Se durante l’estate si è potuto sperare che la vita stesse tornando alla normalità e che fosse remota l’ipotesi di un nuovo lockdown, a settembre la curva dei contagi in tutta Europa ha ripreso a la sua salita rendendo questa eventualità sempre più probabile. Parallelamente le previsioni su un rilancio economico post-coronavirus stanno peggiorando dinanzi allo scenario di nuove chiusure e blocchi delle attività commerciali.
La curva dei contagi in Europa è tornata a crescere in modo esponenziale, e nonostante la percentuale dei morti rimanga fortunatamente ancora bassa, molti modelli, tra cui uno sviluppato dall’Economist sulla base dei test sierologici effettuati sulla popolazione, mostrano che questa seconda curva è ancora soltanto all’inizio.
Sebbene questa seconda ondata fosse stata prevista in largo anticipo, molti Paesi hanno fallito nel tentativo di migliorare il sistema sanitario e nel costruire un affidabile sistema di analisi e tracciamento dei contagi, portando così i governi a dover imporre severe restrizioni per non pesare troppo sul sistema sanitario.
Tra le nazioni più colpite la Spagna, il cui governo, nonostante l’aumento dei casi, non è riuscito ad attuare una strategia nazionale, vedendo la continua opposizione della minoranza legata alla destra nazionalista. Qualche giorno fa il presidente del governo Pedro Sanchez ha varato lo stato di emergenza, dando modo alle istituzioni locali di attuare dei confinamenti locali.
La percentuale dei contagiati in Francia sale al 13% con cifre che ormai viaggiano sui 50mila contagi al giorno e che hanno portato il Presidente Macron, il 28 ottobre, ad annunciare alla nazione un nuovo lockdown a partire da oggi 30 ottobre, anche se le scuole resteranno aperte. Un duro colpo per la nazione, fortemente scossa anche dall’ennesimo attentato terroristico di matrice islamista che ha colpito ieri la città di Nizza.
La Germania chiuderà bar, ristoranti e teatri dal 2 al 30 novembre secondo le misure concordate tra Angela Merkel ed i rappresentanti dei Land tedeschi. Le scuole rimarranno aperte ed i negozi potranno operare con rigidi limiti di accesso.
Quando il Covid ha iniziato a diffondersi all’inizio di quest’anno in molti Paesi del Nord Europa si è diffusa maliziosamente l’idea che la virulenza del virus in Paesi come la Spagna e l’Italia fosse strettamente legata alle loro culture “fisiche ed espansive”.
Un’idea difficile da sostenere oggi, considerato che tra le Nazioni più colpite troviamo il Belgio e l’Olanda.
Il Belgio, infatti, a fronte di una popolazione di 11,5 milioni di persone, ha segnalato in media più di 13.000 casi al giorno nell’ultima settimana. Secondo l’istituto nazionale di sanità pubblica Sciensano, questi sono i numeri pro capite più alti nella regione europea. Yves Van Laethem, portavoce belga per la lotta al coronavirus, ha avvertito che, a meno che i belgi non cambino il loro comportamento, le unità di terapia intensiva raggiungeranno la loro capacità di 2.000 pazienti in 15 giorni.
Inoltre, il virus sta esacerbando le divisioni regionali: i nazionalisti fiamminghi si sono opposti ad un lockdown nazionale, dal momento che la diffusione sta avvenendo soprattutto nelle regioni francofone.
Anche l’Olanda si appresta ad avviare un lockdown parziale.
La situazione non è migliore nel sud est dell’Europa, dove Bulgaria e Romania sono alle prese con l’emergenza dall’estate.
Ieri 29 ottobre si è tenuta la videoconferenza tra i membri del Consiglio Europeo presieduta dal presidente Charles Michel in cui si è discusso delle misure coordinate da adottare per contrastare l’epidemia. Nelle ore precedenti era stata paventata l’ipotesi, sostenuta dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e dalla Presidentessa della Commissione Ursula von der Leyen, di un lockdown europeo generalizzato.
Tuttavia durante l’incontro non si è affatto discusso di questa proposta, molto difficile da attuare, peraltro, dal momento che ogni Stato Membro esercita l’autorità legislativa in materia di sanità ed ordine pubblico ed i Paesi hanno attuato diverse strategie per contrastare l’emergenza.
Nonostante, come sottolineato dal presidente Michel: “nous sommes dans le même bateau”, i leader si sono limitati a raccomandare un approccio coordinato nelle misure di contrasto alla pandemia, insistendo sulla necessità di armonizzare le attività, come condividere le informazioni, le modalità di monitoraggio, l’accesso ai test rapidi (la Commissione ha mobilitato 100milioni di euro per acquistarli e distribuirli agli Stati membri) e la pianificazione per la somministrazionen dei vaccini “in modo da trovarci pronti quando le dosi saranno disponibili”. Tuttavia non sono emerse ancora delle direttive chiare.
