Lo scorso 8 giugno Stati Uniti e Messico hanno trovato l’accordo sulle iniziative da prendere per frenare l’immigrazione illegale, evitando almeno per ora i dazi minacciati da Trump, che non solo avrebbero messo in ginocchio l’economia messicana, ma avrebbero avuto pesanti ripercussioni anche su quella a stelle e strisce. Quanto durerà la tregua?

È con uno dei suoi ormai soliti cinguettii che lo scorso 8 giugno, dopo tre giorni di negoziati, Trump si diceva “lieto di informare che gli Stati Uniti hanno firmato un accordo col Messico. Le tariffe che dovevano essere applicate dagli Usa lunedì (10 giugno 2019, ndr) sono quindi sospese a tempo indeterminato. Il Messico, in cambio, ha concordato di prendere misure forti per fermare il flusso della migrazione attraverso il Messico e verso il nostro confine meridionale. Questo sarà fatto per ridurre grandemente, o eliminare, l’immigrazione illegale proveniente dal Messico e verso gli Stati Uniti”.

Appena una settimana prima, lo scorso 30 maggio, con un altro tweet aveva annunciato che nell’arco di dieci giorni sarebbero stati imposti dazi progressivi sul valore di tutti i prodotti importati dal Messico negli Usa se non fossero stati fermati i flussi di migranti che, dal confine messicano, entrano illegalmente negli Stati Uniti.

Come di consueto Trump ha usato l’arma del ricatto e la minaccia dei dazi per mettere all’angolo il suo omonimo messicano Obrador e costringerlo a firmare l’accordo, trasformando la questione migratoria in conditio sine qua non per la mancata introduzione di pesanti misure tariffarie che avrebbero pesantemente impattato sulla già fragile economia messicana.

L’inquilino della Casa Bianca non ha ottenuto tutto quello che voleva perché, ad esempio, Obrador ha rifiutato di cambiare le sue leggi sull’asilo respingendo la richiesta Usa di diventare un “Paese terzo sicuro“, che l’avrebbe costretto a prendersi gran parte dei migranti provenienti dagli altri Paesi centroamericani. Tuttavia, è riuscito ad ottenere l’invio di 6.000 soldati della Guardia nazionale messicana al confine col Guatemala per impedire il passaggio dei migranti, e la possibilità di rispedire a sud della frontiera i migranti che chiedono protezione.

Da parte loro, gli Usa, si impegneranno ad accelerare gli investimenti in Messico con uno stanziamento di circa 6 miliardi di dollari per favorire lo sviluppo nel Chiapas (zona del Messico meridionale) e nelle nazioni vicine (Guatemala, Honduras, Nicaragua) da cui arrivano i migranti che assando per il Messico si dirigono negli Usa. 

La minaccia di dazi Usa, dunque, sembra al momento scongiurata, anche se in realtà tutto potrebbe tornare a breve in discussione. Messo sotto pressione dai giornalisti dopo aver twittato che “la parte maggiore dell’accordo con il Messico non è stato ancora rivelato“, il presidente Usa ha sventolato i fogli del documento davanti ai reporter, permettendo a un fotografo di catturarne le immagini. Secondo un ingrandimento della foto del documento, twittata da un fotografo del Washington Post, sembra che Trump si riferisse al fatto che il Messico potrebbe essere costretto a cambiare le sue leggi sull’immigrazione e a subire azioni legali o altre misure punitive, soprattutto in tema di dazi doganali, se gli Stati Uniti “a loro discrezione” stabiliranno, dopo 45 giorni dall’annuncio dell’accordo, “che non sono stati raggiunti risultati sufficienti per contrastare il flusso dei migranti“.

Ma in cosa consisterebbero esattamente questi dazi? E quali sarebbero le conseguenze qualora venissero introdotti?

La misura, applicata ad ogni passaggio cross-border, sarebbe consistita nell’aumentare di 5 punti al mese la percentuale di imposizione tariffaria (cioè prodotti per circa 350 miliardi di dollari all’anno) fino a un massimo del 25% a ottobre, con evidenti danni all’industria messicana dal momento che la domanda americana copre oltre l’80% del totale delle esportazioni di beni e servizi, di cui una larga parte è relativa ai settori automotive (componentistica inclusa), elettronica, apparecchiature elettriche e agricolo. In caso di dazi sarebbe inevitabile il rallentamento del Pil messicano ed il crollo sia dei consumi sia, soprattutto, degli investimenti.

Ad onor del vero le ripercussioni sarebbero state estremamente pesanti anche per gli stessi Usa, dal momento che le due economie sono fortemente interdipendenti e, soprattutto nel settore automotive, le maquiladoras messicane (fabbriche messicane di assemblaggio per conto di aziende straniere) sono talmente integrate nelle catene del valore della relativa industria americana che i componenti e i lavorati possono attraversare fino a 8 volte i confini prima di essere definitivamente assemblati.

Così, l’introduzione dei dazi potrebbe causare la perdita di più di 400.000 posti di lavoro negli Usa. Il Texas sarebbe lo stato più colpito, perdendo fino a 11,9 miliardi di dollari di PIL e 117.000 posti di lavoro mentre il settore più penalizzato sarebbe il commercio al dettaglio in cui si perderebbero 136.516 posti, seguito da quello manifatturiero con 57.000 posti in meno.

Proprio per questo motivo gli stessi compagni di partito repubblicani del tycoon si erano schierati contro questa iniziativa.

Infine anche il commercio con l’estero con l’Italia potrebbe risentirne poiché l’imposizione di dazi sui prodotti Made in Mexico potrebbe indirettamente ripercuotersi sull’export italiano nel Paese, soprattutto per i settori della meccanica strumentale e dei mezzi di trasporto, che – insieme – rappresentano il 50% del totale delle nostre vendite in Messico, primo mercato di destinazione dell’export Made in Italy in America Latina con 4,3 miliardi di euro nel 2018. Ad esempio, introducendo dazi al 15%, la crescita media delle nostre esportazioni verso il Paese nel periodo 2019-2022 si ridurrebbe al 2,1%, contro il 5,7% previsto dallo scenario base del Rapporto Export SACE SIMEST 2019.

Anche il Belpaese, insomma, avrebbe da perderci, ma l’esito di questa lotta in nome dell’America first è ancora imprevedibile. L’unica certezza è che Trump ha ottenuto il risultato politico di cui aveva bisogno in questo momento, accontentando così l’elettorato repubblicano contrario all’immigrazione illegale. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali. E Trump è naturalmente deciso a presentare risultati concreti ai suoi attuali e potenziali elettori. In questo senso è da leggersi la prova di forza con il Messico: imporre la propria autorevolezza internazionale, accelerare i processi, ottenere risultati concreti e tangibili nel breve periodo. La campagna elettorale è ormai iniziata.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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