurisprudenza in materia d’origine per poter immettere sul mercato estero un prodotto che non corra nessun rischio (e che non ne faccia correre al titolare del marchio), ma che al contempo possa godere della riconoscibilità che il Made in Italy ha in tutto il mondo: «una storia di idee, un sinonimo di cura del dettaglio e di fantasia del disegno, un richiamo, semplice e diretto, ad una cultura del saper vivere, prima ancora che del saper produrre», concludono i due esperti.

Esportare impreparati su questo punto può costare molto caro, come abbiamo già visto. L’appuntamento per chi volesse approfondire è il prossimo 13 aprile alle ore 11:30 con il webinar gratuito di Overy su Origine non preferenziale e Made in. Iscrizione gratuita seguendo questo link.

A cura di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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