Tra il 23 ed il 26 maggio scorsi oltre 200 milioni di elettori europei si sono recati alle urne per scegliere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. Visti i risultati, l’alleanza più probabile sembra essere quella di un triumvirato fra popolari, socialisti e liberali che però difficilmente porterà ad un allentamento dei vincoli comunitari come richiesto a gran voce dalla Lega, vera trionfatrice delle elezioni europee in Italia.
Quel che è certo, dopo la tornata elettorale europea del 26 maggio 2019, è che in Europa si prospettano altri cinque anni senza grossi scossoni: gli elettori del Vecchio Continente infatti – complessivamente – non hanno premiato le forze estremiste rendendo numericamente insostenibile anche una (molto poco probabile) alleanza fra popolari ed europei.
I populisti quindi crescono ma non abbastanza, le due principali famiglie politiche tradizionali (socialisti e popolari) arretrano senza crollare mentre le due vere sorprese di questa tornata elettorale sono rappresentate dai liberali e dai verdi che ottengono risultati clamorosi sia a Berlino che a Parigi.
Secondo i dati ancora non definitivi ma che subiranno eventualmente solo piccolissimi aggiustamenti dei 750 membri del Parlamento europeo 180 dovrebbero andare ai Popolari (24%), 146 ai Socialisti (19,4%), 109 ai liberali di Alde (14,5%), 69 ai Verdi (9,2%), 59 ai Conservatori e riformisti europei (7,9%) e “solo” 58 all’Europa delle nazioni e delle libertà (7,7%) cui fa riferimento la Lega di Matteo Salvini, il gruppo populista ed euroscettico che, però, quasi raddoppia i suoi seggi rispetto alla precedente legislatura in cui contava su 36 membri. Poco più indietro l’Europa della libertà e della democrazia diretta con 54 seggi (7,2%) seguita dalla deludente performance della Sinistra unitaria europea che conquista appena 39 seggi (5,2%).
In definitiva il terremoto sovranista o populista di cui si è tanto parlato negli scorsi mesi non c’è stato, o almeno non ha assunto le proporzioni che in molti immaginavano perché – anche sommando i voti dei tre gruppi parlamentari euroscettici (Conservatori e riformisti europei, Europa delle nazioni e delle libertà ed Europa della libertà e della democrazia diretta) si arriva ad un totale di 171 membri, ovvero circa il 22,8% del totale dei seggi.
Anche un’affluenza che si è rivelata la più elevata degli ultimi 20 anni (intorno al 51%), quindi, non ha permesso l’exploit delle forze estreme che, con tutta probabilità rimarranno ancora ai margini dei processi decisionali.
Vediamo però ora nel dettaglio come sono andate le cose nelle principali quattro economie europee non prendendo in considerazione che il Regno Unito, destinato ad abbandonare Bruxelles.
Germania: ondata verde e crollo socialdemocratico
A Berlino si registra l’incredibile successo dei verdi capaci di raccogliere oltre il venti percento dei consensi (20,7%) e di diventare così il secondo partito a livello nazionale dietro la Cdu-Csu della Merkel (28,4%) che, pur rimanendo primo partito, dimostra una difficoltà crescente. Crollo verticale invece per i socialdemocratici che ottengono poco più del 15 percento delle preferenze mentre anche l’ultra-destra registra una piccola battuta d’arresto attestandosi al 10,5%. Secondo diversi osservatori il voto europeo potrebbe avere forti ripercussioni interne determinando la fuoriuscita dei socialdemocratici dalla coalizione di governo evento che condurrebbe il Paese alle elezioni anticipate.
Francia: storico sorpasso dei sovranisti
Nel Paese transalpino l’onda sovranista ha ottenuto un importante successo grazie all’affermazione del Rassemblement National (23,3%) di Marine Le Pen che ha superato il partito del Presidente Macron fermatosi al 22,4% ma che comunque ha tenuto ottenendo un risultato molto simile a quello del primo turno delle presidenziali. Molto bene anche i verdi al 13,5% i cui voti, sommati a quelli ottenuti dal partito ecologista (6,2%), sfiorano il 20 percento proprio come in Germania. Malissimo infine i repubblicani che, fra il 2002 ed il 2012 prima con Chirac e poi con Sarkozy avevano espresso il Presidente della Repubblica, calati fino ad un modestissimo 8,5%.
Spagna: i socialisti fanno il pieno
A poco più di un mese di distanza dalle elezioni parlamentari i socialisti di Pedro Sanchez fanno invece il pieno in Spagna ottenendo il 32,8% delle preferenze staccando i popolari fermi al 20,1%. Non esultano neanche i centristi di Ciudadanos (12,2%), la sinistra radicale di Podemos-Iu (10,1%) e Vox, il partito di estrema destra, che si ferma al 6,2%. Il voto europeo quindi conferisce al premier in pectore maggiore slancio per procedere nelle complicate consultazioni che porteranno alla formazione del nuovo governo spagnolo.
Italia: Lega pigliatutto
In Italia l’unico vero vincitore delle elezioni europee è la Lega di Matteo Salvini, capace di raddoppiare i propri consensi rispetto alle politiche dello scorso anno ed ottenendo così il 34,3% delle preferenze. Crollo verticale invece per il Movimento 5 Stelle sceso dal 32,7 delle ultime politiche al 17,1% e che lascia per strada oltre 6 milioni di voti. Non può essere troppo soddisfatto neanche il Partito Democratico che, pur ottenendo il 22,7% (in crescita del 4% rispetto alle politiche) ottiene comunque meno voti, in termini assoluti, rispetto a febbraio 2018. Chi invece cresce sia in termini percentuali sia in termini di voti assoluti è l’altro partito sovranista ed euroscettico, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che ottiene il 6,5% e circa 300mila voti in più rispetto alle politiche. Il trionfo della Lega tuttavia, visto il mancato sfondamento delle forze euroscettiche e sovraniste, rischia di non produrre quel cambiamento in termini di regole e parametri europei più volte auspicato da Salvini che, per giunta, adesso si troverà ad affrontare un’estate ed un autunno caldissimi. A stretto giro infatti l’Italia si vedrà recapitare una lettera da Bruxelles in cui le verrà chiesto di chiarire le ragioni degli scostamenti dei dati macroeconomici italiani dai parametri europei, in violazione del patto di Stabilità. Non è quindi escluso che nei prossimi mesi si apra, nei confronti dell’Italia, una procedura d’infrazione per violazione della regola del debito che farebbe lievitare lo spread mettendo in agitazione un’economia in condizioni precarie e che, come se non bastasse, già deve trovare entro la fine dell’anno, per evitare l’aumento dell’Iva e correggere il deficit strutturale, ben 30 miliardi euro. Un’impresa molto difficile da portare a termine senza perdere consenso perché il rischio di dover “mettere le mani nelle tasche degli italiani” per far quadrare i conti sembra più concreto che mai.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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