Quando il Regno Unito ha abbandonato politicamente l’Unione europea, ormai 3 anni fa, si è ripresentato all’attenzione dei negoziatori, in primis, e a quella internazionale, poi, il “problema Irlanda”, un’isola tanto bella, quanto dal destino difficile.
Principio guida della negoziazione, irrinunciabile: garantire il rispetto di quanto concordato nell’Accordo del Venerdì Santo, siglato a Belfast il 10 aprile 1998, che aveva riportato pace duratura dopo una lunga guerra religiosa, a patto che non vi fosse alcun confine terrestre tra EIRE e Irlanda del Nord, nessun muro che dividesse le due anime (quella unionale e quella britannica) dell’isola.
Allora la soluzione fu, in sintesi:
- l’Irlanda del Nord fa parte del Regno Unito;
- l’Irlanda del Nord è parte del territorio doganale del Regno Unito;
- i cittadini dell’Irlanda del Nord hanno lo status di cittadini unionali;
- l’Irlanda del Nord applica la normativa doganale unionale;
- nessun confine terrestre è stabilito tra EIRE e Irlanda del Nord;
- non sono previsti dazi per gli spostamenti di merci tra il Regno Unito e l’Irlanda del Nord e tra la UE e l’Irlanda del Nord.
Ma, dopo la Brexit, dal momento che l’Irlanda del Nord apparteneva politicamente al Regno Unito ma non possedeva alcun confine con l’EIRE, si rendeva necessario trovare una linea separatrice, visto che la Gran Bretagna era diventata a tutti gli effetti un Paese terzo. Ed è stata trovata. In mare aperto, con controlli doganali nei porti e negli aeroporti e nessun segnale visibile di divisione del popolo irlandese.
Ma le verifiche alla frontiera sui prodotti in arrivo dal Regno Unito costano, sia in termini economici, sia in termini di tempo, le consegne ai punti vendita rallentano, le vendite online risentono del nuovo assetto, i lealisti protestanti sentono vacillare la loro identità britannica e le proteste crescono. Tanto che il Regno Unito inizia a manifestare una aperta insoddisfazione sull’applicazione del Protocollo e nel documento “Northern Ireland Protocol: the way forward” (luglio 2021) propone: nessuna restrizione agli scambi UK-Irlanda del Nord, controlli solo sulle merci destinate al mercato unionale, esautoramento del potere della Corte di giustizia e revisione dei processi decisionali che coinvolga maggiormente la politica dell’isola.
La UE recepisce il malcontento, concorda su una modifica del Protocollo, pur utilizzando il meccanismo di revisione previsto nello stesso, e offre al Regno Unito un accordo agroalimentare in stile svizzero, che eliminerebbe la maggior parte dei controlli sugli scambi tra UK e Irlanda del Nord.
E poi c’è il problema medicinali: Il protocollo prevedeva che alcune funzioni di conformità normativa dei medicinali fossero eseguite proprio nell’isola o nella UE, piuttosto che in Gran Bretagna; ma l’Irlanda del Nord acquista la maggior parte dei suoi medicinali dai distributori localizzati in Gran Bretagna e l’approvvigionamento è divenuto più complicato e costoso. E’ un aspetto da rivedere, dice la Commissione europea.
E mentre la UE pensa, il Regno Unito, per due volte (dapprima a marzo, poi a settembre 2021) posticipa l’entrata in vigore definitiva delle procedure di controllo previste dall’Accordo di recesso e dal protocollo Irlanda/Irlanda del Nord e per due volte la UE minaccia una procedura di infrazione.
Il suo timore? Che l’Irlanda del Nord si trasformi in una sorta di “finestra”, dalla quale far entrare nell’Unione tutti i prodotti che non sono riusciti a passare dalla porta principale. In che modo? Importando , senza controllo, in Gran Bretagna; trasferendo , sempre in assenza di controllo, in Irlanda del Nord; e immettendo sul mercato unionale, sempre senza controllo, dall’EIRE, che fa parte a tutti gli effetti dell’Unione europea.
Tutti concordano sulla necessità di una modifica del Protocollo, ma nessuna delle due parti sembra pronta ad accettare la posizione dell’altra e si muove autonomamente.
Fino a pochi giorni fa, fino al Windsor Framework, l’accordo siglato dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen e dal premier britannico Sunak il 28 febbraio scorso.
A questo punto si delineano due corsie: per i beni provenienti dal Regno Unito e destinati alla UE o a rischio di entrare nella UE, controlli e regole doganali, sanitarie e fitosanitarie as usual; per i beni provenienti dal Regno Unito e destinati a rimanere in Irlanda del Nord, requisiti e processi drasticamente più semplici, necessità di un numero ridotto di dati e informazioni per lo spostamento, applicabilità delle regole sanitarie e fitosanitarie UK, nessuna regola di origine richiesta, procedure semplificate per il settore agri-food. La UE mantiene la possibilità di controllare il rispetto delle disposizioni e, eventualmente, di sospenderne l’applicazione in presenza di rischi o abusi. I medicinali saranno soggetti alla medesima disciplina, anche autorizzativa, applicabile in UK, compresi i requisiti di etichettatura “UK only”.
L’accordo dev’essere ancora votato dal Parlamento di Westminster, ma ci sono tutti i presupposti affinché diventi effettivo, sancendo così un momento storico per gli equilibri economico-politici del triangolo UK-UE-Irlanda del Nord, a 25 anni dall’accordo del Venerdì Santo.
Che sia la volta buona?
Fonte: di Lucia Iannuzzi e Paolo Massari, consulenti doganali e fondatori di C-Trade e Overy
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