In occasione della 7° giornata mondiale delle fiere, Aefi ha presentato i dati del comparto fieristico nazionale, evidenziando come il settore sia tra i principali filoni di business del Paese e come gli enti fieristici stanno puntando al rinnovamento.
Le fiere rappresentano non solo un accelleratore di business ma sono anche uno dei principali motori che spinge il turismo d’affari alto-spendente, servizi specializzati e posti di lavoro. Un settore, quello fieristico, che con i soli eventi nazionali e internazionali genera un indotto - tra servizi, trasporti e ospitalità e salari - di circa 22,5 miliardi di Euro l’anno e un valore aggiunto stimato in 10,6 miliardi di Euro, pari allo 0,7% del PIL. Senza considerare il giro d’affari che le imprese espositrici sviluppano durante le fiere.
“I numeri che emergono dallo studio Prometeia – ha detto il presidente di Aefi, Maurizio Danese - confermano in modo lampante come la 4^ industria fieristica al mondo sia prima di tutto un incubatore naturale di business per i distretti industriali italiani e poi una leva di indotto ad alto valore aggiunto in favore dei territori. Ora, per il post emergenza, il sistema punta sul rinnovamento: una fase cruciale per superare la frammentarietà attraverso alleanze strategiche fondate sui prodotti, salvaguardando i territori e il valore aggiunto prodotto sugli stessi. La strada verso nuove alleanze – ha concluso Danese – è tracciata, un percorso che vogliamo fare anche attraverso la costituzione di un tavolo con il Governo per l’attuazione di un piano fieristico nazionale condiviso”.
Un B2B fieristico che ogni anno occupa decine di migliaia di imprese del Made in Italy in grado di performare 7 volte meglio rispetto al complesso dell’economia italiana (+2% vs +0,3% la crescita media annua del fatturato dal 2012 al 2019). Un’over performance a cui il sistema fieristico ha contribuito particolarmente. Per la prima volta, è stato infatti possibile stimare – grazie a un’analisi d’impatto condotta su un campione di oltre 25 mila imprese espositrici (responsabili del 13% della produzione nazionale) confrontate con un panel di realtà simili che non partecipano a manifestazioni fieristiche – il vantaggio ottenuto dalle aziende che, fra il 2012 e il 2019, hanno creduto nelle fiere: 12,6 punti di crescita cumulata in più delle vendite e 0,7 punti di marginalità lorda (Ebitda) in più, rispetto a chi non ha partecipato. L’analisi d’impatto, mai così ampia per il settore grazie alla rilevanza numerica del campione, ha poi confrontato le performance delle imprese nelle varie filiere produttive. In questo caso le aziende dell’agroalimentare che partecipano alle manifestazioni sono quelle che hanno realizzato i risultati migliori in termini di extra-crescita dell’attività (+20,5%). Ma anche nei settori produttori di beni intermedi (come la meccanica) si registrano benefici superiori alla media (+14,4%).
Secondo lo studio, il valore della produzione delle fiere italiane si attesta a 1,4 miliardi di euro, con 3.700 addetti diretti, circa 200 manifestazioni internazionali e oltre 220 nazionali organizzate ogni anno, per un totale di 12,6 milioni di visitatori (che salgono a 20 milioni con gli eventi locali, fonte: Aefi). Un sistema fieristico (secondo in Europa dietro a quello tedesco), colpito duramente dai lockdown, con una perdita del -63% di fatturato nel 2020 (un calo ancora più intenso rispetto alla media europea) ma con un ruolo imprescindibile per l’economia italiana. Il comparto attiva infatti direttamente un valore della produzione pari a 8,9 miliardi di euro a cui corrispondono 4,3 miliardi di euro di valore aggiunto e 96 mila addetti, che salgono a 22,5 miliardi di produzione, 10,6 di valore aggiunto e 203 mila occupati se si considerano anche gli impatti indiretti e indotti.
In altri termini, le fiere operano con un moltiplicatore di 2,4: ogni euro di valore aggiunto generato direttamente dal sistema fieristico (da espositori, organizzatori e visitatori), ne produce ulteriori 1,4 nell’economia nazionale. Guardando all’occupazione, gli effetti sono solo leggermente inferiori (qui il moltiplicatore è infatti 2,1), con ogni posto di lavoro diretto del sistema a sostenerne altri 1.1 in Italia. Gli effetti moltiplicativi ottenuti sono in linea rispetto a quelli stimati di recente per l’industria fieristica europea, ma superiori a quelli evidenziati per i sistemi britannico e spagnolo. In considerazione della significativa, pur se parziale, ‘confrontabilità metodologica’ fra i risultati ottenuti per l’Italia e quelli ottenuti su scala europea, emerge come circa il 20% del valore complessivo generato dal sistema fieristico europeo sia verosimilmente «Made in Italy».
Aefi, i cui soci hanno contribuito proattivamente alla costruzione di un database complessivo composto da 60 mila imprese che offrirà altre possibilità di analisi sugli effetti del sistema sul made in Italy, esprime quasi il 75% del fatturato del comparto. Nei 41 quartieri associati si svolge il 96% delle manifestazioni.
Fonte: a cura di Exportiamo, redazione@exportiamo.it
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