Lo scorso Mercoledì 2 Ottobre abbiamo assistito all’ennesimo episodio di una disputa intensa che ha caratterizzato per ben 15 anni i rapporti commerciali a livello internazionale: l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha infatti autorizzato gli Stati Uniti ad imporre tariffe su beni di importazione europei a fronte dei sussidi (ritenuti illegali) che alcuni governi europei hanno destinato negli anni alla principale produttrice mondiale di aeromobili, Airbus.

Exportiamo ha ripercorso le tappe che hanno portato a questa situazione ed ha analizzato nel dettaglio le categorie merceologiche direttamente coinvolte dalla nuova ondata di dazi. È probabile che tale epilogo produca ripercussioni sull’economia mondiale ed effetti negativi anche negli scambi commerciali tra USA e Italia.

Quando tutto è iniziato e perché

L’inizio di tale tensione commerciale risale al 2004, anno in cui gli Stati Uniti si rivolgono all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) “denunciando” che l’Unione Europea, in particolare Francia, Germania, Spagna e U.K., avrebbe destinato in modo illegale finanziamenti pubblici alla società europea produttrice di aeromobili, Airbus, a supporto del lancio e sviluppo dei modelli A320 e A330/340. Da quel momento in poi, la WTO ha assistito ad una serie di scambi di accusa tra Europa e Stati Uniti, ritrovandosi a sostenere prima l’una e poi l’altra parte e a richiedere una mutua sospensione dei sussidi: nel 2011, ad esempio, quando l’Europa asserisce l’illegalità di ingenti sussidi (19 miliardi di dollari) del governo statunitense e della Nasa a favore dell’americana Boeing, principale concorrente di Airbus, la WTO parzialmente sostiene l’Europa, pronunciandosi contro i suddetti incentivi fino ad un valore di (5.3 miliardi di dollari).

Il 2018 rappresenta un anno cruciale, in cui la situazione, già inasprita, si aggrava notevolmente: a Maggio l’amministrazione Trump “per motivi di sicurezza nazionale” impone dazi su acciaio e alluminio importati dall’Europa, Canada e Messico, rispettivamente del 25% e 10%. Contemporaneamente a tale manovra, del valore economico stimato di 6,4 miliardi di dollari, si aggiunge la dichiarazione da parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) secondo cui l’Europa sta provocando delle mancate vendite al colosso americano Boeing, non sospendendo i sussidi a favore della società concorrente Airbus. Arriva dunque un’ulteriore minaccia di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump e questa volta nel mirino ci sono solo prodotti di origine europea.

Sull’altro fronte, l’Europa non sta di certo a guardare e nel Giugno dello stesso anno da Bruxelles scattano i dazi del 25% su 2,8 miliardi di dollari sui prodotti importati dagli Stati Uniti. Tra le 200 categorie merceologiche nel mirino compaiono alcune icone della produzione americana: ci sono i prodotti tessili (esempio i Jeans Levi’s), le moto (esempio le Harley-Davidson), prodotti alimentari (succhi di arancia, mirtillo, burro d’arachidi) e bevande alcoliche (come Bourbon e whisky).

Infine, nell’Aprile 2019, l’amministrazione Trump continua a “difendere” gli interessi degli americani, proponendo nuovamente di imporre altre tariffe sui prodotti Europei, con un valore complessivo di 11,2 miliardi di dollari. Viene rilasciata una lista di 14 pagine che riporta, insieme a vestiti e metalli industriali, specialità agroalimentari emblemi della tradizione culinaria Europea: formaggi freschi, vini, champagne, olio d’oliva e prodotti a base di pesce.

La situazione attuale

La minaccia preannunciata si concretizza la scorsa settimana quando l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) autorizza gli Stati Uniti ad applicare tasse fino a 7.5 miliardi di dollari sui prodotti europei importati, conseguenza dei sussidi rilasciati dai governi europei di Germania, Francia e Spagna e Regno Unito ad Airbus, ritenuti illegali.

