L’ordine mondiale è in radicale trasformazione e la crisi determinata dalla pandemia ha sicuramente accelerato alcuni trend già in atto da tempo. Ma verso quale direzione ci stiamo muovendo? Analizziamo le posizioni dei leader mondiali durante i due importanti vertici tenutisi negli ultimi giorni per cercare di capirlo.
Settimana impegnativa per i leader delle 7 delle sette più importanti economie mondiali (Regno Unito, Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti più una delegazione dell’Unione Europea), che dopo aver partecipato al summit del G7 tenutosi in Cornovaglia dall’11 al 13 giugno, si sono spostati tutti (ad eccezione del premier giapponese Yoshihide Suga) a Bruxelles, dove si è svolto l’ultimo vertice NATO.
Tanti i temi scottanti da affrontare, e tante le novità, in primis l’avvicendamento di Biden alla Casa Bianca, dopo gli anni scoppiettanti dell’amministrazione Trump. Prima volta anche per il premier Draghi, vicino più che mai alle posizioni transatlantiche.
Ma di cosa si è discusso esattamente, e a quali conclusioni sono giunti i capi dei Great 7 e dell’Organizzazione del Patto Atlantico?
IL G7 IN CORNOVAGLIA
Sono stati molti i temi sul tavolo affrontati durante i 3 giorni di dialoghi nella pittoresca cittadina di Carbis Bay, dove si è svolto il primo vertice in presenza dopo la pandemia.
Un G7 in chiave anti-cinese?
L’argomento più discusso è stato certamente il tentativo di Biden di convincere i leader del G7 a mettere in atto una politica più dura e aggressiva per limitare la crescente influenza economica e politica della Cina. Non stupisce dunque la lista degli invitati: ad eccezione della Russia, la cui partecipazione è sospesa dal 2014 in seguito alla guerra in Ucraina, hanno presenziato invece Australia, India, Corea del Sud, Sudafrica (che partecipano al G20) e sultanato del Brunei, attuale presidente di turno dell’ASEAN. Non è un caso che si tratti dei principali competitor della Cina nel quadrante dell’indopacifico: la volontà di contenere l’ascesa di Pechino è un denominatore comune.
Se sembra, dunque, che il nuovo inquilino della Casa Bianca stia facendo di tutto per riallacciare i rapporti con i suoi storici alleati europei dopo le tensioni innescate dal suo predecessore, lavorando a un accordo che porterà a termine lo scontro sulle importazioni di metalli e sui sussidi concessi ai costruttori aerospaziali Boeing e Airbus, nulla invece pare essere cambiato sul fronte dei rapporti con Pechino.
Il G7, infatti, ha adottato la proposta americana di un’alternativa alla nuova via della Seta cinese. Il progetto si chiama “Build Back Better World” o B3W (ricostruire meglio il mondo), un chiaro rimando al piano infrastrutturale che Biden ha presentato negli Stati Uniti, e che si chiama Build Back Better. Il piano prevede di mobilitare centinaia di miliardi di dollari di investimenti sia privati sia pubblici nella costruzione di infrastrutture per i paesi più poveri, con l’obiettivo di creare partnership strategiche stabili e durature.
Il piano è una risposta molto esplicita alla Belt and Road Initiative (BRI), il grande progetto di investimenti infrastrutturali in Asia, Africa ed Europa annunciato nel 2013 dal presidente Xi Jinping, che da diversi anni è il principale strumento del regime cinese per guadagnare influenza economica e prestigio politico in moltissimi paesi più poveri. Il contrasto con la BRI è piuttosto evidente non soltanto nelle intenzioni del piano, ma anche nei contenuti: la Casa Bianca ha sottolineato che i progetti e gli investimenti avranno standard molto alti e saranno caratterizzati da una governance trasparente. Secondo gli Usa, infatti, sarebbe un’iniziativa infrastrutturale globale “positiva, sostenibile, trasparente e basata sui valori”, un’alternativa etica e verde alla via della Seta per aiutare i Paesi in via di sviluppo “senza chiedere nulla in cambio”. La Cina, al contrario, in passato è stata molto criticata proprio perché tramite la BRI ha finanziato numerosi progetti senza badare troppo a efficacia e sostenibilità, e soprattutto perché ha gettato molti paesi nella cosiddetta “trappola del debito”: ha concesso cioè enormi prestiti a paesi dalle finanze fragili, che poi non sono stati in grado di ripagare. Secondo l’Economist, soltanto in Africa la Cina ha distribuito 145 miliardi di dollari di prestiti, in gran parte legati a progetti della BRI.
