Negli ultimi anni il Belpaese è cresciuto in termini di investimenti stranieri ed appetibilità, ma rimane ancora molto indietro rispetto ai suoi principali competitor europei. Inoltre si evidenzia la presenza di alcuni elementi fra cui tensioni commerciali, aumento del debito pubblico nazionale ed instabilità politica che potrebbero incidere negativamente sull’appeal della Penisola nel prossimo futuro.
Dal 2014 ad oggi l’aumento degli investimenti stranieri sul PIL in Italia è stato del 5% contro il +1% fatto segnare dalla Germania, il +2% dalla Spagna, il +6% dal Regno Unito ed il notevole +9% della Francia. Un confronto che potrebbe ingannare perché, in termini assoluti, l’incidenza degli investimenti esteri sul PIL tricolore si ferma al 21%, molto al di sotto rispetto al quasi 60% di Londra, al 42% di Madrid ed al 34% di Parigi.
Ciò è dovuto principalmente al tessuto economico italiano costituito soprattutto da piccole PMI che faticano ad attrarre grandi capitali rispetto ai marchi storicamente forti come ad esempio Magneti Marelli, Versace, Pirelli ed Ansaldo che negli ultimi anni sono stati protagonisti delle più grandi acquisizioni in termini di valore.
Vediamo ora come l’Italia si piazza nelle diverse graduatorie che ne valutano l’appetibilità dal punto di vista degli investitori stranieri.
Innanzitutto a livello mondiale nel triennio 2014-2017 l’Italia si è posizionata al 19° posto tra i Paesi che più attraggono investimenti secondo il World Investment Report 2018 dell’UNCTAD con 59 miliardi di dollari rispetto ai 47 del triennio precedente (+25,5%). Secondo l’indice di fiducia AT Kearney, basato sulle valutazioni di manager appartenenti a migliaia di aziende internazionali, il Belpaese recupera importanti posizioni in termini di attrattività passando dalla numero 20 del 2014 alla 8 del 2019 dietro a Stati Uniti, Germania, Canada, Regno Unito, Francia, Giappone e Cina. Ancora secondo lo stesso studio tra gli elementi che più pesano sulla scelta del Paese nel quale investire troviamo la disponibilità di obiettivi qualitativi (33%), l’ambiente macroeconomico (30%), disponibilità di finanziamenti (26%), tolleranza del rischio (24%), quadro normativo (22%), costi (21%) e dinamica del cambio valuta (19%).
Passiamo poi alla capacità di attrazione delle aziende nel settore digitale dove, con sorpresa, l’Italia si posiziona al primo posto nell’indice Digital Tax Index di PWC per il minor onere fiscale effettivo sugli investimenti in digitalizzazione d’impresa nel confronto con le 33 principali economie mondiali.
Per ciò che concerne invece la facilità di fare business il Belpaese perde terreno nell’importante ranking “Ease of Doing Business” stilato dalla World Bank dove cede quattro posizioni rispetto al 2018 scivolando al 51esimo posto, preservando comunque la valutazione di “very easy” ed il primo posto nell’indicatore “Trading Across Borders” che misura le tempistiche delle procedure di sdoganamento merci. Questo a dimostrazione che un punto di forza della penisola è sicuramente l’organizzazione logistica e la posizione strategica al centro del Mediterraneo, fattore su cui ha fatto leva il Governo per la firma del MOU con la Cina.
Altro elemento fondamentale per gli investitori internazionali è la forza del brand: secondo la classifica del Financial Times il “Brand Italia” si posiziona all’8° posto nel 2018 per valore economico e forza del marchio dopo Stati Uniti, Cina, Germania, Regno Unito, Giappone, Francia e Canada.
Quelli appena menzionati sono sicuramente aspetti su cui far leva per attrarre nuovi capitali stranieri in Italia, seppur c’è molto ancora da fare per semplificare il processo di investimento attraverso riforme strutturali volte a snellire la forte burocratizzazione che contraddistingue il Belpaese.
Le PMI italiane sono pronte a raccogliere la sfida?
Qualcosa però negli ultimi anni sta cambiando soprattutto per le PMI che, in un ambiente altamente competitivo, devono per forza di cose aprirsi ai capitali stranieri per aumentare i propri fatturati attraverso l’espansione internazionale. Stefano Barrese, responsabile della Banca dei territori del gruppo Intesa Sanpaolo, ha affermato che “pur essendoci uno storico ritardo di apertura del capitale delle PMI italiane, per motivi spesso culturali e familiari, stiamo vedendo un risveglio, con sempre maggiore consapevolezza tra gli imprenditori: accogliere nuovi investitori è una strategia vincente per la redditività, date anche le competenze tecniche e la capacità di diversificazione che produce”. Lo stesso Barrese procede poi a tracciare il profilo dell’investitore ideale che deve essere “paziente, con visione di lungo periodo e capace di far evolvere la gestione finanziaria delle PMI, che spesso rappresenta il loro punto debole, seppur negli ultimi anni si è assistito a numerosi percorsi di rafforzamento patrimoniale che hanno portato freschezza tra le imprese italiane”.
È chiaro che il Belpaese piace agli investitori stranieri, ma è necessario un cambiamento di rotta in termini di strategia ed organizzazione per attrarre più capitali dall’estero. È di questo avviso Fernando Napolitano, presidente di Italian business & investment initiative, secondo il quale “a Wall Street sono in fase di raccolta vari fondi con una taglia da 2 a 9 miliardi di dollari, purtroppo per gli americani l’Italia è solo al 38° posto tra le mete dove investire. Per risalire la china servono strategie più stabili da parte del governo, una migliore comunicazione delle imprese italiane nel mondo e una scossa del settore privato per andare oltre nicchie e interessi particolari, tornando protagonisti sulle filiere che sono ormai globalizzate: indietro non si torna più”.
A tal proposito negli ultimi anni è stata potenziata la struttura di Invitalia, ovvero l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa di proprietà del Ministero dell’Economia. L’auspicio è che l’Italia diventi nel prossimo futuro un Paese a misura di investitore, attraverso la creazione di un ambiente favorevole per accogliere nuovi capitali dall’estero vincendo la concorrenza delle altre principali economie mondiali.
Per far ciò è necessario attuare riforme strutturali, puntando ad un abbassamento della pressione fiscale con l’obiettivo principale di attrarre nuovi capitali che possano favorire l’occupazione. Nondimeno sarà fondamentale già nel breve periodo attuare un processo di semplificazione burocratica per facilitare il percorso d’investimento, aspetto sul quale Invitalia sta già lavorando per far fronte alla macchinosità del nostro Paese. La speranza è che il Governo gialloverde, in carica da un anno, dia ora un segnale forte agli investitori internazionali creando un ambiente sempre più “business friendly”.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it
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