A distanza di cinque anni dall’entrata in vigore del Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) tra Canada e Unione Europea, l’accordo di libero scambio che ha eliminato la quasi totalità dei dazi sui beni e ha permesso l’accesso preferenziale al mercato dei servizi, Sace ha tracciato un primo bilancio sugli effetti dell’accordo nell’interscambio tra Canada e Italia.
SACE ha analizzato i dati sul commercio internazionale, rilevando come anche grazie al CETA i rapporti tra Italia e Canada siano ulteriormente migliorati. Nel 2021, infatti, le esportazioni italiane verso Ottawa hanno raggiunto i 4,8 miliardi di Euro, segnando una crescita media annua tra il 2017 e il 2021 del +5,5%, superiore di oltre un punto percentuale rispetto alla performance del Made in Italy verso il mondo. Sempre sulla base dei dati dello stesso periodo, il mercato canadese è diventato la nostra 10a destinazione Extra-UE, risalendo di quattro posizioni. La quota di mercato italiana nel Paese, inoltre, è salita da 1,03 a 1,16. Anche i dati parziali di quest’anno confermano tale buona dinamica: +28,8% per il nostro export nel primo semestre rispetto allo stesso periodo del 2021.
Nel dettaglio, circa il 60% dei beni italiani importati dal Canada (corrispondente a 3,7 miliardi di Euro nel 2020) è soggetto a un dazio pari a zero secondo la Clausola della Nazione Più Favorita (MFN), la restante parte invece è ammissibile nel regime preferenziale CETA. Nel 2020 (ultimo dato disponibile) le merci italiane effettivamente esportate sotto il regime CETA erano pari a 1,5 miliardi di Euro, determinando un PUR del 69,1%, ampiamente superiore a quello dei prodotti europei (55,2%) e in crescita rispetto agli anni precedenti ma con spazi di miglioramento. Tassi superiori all’80% si riscontrano per comparti quali prodotti alimentari lavorati, piastrelle in ceramica e lavori in vetro e pietra; mentre per importanti settori di import dall’Italia, quali tessile e abbigliamento, calzature e mezzi di trasporto il PUR è decisamente inferiore, intorno al 65%. Ciò potrebbe riflettere il fatto che per filiere relativamente ben monitorate, come quella alimentare, è meno oneroso dimostrare l’origine preferenziale; al contrario, per filiere maggiormente frammentate e caratterizzate da un’elevata incidenza di input produttivi importati, può essere più complicato soddisfare i requisiti. Non solo l’export di beni ha tratto vantaggio dall’accordo, ma dal 2018, primo anno completo dall’applicazione del CETA, si sono registrati significativi flussi di investimenti italiani diretti in Canada (in media annua, 500 milioni di euro tra 2018 e 2021 contro 153 milioni nel periodo 2014-2017); lo scorso anno lo stock di IDE ha raggiunto 4,5 miliardi di euro. Inoltre, le facilitazioni concesse alle imprese europee per accedere agli appalti e investire in questo mercato continuano a offrire importanti opportunità alla luce anche dei piani infrastrutturali promossi dal Paese, ad esempio quello del Québec 2022-2032 da 142,5 miliardi di dollari.
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it
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