Libera circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi sono principi fondamentali del mercato interno, sanciti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Sempre più frequentemente le imprese italiane stipulano contratti con partner commerciali aventi sede in un altro Paese dell’Unione Europea oppure aprono una sede in un altro stato comunitario. L’effetto è lo stesso: le imprese si trovano costrette a dover inviare all’estero propri dipendenti, distaccandoli. Ma cosa si intende esattamente con la nozione di “distacco”? E quali sono le condizioni che devono essere rispettate? Scopriamolo insieme esaminando le ultime novità introdotte dalla Direttiva 2018/957.

E’ passato molto tempo da quando, il 16 dicembre 1996, l’Unione Europea decise di intervenire, per la prima volta, sul tema del distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Quel giorno, infatti, Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea approvarono la Direttiva 96/71/CE con l’obiettivo di regolamentare alcuni principi ed in particolare: sostenere la libera circolazione dei lavoratori, garantendo la parità di condizioni per la prestazione transfrontaliera dei servizi e, al contempo, tutelare i diritti dei lavoratori distaccati, garantendo un insieme comune di diritti sociali.

Sono poi passati quasi vent’anni senza che Bruxelles intervenisse sul tema fino a quando, il 15 maggio 2014, Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea emanarono un’altra Direttiva (2014/67/UE) concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE.

Recentemente però, il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno emanato una nuova Direttiva, la 2018/957 (che ha modificato quella del 1996), a cui gli Stati membri hanno l’obbligo di conformarsi entro il 30 luglio 2020 adottando le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie. Scopriamone insieme le principali novità.

Innanzitutto si ricorda che il requisito preliminare per il distacco è l’esistenza di un rapporto di lavoro tra l’azienda ed il personale distaccato. Per evitare abusi, la normativa comunitaria prevede alcune condizioni di distacco legittimo, che riassumiamo di seguito:

- Il datore di lavoro distaccante deve esercitare abitualmente l’attività nello stato di invio;

- Il lavoratore distaccato deve svolgere l’attività nello stato di destinazione, per conto del datore di lavoro;

- La durata del lavoro non può superare i 24 mesi. I distacchi superiori richiedono l’autorizzazione delle autorità competenti degli stati membri interessati.

- Il lavoratore non può sostituire un altro lavoratore giunto al termine del distacco.

Per tutta la durata del distacco è necessario garantire al personale distaccato le stesse condizioni di lavoro vigente, per legge o per contratto nazionale collettivo, nel Paese ospitante con riferimento a:

1. periodi massimi e i periodi minimi di riposo;

2. durata minima delle ferie annuali retribuite;

3. retribuzione minima;

4. tutele per le gestanti;

5. puerpere e i giovani di età inferiore ai 18 anni;

6. parità di trattamento tra uomo e donna;

7. condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro;

8. indennità o rimborso a copertura di spese di viaggio;

9. vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali.

Previa consultazione con i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, i Paesi europei possono decidere che i requisiti minimi in materia di retribuzione e ferie annuali del Paese ospitante non si applichino in caso di distacco di durata inferiore ad une mese. Tuttavia, tale eccezione non si applica ai lavoratori distaccati mediante agenzie di lavoro interinale.

In caso di distacco, il lavoratore non necessita di un permesso di lavoro e non è tenuto ad iscriversi come residente nel Paese ospitante qualora il distacco superi i tre mesi. Il lavoratore, inoltre, non maturerà l’indennità di disoccupazione nel Paese ospitante né il diritto al soggiorno permanente.

Per quanto concerne il trattamento previdenziale, il lavoratore distaccato rimane soggetto alla legislazione previdenziale dello Stato di invio e mantiene un’unica posizione assicurativa. A tal fine, il datore di lavoro è tenuto ad informare anticipatamente l’amministrazione del Paese ospitante e a chiedere il cosiddetto documento PDA1 all’ente previdenziale del Paese in cui il lavoratore sarà distaccato.

Tale documento conferma che il lavoratore distaccato è iscritto al regime previdenziale del suo Paese d’origine ed esonera il datore di lavoro dal versamento dei contributi previdenziali nel Paese del distacco. In sede di richiesta del documento PDA1 è necessario specificare la data di inizio e di fine del distacco.

Il periodo massimo che, attualmente, si può indicare nel modulo è di 24 mesi. Qualora il distacco sia maggiore di 24 mesi, il datore di lavoro può: i) chiedere all’ente che rilascia il modulo PDA1 di concedere una proroga, che però è soggetta ad un accordo tra il Paese d’origine e quello di destinazione, oppure ii) far iscrivere il dipendente al sistema previdenziale del Paese ospitante.

Con l’entrata in vigore della nuova Direttiva 2018/957, il termine massimo sarà di 12 mesi o di 18 in caso di proroga. In particolare, con la nuova disciplina, qualora la durata del distacco superi i 12 mesi, gli Stati membri devono garantire ai lavoratori distaccati, oltre a quanto previsto precedentemente, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello stato ospitante.

Infine si ricorda che ogni Paese dell’Unione Europea dispone di uno sportello nazionale in grado di fornire informazioni dettagliate in materia di distacco di lavoratori all’estero. Gli sportelli collaborano tra loro e controllano le condizioni di lavoro durante il distacco e le presunte violazioni della normativa.

Fonte: a cura di Exportiamo, Avv. Giulia Di Piero, Studio Legale PMT, redazione@exportiamo.it

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