SACE Presenta la Mappa dei Rischi 2023: Nuove Opportunità in un Contesto di “Fragile Stabilità

SACE Presenta la Mappa dei Rischi 2023: Nuove Opportunità in un Contesto di “Fragile Stabilità

10 Febbraio 2023 Categoria: Marketing Internazionale

SACE ha presentato ieri la nuova Mappa dei Rischi 2023 che dipinge un mondo post-pandemico sempre più fluido e incerto, un mondo “fragilmente stabile” in cui i rischi per chi esporta si fanno sempre più intensi, ma anche le opportunità di crescita (sostenibile) per chi sa accettare nuove sfide si moltiplicano.

Se prima del 2020 il verificarsi dei cosiddetti “cigni neri”, ovvero di quegli eventi talmente rari ed imprevedibili da sembrare quasi impossibili, era in effetti altamente improbabile, negli ultimi 3 anni le cose sono cambiate. Fatti inattesi e purtroppo negativi sono deflagrati improvvisamente cambiando inesorabilmente l’esistenza dell’uomo e anche gli equilibri tra i popoli, tra le comunità, tra le persone, e con la natura.

Parliamo di quei tre shock dalla portata straordinaria, come li ha definiti ieri Alessandro Terzulli, Chief Economist di SACE, alla presentazione della Mappa dei Rischi 2023, che sono stati l’emergenza pandemica, l’invasione russa dell’Ucraina con conseguente crisi energetica e alimentare, il ritorno dell’inflazione sostenuta e la fine delle politiche monetarie ultra-espansive.

Senza dimenticare gli eventi naturali estremi legati al cambiamento climatico, divenuti sempre più frequenti, diffusi e repentini e capaci di generare impatti fortemente negativi sugli equilibri socioeconomici non solo locali ma anche internazionali.

Eventi che, volente o nolente, hanno (ulteriormente) minato la stabilità del sistema geo-politico-economico mondiale, tanto che alcuni osservatori hanno coniato il termine di “permacrisi”, per enfatizzare uno stato permanente di elevata incertezza su scala globale che si riflette sul deterioramento del clima di fiducia e dell’attività economica.

Il 2023 si preannuncia come un anno in cui continuerà a perdurare uno stato di fragilità che rallenterà l’attività economica globale e il commercio internazionale. Secondo le principali istituzioni internazionali, infatti, per quest’anno le prospettive economiche mondiali risultano ancora in deterioramento principalmente per il possibile materializzarsi degli effetti di condizioni finanziarie globali meno favorevoli, in un quadro di politica fiscale caratterizzato da spazi di manovra in graduale ridimensionamento; a ciò si aggiungono la progressiva erosione del potere d’acquisto delle famiglie e il rallentamento atteso della produzione industriale. In uno scenario base, ossia a maggiore probabilità di accadimento, il ritmo di crescita del Pil mondiale nel 2023 è previsto in calo a +1,3% secondo Oxford Economics, di oltre due punti percentuali inferiore rispetto alle proiezioni pre-guerra. Se questa previsione fosse confermata, nel 2023 il Pil mondiale segnerebbe il tasso di crescita più contenuto nella storia recente.

A risentirne maggiormente saranno i volumi degli scambi internazionali di beni e di servizi. Sui primi (attesi in lieve flessione) pesano la debolezza della domanda, oltre che un rallentamento fisiologico dopo le performance molto positive dello scorso biennio, e lo spostamento delle preferenze dei consumatori verso i servizi; i secondi (rivisti fortemente al ribasso, anche se in recupero), continueranno a beneficiare, in particolare, della vivace ripresa dei flussi turistici e delle attività legate ai viaggi (specie di lunga distanza) e al canale dell’ospitalità.

Per questi motivi, oggi più che mai, le imprese italiane che vogliono continuare ad esportare ed investire all’estero devono calcolare i rischi ed in questo senso la mappa interattiva che Sace aggiorna ogni anno, e che delinea i profili di rischio in circa 200 mercati esteri, diventa uno strumento imprescindibile.

