Quale Economia Italiana all’Uscita dalla Crisi? Il Rapporto di Confindustria

Quale Economia Italiana all’Uscita dalla Crisi? Il Rapporto di Confindustria

19 Ottobre 2021 Categoria: Marketing Internazionale

L’Italia sta finalmente uscendo fuori dalla crisi, e lo sta facendo prima del previsto: ecco cosa dice il Rapporto di Autunno del Centro Studi Confindustria che delinea opportunità e rischi dello scenario post pandemico.

La cura per ripresa dell’economia italiana a base di vaccini e politiche economiche espansive sembra funzionare. Il rapporto di previsione elaborato dal Centro Studi di Confindustria, e presentato lo scorso 16 ottobre, evidenzia infatti una risalita del PIL ben al di sopra delle attese: +6,1% nel 2021, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% nel 2022. Questa robusta ripartenza del PIL pari a oltre +10% nel biennio, supera piacevolmente le già rosee aspettative della scorsa primavera, e dopo il quasi -9% del 2020, riporterebbe la nostra economia sopra i livelli pre-crisi nella prima metà del 2022, in anticipo rispetto alle attese iniziali.

Certo, rispetto ad altri grandi economie il gap rispetto al pre-pandemia è, al momento, ancora più ampio perché la caduta del 2020 in Italia è stata maggiore, ma è vero anche che proprio per questo motivo il recupero sta procedendo più spedito che altrove. Tuttavia, a partire dal quarto trimestre del 2021 l’espansione del PIL si attesterà su un profilo più moderato poiché la spinta legata al gap da colmare dopo la caduta si va esaurendo.

Secondo lo scenario CSC, l’Italia crescerebbe nel corso del 2022 a un ritmo intorno al +0,7% in media a trimestre, comunque molto più del +0,3% a trimestre registrato nel periodo 2015-2018. I motivi principali della maggior crescita attesa nel 2022 rispetto al passato pre-crisi sono: da un lato l’ancora incompleto recupero dei volumi di consumi privati e di scambi con l’estero (di servizi), che quindi dovrebbe proseguire l’anno prossimo; dall’altro, gli effetti benefici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) le cui risorse (235,1 miliardi di euro tra 2021 e 2026 di cui 204,5 miliardi sono fondi europei cui si aggiungono 30,6 miliardi di risorse nazionali) saranno utilizzate soprattutto per finanziare riforme strutturali e investimenti aggiuntivi.

Export, consumi e investimenti trainano la ripresa

Ma quale economia italiana avremo all’uscita dalla crisi provocata dal Covid? È questa, in fondo, la domanda attorno a cui ruota tutto il rapporto.

Secondo il CSC, la ripartenza italiana è caratterizzata nel 2021, e lo sarà anche nel 2022, da due importanti passaggi di testimone. Primo, i consumi stanno progressivamente subentrando all’export come traino della risalita, ponendosi al fianco degli investimenti. Secondo, i servizi stanno diventando più dinamici rispetto all’industria, che era già ripartita tra la seconda metà del 2020 e inizio 2021. Viceversa, gli investimenti, che restano il motore principale della ripresa italiana, nel 2022 saliranno su un livello molto superiore al pre-crisi (+17,7% rispetto al 2019).

Ciò non significa che le esportazioni cederanno il passo, anzi: dopo una caduta del 14,0% nel 2020, nello scenario CSC risaliranno del 12,4% nel 2021 e di un ulteriore 7,7% nel 2022. Si tratta di una dinamica rivista al rialzo per quest’anno, di un punto. Da un lato l’export di beni si conferma tornare già nel 2021 sul sentiero di espansione pre-crisi, anche grazie a un commercio mondiale che registrerà una crescita del 10,5% nel 2021 (nonostante la frenata a metà anno) e del 4,5% il prossimo. Dall’altro, invece, l’export di servizi non è più atteso ripartire quest’anno, ma solo nel 2022, rimanendo molto sotto i livelli pre-crisi: pesa la debolezza persistente di alcune tipologie di viaggio, come il turismo a lunga distanza e gli spostamenti per lavoro.

Ma i rischi non mancano…

Nonostante le prospettive positive, tuttavia, lo scenario presenta alcuni rischi che sono principalmente al ribasso e riguardano diversi elementi di incertezza.

In primis, l’adozione di nuove restrizioni agli spostamenti è il rischio principale poiché influirebbe negativamente e in tempi molto rapidi sulla fiducia degli operatori, sui consumi e quindi anche sugli investimenti e l’occupazione. La possibilità che insorgano nuove varianti potenzialmente più contagiose o per le quali i vaccini attualmente disponibili non siano pienamente efficaci è esclusa dallo scenario, ma al riguardo rimane un livello di incertezza difficilmente quantificabile.

In secondo luogo, nel secondo trimestre del 2021 sono emerse con una notevole eterogeneità, geografica e settoriale, carenze importanti di materie prime e semilavorati che hanno comportato un aumento generalizzato dei prezzi delle commodity. I rincari riguardano tutte le principali economie occidentali, che sono importatrici di materie prime e a vocazione manifatturiera. In Italia i rincari delle commodity sono stati assorbiti dalle filiere: i settori più a monte, produttori di beni intermedi, sono riusciti a rialzare i loro listini in misura marcata (sebbene non sufficiente a salvaguardare i margini), mentre quelli più a valle, che producono beni di consumo e sono più vicini alla domanda finale domestica, non sono riusciti ad andare oltre un modesto rincaro. Questo spiega la dinamica moderata dell’inflazione. Tali fenomeni sono ipotizzati di natura temporanea, ma se così non fosse e si manifestassero persistenti carenze di offerta, la spinta inflazionistica potrebbe assumere un carattere più strutturale in Europa e in Italia, inducendo la BCE ad anticipare la restrizione monetaria, che al momento non è stata ancora delineata. Un prematuro rialzo dei tassi nell’Eurozona avrebbe effetti indesiderati sul costo del debito pubblico, e quindi impatti molto negativi soprattutto per un paese come l’Italia con un elevato debito.

Inoltre, la piena efficacia del PNRR è subordinata all’individuazione di una efficiente allocazione delle risorse, al rispetto dei tempi previsti e alle modalità di attuazione degli investimenti e delle numerose riforme in programma. Il venir meno, anche solo parziale, di uno di questi elementi implicherebbe una minore attribuzione di risorse a monte o una loro dispersione a valle.

Da non sottovalutare, infine, la crisi del settore immobiliare cinese, in particolare del gruppo Evergrande, con il rischio di una crisi a livello nazionale, che potrebbe avere effetti indiretti molto negativi anche sui partner commerciali della Cina e, più in generale, sull’economia mondiale.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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