I lockdown locali, le restrizioni sociali e le interruzioni dei viaggi hanno rallentato l’attività economica, tagliato le catene di approvvigionamento e costretto le aziende a tagliare alcune spese. Finora, le iniezioni di denaro del governo hanno tenuto a galla molti settori. Ma con ulteriori blocchi e restrizioni quasi certi le prospettive economiche in Europa sembrano disastrose. Il crollo di Wall Street e dei listini europei nella giornata di mercoledì 28 ottobre, ha segnato profondamente il sentiment degli investitori.
Quello che è successo dopo la crisi finanziaria del 2008 non può ripetersi. Allora, i governi hanno iniettato miliardi di dollari nel sistema finanziario, ma non sono riusciti a dirigere quella liquidità verso buone opportunità di investimento. Di conseguenza, la maggior parte del denaro è finito nel settore finanziario - invece di sostenere l’economia reale – ed i contribuenti sono rimasti con la stessa economia frammentata, disuguale id insostenibile.
Ora, in risposta al COVID-19, i governi stanno nuovamente inondando il mercato di liquidità, ma questa volta devono gettare le basi per una ripresa inclusiva e sostenibile. Alcuni stanno già strutturando la loro assistenza per garantire una relazione simbiotica con il settore privato. Il governo francese, ad esempio, ha subordinato i salvataggi ai settori automobilistico e aereo alla riduzione delle emissioni di carbonio e il governo danese si è rifiutato di salvare le imprese che utilizzano paradisi fiscali offshore.
Abbiamo anche bisogno di investimenti più ambiziosi nei sistemi sanitari sottostanti e nella capacità del settore pubblico. Questo è l’opposto di quanto sta accadendo in Paesi come il Regno Unito, dove tale capacità è sempre più esternalizzata a società di consulenza.
Il piano di ripresa europeo, Next Generation EU, è progettato per stimolare riforme e investimenti che genereranno crescita e occupazione e per rendere le nostre economie più digitali e climaticamente neutre. Per garantire la resilienza su un orizzonte più lungo, i governi dovranno pianificare attentamente come spendere le risorse messe a disposizione tramite il fondo di recupero da 750 miliardi di euro dell’UE. La via più intelligente sarebbe quella di dare la priorità agli investimenti in aree che possono mettere l’economia sulla strada di una crescita potenziale più elevata, come l’istruzione e la formazione, la ricerca, il digitale e le infrastrutture verdi.
Ed infine il razzismo e la xenofobia sono gli altri grandi acceleratori di cui preoccuparsi. Gli elettori nel mondo sviluppato hanno una sconcertante storia di limitazione del benessere sociale quando le loro paure nativiste vengono innescate. I politici che desiderano una popolazione sana ed un’economia sana devono assicurarsi di creare le condizioni per la salute di tutti i loro cittadini.
In questa cornice di eventi e fragilità, ieri si è tenuto un altro importante incontro, la riunione della Banca Centrale Europea, a margine della quale, la presidentessa Christine Lagarde, ha fatto sapere che la BCE lavora a un nuovo pacchetto di sostegno da presentare al più tardi il 10 dicembre: con ogni probabilità, almeno altri 500 miliardi nel piano d’acquisti di titoli pubblici e privati legati alla pandemia; una nuova offerta di liquidità alle banche, a condizioni anche più agevoli, remunerandole almeno all’1% l’anno se fanno credito a famiglie e imprese. Meno plausibile invece che la Banca centrale tagli ancora più in negativo (oggi è a -0,5%) il tasso d’interesse sul denaro depositato dalle banche stesse presso la Bce.
Miguel Otero-Iglesias, analista senior presso l’Elcano Royal Institute di Madrid e professore di pratica di economia politica internazionale presso la IE School of Global and Public Affairs, ha affermato che bisogna usare questa crisi per rendere i Paesi più resilienti ed equi, utilizzando la spesa per raggiungere obiettivi a lungo termine che siano verdi, digitali, inclusivi e innovativi. Se non risolviamo i problemi che hanno destabilizzato la nostra economia per decenni, continueremo a passare di crisi in crisi. Il momento del cambiamento è adesso. In altre parole, l’Europa ha bisogno di un nuovo contratto sociale diverso da quello del dopoguerra.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Cristiana Oliva, redazione@exportiamo.it
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