LA MAPPA DEI RISCHI 2023

La Mappa si avvale di un set di indicatori che valutano il rischio di credito, il rischio politico, il rischio di cambiamento climatico, e da quest’anno si arricchisce anche di nuovi indici di rischio: uno è relativo alle sanzioni applicate in alcuni Paesi (navigando il tool online della Risk & Export Map è possibile visualizzare che tipo di sanzioni vengono applicate sul Paese di interesse) e l’altro è l’indicatore sintetico di “Transizione Energetica” sviluppato in collaborazione con Fondazione Enel. 

L’analisi del rischio su cui si basa la mappa assegna a ciascuno dei 194 paesi analizzati un punteggio da 0 a 100 – laddove 0 è il rischio minimo e 100 il rischio massimo – per ciascun indicatore di rischio. 

Rischio di credito

Questo indicatore misura la probabilità che la controparte estera – sovrana, bancaria o corporate – non sia in grado di soddisfare gli oneri dei contratti commerciali o finanziari.

Il principale fattore discriminante dei cambiamenti nei profili di rischio del credito, sebbene non l’unico, è legato ai prezzi delle commodity energetiche e alimentari, impattati dal conflitto tra Russia e Ucraina (che vede la prima – principalmente per effetto delle sanzioni internazionali – raggiungere il livello massimo di rischiosità).

In 57 paesi il livello di rischio è diminuito rispetto al 2022, che si attestano per lo più in medio Oriente, in relazione alle geografie produttrici di commodity dell’energia che hanno registrato un immediato beneficio dall’aumento dei prezzi, con ricadute positive sulle finanze pubbliche, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Malesia e Brasile.

Sono 72 i paesi stabili. Si tratta di quelle geografie con una situazione economico-finanziaria consolidata e risorse adeguate per gestire eventuali peggioramenti dello scenario globale (tra cui India, Vietnam, Messico e diversi Paesi avanzati, come Germania e Francia). Bene Portogallo e Grecia in cui il dato di rischio diminuisce sensibilmente.

Sono ben 65 le geografie in cui il livello di rischio è aumentato. Si tratta per lo più di economie importatrici, spesso con debolezze strutturali e contesti operativi fragili. Parliamo di molti paesi africani, come Ghana ed Etiopia che stanno subendo le ricadute delle politiche post pandemiche e della dipendenza dai capitali esteri. Frena anche il Kenya a causa delle limitate risorse da destinare a politiche di supporto. Nonostante le esportazioni energetiche anche l’Egitto vede peggiorare il proprio score a causa dell’impatto della guerra sull’approvvigionamento di materie prime agricole e sul market sentiment. In Tunisia si registra un peggioramento della situazione economica in tutti i comparti.

Rischio Politico

Gli indicatori comprendono i rischi di guerra, disordini civili e violenza politica, i rischi di esproprio e di violazioni contrattuali e i rischi di restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari. Si fotografa un peggioramento del contesto globale, in particolare nella componente di violenza politica. Dei 194 Paesi analizzati, 35 migliorano, 71 sono stabili e 88 peggiorano.

In particolare, si osserva un forte deterioramento per i Paesi direttamente coinvolti nel conflitto russo-ucraino e nelle aree limitrofe dell’Est Europa e CSI, ma anche in altre aree come riflesso dell’inasprimento delle tensioni sociali dovute all’aumento del costo della vita in contesti economici sotto pressione: dal Nord Africa (Tunisia ed Egitto su tutti) all’Asia (con Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh) passando per l’Africa Subsahariana (tra cui Nigeria e Sudafrica), senza tralasciare l’America Latina (Colombia, Brasile e soprattutto Perù). L’aumento dei prezzi in Paesi a basso reddito, in un contesto di misure economiche restrittive adottate in risposta al deterioramento delle posizioni con l’estero, rischia infatti di riflettersi in maggiori proteste popolari. Sottostanti a tali peggioramenti vi sono anche questioni irrisolte da tempo e legate al deterioramento del contesto di benessere sociale, elemento fondamentale di stabilità dei sistemi socio-economici e garanzia del loro sviluppo sostenibile.

