Dalla Brexit alla possibile recessione dell’Eurozona, fino alla “guerra dei dazi” e il ruolo che l’Italia giocherà nella nuova “Via della Seta”, sono molte le variabili che potrebbero influenzare l’andamento dell’economia del Belpaese, già precaria e prossima alla recessione. In questo scenario, l’export potrebbe rappresentare l’unica ancora di salvezza.
“Italia ferma“: suona come una sentenza la frase di apertura del Rapporto di primavera del Centro studi di Confindustria (CSC) intitolato “Dove va l’economia italiana e gli scenari geoeconomici”, presentato lo scorso 27 marzo presso la sede centrale di Confindustria a Roma.
Sono state infatti corrette al ribasso le precedenti stime di crescita del PIL, prevendo un dato nullo nel 2019 (contro il + 0,9% della stima precedente) e un +0,4% nel 2020. A dir la verità già in ottobre il CSC aveva evidenziato una lunga serie di rischi, interni ed esterni, che avrebbero potuto incidere sulla crescita dell’economia italiana ma, a ben vedere, sono stati due i principali elementi che, a partire dalla metà del 2018, hanno deteriorato lo scenario preesistente. Da un lato, il persistere di un elevato valore del rapporto debito/PIL (con inevitabili riflessi sull’appetibilità dei bond italiani che ha inciso sui volumi dei crediti erogati alle imprese da parte delle banche) e, dall’altro, il progressivo crollo della fiducia delle imprese, specie nel manifatturiero, che si è sommato al deterioramento del sentiment delle famiglie italiane che ha provocato il rallentamento dei consumi interni.
Bisognerebbe quindi intervenire su questi due fronti per far sì che la fiducia sia da parte degli investitori sia da parte di famiglie e imprese torni a crescere, rendendo così efficaci le misure di policy espansive messe in campo. Secondo Csc infatti le misure decise dal governo per incrementare la crescita, non avranno l’impatto auspicato. Nel rapporto si chiarisce come il contributo di 0,8 punti cumulati in tre anni che dovrebbe apportare il reddito di cittadinanza sui consumi sarà di fatto annullato dal calo di fiducia determinato dal suo finanziamento in deficit, che porterà quindi le famiglie ad aumentare la propensione al risparmio piuttosto che la spesa in consumi e lo stesso ragionamento vale anche per la misura “quota 100” per cui viene stimato un contributo potenziale di 0,6 punti in tre anni.
Commentando le previsioni che hanno prospettato un futuro a dir poco grigio per l’economia italiana, i leader della Lega e Movimento 5 stelle hanno espresso opinioni divergenti. “Verranno smentite clamorosamente dai fatti. È pieno di gufi. Ci hanno sempre ‘cannato’ in passato”, ha detto Matteo Salvini, mentre Di Maio ha usato tutto un altro tono ammettendo che “le preoccupazioni di Confindustria sono le nostre”.
A meno che non si realizzi l’auspicato cambio di passo nella politica economica nazionale, l’unica leva che può essere utilizzata per scongiurare la recessione rimane l’export.
Nello scenario CSC, la crescita delle esportazioni di beni e servizi, dopo il rallentamento del 2018 (+1,9%), ripartirà su ritmi moderati: +2,6% nel 2019 e +3,4% nel 2020. Rispetto alle stime del Rapporto CSC di ottobre 2018, i dati del commercio estero risultano essere migliori grazie alla buona performance di fine 2018 che ha fatto registrare una crescita delle esportazioni di 1,6 punti percentuali.
Tuttavia è necessario fare attenzione all’incertezza dei fattori geoeconomici che potrebbero avere un significativo impatto sulla crescita italiana, amplificato dai profondi legami commerciali, produttivi, finanziari, energetici e tecnologici che legano l’Italia con l’estero.
Per il 2019, Confidustria ha evidenziato i seguenti 6 fattori che potrebbero inficiare le previsioni del biennio:
- Evoluzioni politiche nell’Unione europea. La Brexit e le elezioni europee aprono a scenari incerti e inediti. Sicuramente se si vogliono intraprendere riforme condivise servirà una coalizione più ampia di quella passata, con le incognite che ne deriveranno sulla spinta propulsiva che il Parlamento saprà imprimere. L’Italia, dove è probabile che le forze che otterranno più seggi non faranno parte della maggioranza del Parlamento europeo, potrebbe correre il rischio di rimanere isolata.