Il problema principale dell’annuncio del B3W è che è molto vago sulla provenienza dei finanziamenti per il progetto. Mentre la Cina fin dal 2013 aveva promesso decine di miliardi di dollari in finanziamenti e prestiti, per ora la Casa Bianca ha parlato di catalizzare gli investimenti da parte del settore privato, ha citato diversi progetti di cooperazione internazionale già esistenti e ha scritto che l’amministrazione Biden lavorerà con il Congresso per espandere gli strumenti di aiuto allo sviluppo. Gli altri leader del G7 per ora non hanno fatto commenti in proposito.
Nessuno sconto alla Cina nemmeno sui diritti umani, con il richiamo a Pechino al rispetto dei diritti della minoranza etnica degli uiguri nella regione dello Xinjang, e l’autonomia di Hong Kong e Taiwan. I leader hanno anche auspicato una nuova indagine sulle origini del coronavirus che ha provocato la pandemia da COVID-19, dopo che nelle ultime settimane la teoria della fuoriuscita da un laboratorio era stata sottoposta a nuove attenzioni da parte dell’intelligence statunitense.
Poche ore dopo la pubblicazione del comunicato finale, l’ambasciata cinese nel Regno Unito ha respinto le accuse del comunicato sostenendo che contenga “bugie, voci non confermate e accuse infondate”, e accusando i paesi del G7 di “interferire negli affari interni della Cina”.
L’accordo sul clima: una conclusione deludente
Se sulla Cina c’è stata la discussione più laboriosa e delicata, immediato è stato invece l’accordo nella dichiarazione sul clima. I leader del G7 hanno affermato l’impegno a ridurre del 50% le emissioni nette entro il 2030 e contenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C, oltre a cancellare i sussidi per i combustibili fossili entro il 2025. Secondo gli ambientalisti però i leader non hanno preso alcun impegno concreto in termini di finanziamenti, né auspicato di vietare le ricerche di nuovi giacimenti di materiali fossili. Un fatto negativo, sempre secondo i gruppi ambientalisti, in vista della Conferenza sul clima Cop26 in programma dall’1 al 12 novembre a Glasgow, sempre nel Regno Unito.
L’accordo sulla tassa sui profitti delle multinazionali
Il compromesso più concreto, raggiunto a Londra già la settimana antecedente al vertice, è quello relativo ad una nuova tassa globale del 15% sui profitti delle multinazionali da corrispondere ai Paesi in cui operano, a prescindere da dove siano le loro sedi.
L’accordo potrebbe interessare in particolare grandi aziende tecnologiche come Amazon e Google, e potrebbe portare ai governi miliardi di dollari utili a sostenere i grandi costi dovuti alla pandemia da Coronavirus.
La dichiarazione congiunta sulla lotta alla pandemia
Facile poi l’intesa sulla lotta alla pandemia, con obiettivi già delineati e resi ora ufficiali ed impegnativi. La dichiarazione sul piano pandemico globale – che segue l’annunciata donazione di un miliardo di vaccini anti-Covid (di cui 500 milioni dagli Usa e 100 milioni dal Regno Unito) fra il 2021 e il 2022 ai Paesi del mondo a più basso reddito – include l’impegno a una maggiore condivisione dei dati sanitari, a un incremento degli esami genomici in grado d’individuare le varianti dei virus e il sostegno a una riforma e a un rafforzamento del ruolo dell’Oms. Nel comunicato finale si parla esplicitamente di “chiudere la pandemia e attrezzarci per il futuro” entro la fine del 2022.
Il VERTICE NATO DI BRUXELLES
Il vertice NATO del giorno successivo si è configurato come la naturale prosecuzione delle interlocuzioni iniziate nei giorni precedenti. Anche a Bruxelles, infatti, è stata ribadita la centralità della sfida agli interessi occidentali posta dalla Cina, identificandola per la prima volta come avversario.
