L’economia cinese sta assistendo nell’ultimo periodo ad un forte rallentamento dovuto principalmente ad una progressiva compressione del ruolo delle imprese private come motori della crescita. Così, per invertire questa tendenza negativa, il governo ha deciso di ricorrere alla leva fiscale, annunciando una nuova maxi riforma.
Il Dragone ha rivisto a ribasso i suoi target di crescita del Pil per il 2019, dal previsto 6,5% ad una forbice compresa fra il 6 e il 6,5% contro il 6,6% del 2018, che era già stato il livello più basso dal 1990. Ma quali sono i fattori che hanno determinato questa contrazione?
Per capire cosa stia realmente succedendo è necessario osservare da vicino la struttura della bilancia dei pagamenti cinese, che registra la tipologia di transazioni sottostanti ai movimenti di capitali.
Dagli ultimi dati del China State Administration for Foreign Exchange, il primo fenomeno che balza agli occhi è la riduzione tendenziale dell’avanzo delle partite correnti, che dai livelli record pre-crisi (fino a 10% del PIL) ha raggiunto quasi la parità alla fine del 2018 e, secondo Morgan Stanley, nel 2019 si potrebbe addirittura assistere al primo deficit delle partite correnti della Cina dal 1993.
La riduzione dell’afflusso di capitali verso la Cina è ricollegabile innanzitutto ad una riduzione dell’avanzo commerciale causato dall’erosione della competitività cinese sui mercati mondiali, a seguito dell’aumento dei salari e della crescita della concorrenza estera sulla produzione manifatturiera a basso costo, soprattutto da parte del Sud-Est asiatico.
Con l’obiettivo di rilanciare la propria economia, la Cina ha quindi deciso di sfruttare la leva fiscale prevedendo alcune nuove misure.
Le novità più importanti riguardano il sistema dell’IVA, uno strumento chiave nella gestione dell’economia cinese. In pratica, due aliquote IVA su tre sono state ritoccate all’ingiù, passando dal 16 al 13% e dal 10 al 9%. Tale cambiamento darà certamente sollievo alle imprese e ai consumatori e rappresenta un passo significativo da parte del governo per migliorare l’attività economica in alcuni settori e ridurre l’impatto complessivo del carico fiscale.
Inoltre, tra il 2019 e il 2020, il governo ha dichiarato che cercherà di ridurre il numero di aliquote IVA da tre (il 6%, il 9% e il 13%) a due e saranno previsti anche trattamenti dei preferenziali, come un aumento dei crediti ai produttori e ai fornitori di servizi che incidono maggiormente nel vivere quotidiano, al fine di ridurre il carico fiscale di tutti i contribuenti.
Altre misure riguardano invece la deducibilità delle spese che le aziende sostengono per l’acquisto di nuove strumentazioni e per la formazione. Nello specifico, le spese effettuate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2020 e con un valore unitario non superiore a 5 milioni di yuan, saranno interamente deducibili nel periodo corrente ai fini dell’imposta sul reddito delle società e non più semplicemente ammortizzabili su più anni. Contestualmente, si prevede anche l’aumento del limite di deduzione per le spese di educazione del personale dal 2,5% all’8% dell’importo totale del salario annuale. Inoltre, l’ammontare delle spese per la formazione del personale eccedente il limite indicato potrà essere riportato e richiesto come deduzione negli anni fiscali futuri, senza limitazioni.
Il piano fiscale messo in campo dal governo cinese prevede poi importanti iniziative a favore di entità e investitori esteri.
Una misura pensata per le aziende straniere è quella che sancisce lo stop alla loro esclusione dalla super deduzione sulle spese in R&S da esse commissionate e/o condotte. In sostanza, tale deduzione non soltanto si allarga a società estere, ma è aumentata dal 50% al 75% per le spese di ricerca e sviluppo effettivamente sostenute da un’impresa quando tali attività non hanno ancora dato origine a attività immateriali e non sono maturate nel conto profitti e perdite dell’esercizio corrente. Inoltre, il 175% dell’ammortamento delle attività immateriali formate attraverso le attività di ricerca e sviluppo potrà essere richiesto come deduzione ai fini dell’imposta sul reddito delle società.
Infine, per gli investitori stranieri si stabilisce una esenzione fiscale sugli interessi obbligazionari. Si tratta di un’esenzione di 3 anni dall’imposta sostitutiva sul reddito delle società (WHT) e dall’imposta sul valore aggiunto per gli interessi maturati sui titoli di origine cinese da investitori istituzionali esteri. Questa misura, che avrà termine nel 2021, riveste un ruolo chiave nel rafforzare l’attrattiva del mercato obbligazionario cinese nei confronti del capitale straniero, limitando le perdite fiscali che altrimenti ridurrebbero il loro rendimento complessivo. Dunque, quest’ultima misura, oltre ad essere accolta con grande favore dagli investitori istituzionali esteri, rappresenta un passo significativo nell’apertura del mercato obbligazionario in Cina.
Tuttavia, di fronte a questo nuovo piano di incentivi, alcuni economisti si sono espressi in maniera mite. Secondo Larry Hu, economist dell’australiana Macquarie, il piano di incentivi fiscali e tagli alle tasse varati negli anni scorsi non hanno fatto un granché per rinvigorire l’economia e questo perché a fronte di questi incentivi il governo aumenta sempre la stretta sul fronte della riscossione. “Gli sgravi concessi – ha detto – saranno in larga parte compensati in altre aree del bilancio”. Inoltre questo tipo di misure, ha aggiunto Tai Hui, di Jp Morgan Asset Management, “impiegano del tempo prima di avere effetto concreto sull’economia”.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca Simonelli, redazione@exportiamo.it
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