In termini di rischio politicO, una sfida significativa per quasi tutte le principali economie sarà trovare l’equilibrio tra la necessità di frenare l’inflazione e le pressioni sociali dovute all’aumento del costo della vita. 

Rischio di cambiamento climatico

Anche gli eventi naturali estremi legati al cambiamento climatico, divenuti sempre più frequenti, diffusi e repentini, generano impatti fortemente negativi sugli equilibri socio-economici non solo locali ma anche internazionali, e sono quindi fattori sempre più integrati nelle valutazioni del rischio d’impresa. Gli indicatori di rischio climatico presentano un diffuso deterioramento.

L’Asia è la più esposta al rischio di fenomeni naturali avversi a causa di temperature in aumento due volte più rapidamente rispetto alla media globale. India e Bangladesh sono le geografie con il più alto indice di rischio climatico dell’area e colpite da eventi ricorrenti e di forte entità in termini di perdite umane ed economiche.
Il surriscaldamento globale espone poi alcune aree dell’Asia a fenomeni di estrema siccità, come quelli che hanno interessato la Cina nei mesi estivi del 2022 danneggiando la produzione agricola e causando anche una crisi energetica nel Paese, con ripercussioni negative sulla produzione industriale.

L’Africa Subsahariana riporta un cospicuo aumento degli indicatori di rischio climatico, con dinamiche differenti nei vari quadranti regionali. Eventi alluvionali hanno colpito ad aprile il Sudafrica e la Nigeria oltre a vari paesi dell’Africa occidentale causando 1,3 milioni di sfollati. Problema contrario lo si registra in Etiopia, Kenya, Somalia e Tanzania, vittime della siccità che si protrae dal 2020, e gli score sono in aumento. Altri fenomeni riconducibili ai cambiamenti climatici, quali la desertificazione del Sahel, i cicloni, l’invasione di locuste in Africa orientale nel 2020, mostrano le varie facce di un problema sempre più al centro del policy making dei governi africani, le cui economie dipendono ancora in gran parte dall’agricoltura di sussistenza. Eventi climatici estremi mettono inoltre a repentaglio la sicurezza energetica, come in Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Uganda, Zambia e Mozambico, che producono oltre tre quarti della propria energia tramite idroelettrico.

Transizione Energetica: a che punto siamo?

La necessità di fare fronte a queste problematiche, in un quadro condizionato dalla rottura delle relazioni energetiche tra Ue e Russia, ha dato ulteriore impulso al processo di transizione energetica, divenuta una priorità imprescindibile su cui investire per rafforzare la capacità di resilienza e costruire vie di crescita sostenibile.

Gli indicatori di transizione energetica mostrano un parziale miglioramento, a conferma dell’irreversibilità di un processo che non solo “tiene” di fronte anche alle più complesse condizioni economiche e geopolitiche su scala globale, ma che anche rappresenta l’unica alternativa al modello energetico attuale. Europa e America Latina confermano la maturità di un processo di transizione, con andamenti particolarmente positivi degli indicatori; miglioramenti anche per Stati Uniti, Cina e India e ritardi per i Paesi esportatori di fossili. In particolare, il miglioramento degli indici di transizione energetica è trainato dall’indicatore delle rinnovabili (soprattutto generazione fotovoltaica ed eolica) che ha visto per la prima lo scorso anno registrare un valore di investimenti per la prima superiore a quello in fonti fossili.

Incertezza geopolitica, allerta climatica ed energetica: è questo quindi il nuovo stato di instabilità persistente quello delineato dalla Mappa dei Rischi 2023 di SACE. Un mondo post-pandemico sempre più fluido e incerto, in cui i rischi politici si fanno più intensi e i rischi di credito restano stabili ma non recuperano il terreno perso dopo tre anni di shock avversi. Un mondo segnato da sfide di portata inedita, in cui sostenibilità e transizione energetica sono ormai priorità imprescindibili su cui investire per sviluppare resilienza e costruire vie di crescita futura.

Fonte: a cura della redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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