Dalla Cina una sfida sistemica
“La crescente influenza della Cina e le sue politiche internazionali possono presentare sfide sistemiche che dobbiamo affrontare insieme come Alleanza”, si legge in un passaggio delle conclusioni del vertice. “Le ambizioni dichiarate della Cina presentano sfide sistemiche all’ordine internazionale basato su regole e alle aree rilevanti per la sicurezza dell’Alleanza. Siamo preoccupati per quelle politiche coercitive che sono in contrasto con i valori fondamentali sanciti dal Trattato di Washington”, si spiega nelle conclusioni. “Chiediamo alla Cina di mantenere i suoi impegni internazionali e di agire responsabilmente nel sistema internazionale, compresi i domini dello spazio, cibernetico e di quello marittimo, in linea con il suo ruolo di grande potenza”.
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha sottolineato: la Cina “non condivide i nostri stessi valori” di democrazia e diritto. “Non stiamo entrando in una nuova Guerra fredda e la Cina non è il nostro avversario, non il nostro nemico”, ha aggiunto. Ma, ha spiegato, bisogna “affrontare insieme, come alleanza, le sfide che l’ascesa della Cina pone alla nostra sicurezza”.
Non è dello stesso avviso Pechino: poco dopo la pubblicazione del comunicato finale, l’ambasciata della Cina all’Unione Europea ha infatti criticato la NATO accusandola di avere conservato “un approccio da Guerra fredda”, si legge in un post sul social network cinese Weibo riportato dal New York Times.
Relazioni sempre più incrinate anche con la Russia
Tra i temi al centro del vertice anche il dossier Russia. “Le nostre relazioni sono al punto più basso dalla fine della Guerra fredda, a causa delle azioni aggressive della Russia”, ha spiegato Stoltenberg. Ma ha rimarcato come la Nato non abbandonerà la via del dialogo: “Il dialogo non è segno di debolezza, ma di forza”. Tuttavia, non ci sarà un ritorno alle normali relazioni tra Mosca e la Nato fino a che la Russia non si conformerà al diritto internazionale: “Fino a quando la Russia non dimostrerà il rispetto del diritto internazionale e dei suoi obblighi e responsabilità, non si potrà tornare al ‘business as usual’”.
Cyber attacchi sempre più frequenti: un impegno per la difesa comune
“Siamo sempre più confrontati con minacce cyber e ibride, comprese le campagne di disinformazione, e l’uso dannoso di tecnologie emergenti sempre più sofisticate. I rapidi progressi nel campo dello spazio stanno influenzando la nostra sicurezza. La più grande responsabilità dell’Alleanza è proteggere e difendere i nostri territori e le nostre popolazioni dagli attacchi e affronteremo tutte le minacce e le sfide che influiscono sulla sicurezza euro-atlantica”, si legge nella dichiarazione finale dei leader Nato.
La centralità del Mediterraneo
La Nato è “un’alleanza di valori”, “la più vincente della storia” e “la pietra angolare della nostra sicurezza”. Proprio per questo dobbiamo essere “pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri valori” ha dichiarato il premier Mario Draghi. Il presidente del Consiglio ha spiegato inoltre che “i nostri obiettivi sono molteplici”, ovvero “mantenere la nostra superiorità tecnologica collettiva ed essere pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri stessi valori e sono una minaccia per le nostre democrazie; preservare la stabilità strategica e rinnovare anche i nostri sforzi per rafforzare il controllo degli armamenti e la non proliferazione; affrontare le implicazioni per la sicurezza dei cambiamenti climatici; rafforzare la nostra resilienza nazionale e la nostra capacità di affrontare i problemi globali”. Per questo l’Italia continuerà a contribuire alle missioni ma in cambio chiede che l’Alleanza guardi con più attenzione “all’instabilità del Mediterraneo”, ovvero alla Libia e ai flussi migratori.
Siamo all’alba di una nuova guerra fredda dal sapore sempre più orientale? Il buon senso vorrebbe di no, ma al di là delle dichiarazioni distensive “di facciata” i toni si fanno sempre più minacciosi ed è difficile prevedere quale sarà l’esito di questo scontro che si gioca su un terreno sempre più incerto e scivoloso.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it