- Eurozona in recessione. Cosa succede se l’Eurozona va in recessione? In caso di uno shock negativo in Germania o in altri Paesi europei, l’Italia sarebbe vulnerabile, oltre che sul fronte commerciale e finanziario, anche su quello dei conti pubblici: oltre 150 miliardi di debito pubblico italiano sono detenuti dalle banche dei 10 maggiori Paesi europei. Pesano le mancate riforme europee, in tema di strumenti di stabilizzazione del ciclo e completamento dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali.
- Escalation di attacchi cibernetici. Con 20 miliardi di computer connessi nel mondo, gli attacchi cibernetici su scala globale sono destinati a crescere. L’Italia è particolarmente vulnerabile, piazzandosi al 25° posto (su 28) in Europa per competenze digitali, a causa di scarsi o nulli investimenti specifici. È necessario sostenere gli investimenti privati in sicurezza con misure d’incentivo pubblico, a partire dagli sgravi fiscali per l’acquisto di servizi di cyber-security, attualmente riconosciuti dal governo.
- Caduta di Wall Street. L’attuale fase di espansione dell’economia Usa dura da quasi 10 anni e l’indice di Wall Street è tornato vicino ai livelli massimi, dopo lo scivolone di fine 2018. Che succede se si inceppa la locomotiva USA? La Borsa e l’economia in Italia (e in Europa) sono molto legate alle dinamiche americane; in uno scenario estremo di una crisi finanziaria negli Stati Uniti, paragonabile a quella 2007-2009, l’impatto negativo sul PIL italiano sarebbe superiore a un punto percentuale.
- Usa-Cina: guerra o pace (commerciale). Stati Uniti e Cina sembrano vicini a un accordo commerciale. Ciò metterà fine alle tensioni strategiche tra le prime due economie mondiali? Si possono analizzare due scenari opposti: un accordo “profondo” ridurrebbe l’incertezza e farebbe ripartire il commercio mondiale, ma l’Italia e l’Europa correrebbero il rischio di una marginalizzazione. Un’escalation protezionistica, invece, si estenderebbe rapidamente al resto del mondo, con effetti distruttivi per le catene globali del valore e una perdita fino a tre punti di Pil mondiale. Occorre superare al più presto lo stallo nella governance globale, facendo seguito alla proposta di riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio presentata dall’Unione europea.
- Italia nella Nuova Via della Seta cinese. Le tensioni strategiche sino-americane, anche in caso di un accordo bilaterale, si riverseranno in territorio europeo: dal tema degli investimenti cinesi nella Nuova via della Seta a quello digitale (il 5G di Huawei), con la sottostante minaccia dei dazi Usa nell’automotive. Per l’Europa la domanda e gli investimenti cinesi rappresentano un’opportunità e l’Italia occupa una posizione privilegiata lungo la Via della Seta se si considera che il 60 per cento degli scambi europei con la Cina avviene via mare. Tuttavia, l’export italiano è in ritardo in Cina e i nostri porti hanno perso posizioni: dal 2008 al 2018 l’Italia è scesa dal secondo al decimo posto come destinazione e origine delle merci tra i Paesi a nord del canale di Suez (dietro a Grecia, Spagna e Turchia). Una maggiore cooperazione con la Cina è necessaria, ma senza rotture con il principale alleato atlantico e soprattutto costruendo una posizione negoziale forte.
Infine, al fine di tracciare una mappa mondiale delle aree strategiche più importanti per l’economia italiana, il Centro Studi Confindustria ha elaborato un Indice sintetico di Rilevanza Geoeconomica (IRG) per oltre 100 Paesi. Da questa mappa geoeconomica emergono tre messaggi principali:
• La Francia è il principale partner dell’Italia in campo finanziario e la Germania in campo commerciale;
• Per l’energia, l’Italia dipende soprattutto dalla Russia e dal Medio Oriente;
• Gli Stati Uniti rimangono il principale partner geoeconomico dell’Italia: sono primi per cooperazione tecnologica e rappresentano ancora il mercato di destinazione più grande del mondo e il secondo più dinamico, dopo la Cina.
Ma la considerazione più importante da fare rimane senz’altro una: affinché l’Italia raggiunga il magro obiettivo di una crescita nulla, è necessario che la domanda mondiale regga e che non si materializzi nessun fattore di rischio esterno. L’unico modo per alleggerire questo forte legame di interdipendenza tra l’economia italiana e mondiale, è rafforzare la domanda interna attraverso investimenti sia pubblici che privati, facendo sempre attenzione a non innalzare ulteriormente il livello del debito pubblico.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca Simonelli, redazione@exportiamo.it
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