In linea generale, la lista definitiva prevede tariffe del 10% sugli aerei commerciali dalla Francia, Germania, Spagna o Regno Unito; dazi del 25% su whisky Scozzesi e Irlandesi nonché su indumenti e coperte dal Regno Unito; tariffe del 25% su caffè ed attrezzature e macchinari dalla Germania; dazi del 25% su molteplici formaggi, olio d’oliva, olive e carne congelata dalla Germania, Spagna, Regno Unito.

Nello specifico, sotto la voce “from Italy”, sono soggetti a dazi addizionali del 25% i seguenti prodotti agroalimentari del bel paese: liquori e amari, prodotti a base di carne suina, formaggio Pecorino, formaggio Pecorino Romano, Parmigiano Reggiano, Provolone, yogurt, burro, preparazioni e succhi a base di frutta (ciliegie, pesche, pere), agrumi (arance, mandarini, clementine, limoni) nonché molluschi (cozze e vongole). Tra i prodotti “messi in salvo” si annoverano i capisaldi della dieta mediterranea (olio extravergine d’oliva, conserve di pomodoro, il vino, la pasta, il prosciutto, la mozzarella di Bufala).

I dazi entreranno in vigore a partire dal prossimo 18 Ottobre, dopo che i principali rappresentanti della WTO vi avranno dato formalmente approvazione.

Per una diretta consultazione, invitiamo ad analizzare qui la lista definitiva in cui il codice doganale facilita l’identificazione dei prodotti sotto tiro.

Le prospettive in Europa e oltreoceano

Parafrasando le parole di Cecilia Malmstroem, commissaria Ue al Commercio, “un conflitto di tale portata andrebbe solo a danneggiare aziende e cittadini su entrambi i lati dell’Atlantico, nonché danneggiare il commercio internazionale e l’industria aeronautica in un momento così delicato”.

A livello mondiale, infatti, il volume degli scambi commerciali si prospetta in crescita soltanto del 1.2% quest’anno, valore sostanzialmente più basso rispetto al 2.6% di crescita prevista lo scorso Aprile. La stessa WTO ha ridotto le sue previsioni di crescita per il 2020 al 2.7% (rispetto al 3.0% atteso in precedenza).

Negli USA, relativamente al settore civile, l’imposizione delle tariffe sugli aerei commerciali rischia di danneggiare seriamente le compagnie aeree americane, i milioni di impiegati nel settore nonché i viaggiatori, dal momento che, come afferma Delta Air Lines Inc, le aziende statunitensi hanno già commissionato acquisti oltreoceano. Similmente, nel settore agroalimentare, le tariffe andranno a danneggiare in prima linea gli importatori (che sdoganano le merci e pagano i dazi, anticipandoli finanziariamente) ed in seconda linea i consumatori finali che acquisteranno la merce ad un prezzo maggiorato. Ad esempio, nel caso delle tariffe doganali rivolte al Parmigiano Reggiano e Grana Padano, il consumatore americano potrebbe pagare ben oltre 45 dollari al chilo (dai precedenti 40 dollari al chilo). A tale analisi si aggiunge il Distilled Spirits Council, il quale dichiara che le tariffe sui prodotti alcolici (whisky, liquore, amari e vini) può impattare su quasi 3.4 miliardi di dollari nel valore delle importazioni.

In Italia, infine, la Coldiretti afferma che vittime di questa battaglia commerciale saranno le esportazioni agroalimentari Made in Italy per un valore di circa mezzo miliardo di euro; e se si guarda nello specifico alle categorie di prodotto che primeggiavano nelle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti (formaggi duri e liquori), con i dazi al 25%, l’export degli stessi verso gli USA subirebbe una contrazione del 15%.

È chiaro che il mercato americano nel medio termine si assesterà e potrebbe essere la filiera (produttore, importatore, distributore, agente, dettagliante finale) a farsi carico proporzionalmente degli incrementi dovuti ai dazi evitando che a rimetterci sia solo il consumatore finale e che l’Italian Sounding continui a trovare protezione e terreno fertile a discapito del vero Made in Italy.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Maria Chiara Migliaro, redazione@exportiamo.it

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