La Colombia, la quarta economia dell’America Latina (dopo Brasile, Messico ed Argentina) sta attraversando un preoccupante periodo di paralisi a livello governativo. Il nuovo Presidente Ivàn Duque, messo alla prova dalla crisi al confine con il Venezuela, deve necessariamente dare risposte chiare al suo elettorato deluso dopo i primi 7 mesi di governo.
Meno di un anno fa, e più precisamente lo scorso 17 giugno, le elezioni presidenziali colombiane hanno decretato la vittoria di Ivàn Duque, sostenuto dal partito conservatore Centro Democratico, in grado di prevalere su Gustavo Petro, leader del partito progressista Colombia Humana. Tuttavia il nuovo esecutivo, insediatosi ufficialmente il 7 agosto 2018, è in forte difficoltà a causa dell’eccessiva frammentazione del parlamento (composto da 12 partiti) che ha condotto ad un diffuso malcontento popolare sfociato in numerose proteste nelle principali città colombiane.
Infatti, secondo i sondaggi realizzati da Gallup, la popolarità di Ivàn Duque è crollata dal 54 al 27% dopo i primi tre mesi di governo, mentre ben il 74% degli intervistati ne critica l’operato. Tali risultati hanno portato il leader del Centro Democratico ad essere il peggior Presidente colombiano, in termini di consenso, degli ultimi 25 anni. Va però detto che, successivamente, la severa condanna al regime dittatoriale di Maduro in Venezuela ha riportato Duque ad un gradimento del 42,7%. Adesso però, per conquistare i colombiani, è arrivato il momento di dar attuazione al programma di sviluppo quadriennale da 355 miliardi di dollari promesso per far uscire 1,5 milioni di colombiani dalla povertà, ridurre la disoccupazione e spingere la crescita. Una sfida non semplice da vincere anche considerando la condizione di “anatra zoppa” in cui l’esecutivo si trova costretto ad operare che sta paralizzando l’iter delle riforme previsto per la mancanza di una maggioranza assoluta e per il persistere di alcune divergenze interne allo stesso Centro Democratico.
La Colombia cresce grazie all’export
Secondo il FMI nel 2018 il PIL colombiano ha raggiunto quota 336,9 miliardi di dollari mettendo a segno una crescita del 2,8% rispetto al 2017. Inoltre le previsioni per il prossimo biennio sono altrettanto positive tanto che ci si aspetta un’ulteriore accelerazione sia nel 2019 (+3,6%) che nel 2020 (+3,7%).
Tra i fattori trainanti citiamo la forte ripresa delle esportazioni, la crescita degli IDE in entrata (Stati Uniti in primis), i nuovi piani infrastrutturali e la bonifica di milioni di ettari di territori destinati all’agricoltura. Inoltre il 30 maggio dello scorso anno la Colombia ha firmato un accordo di adesione all’OCSE, ulteriore segnale positivo per l’economia colombiana che gode di una certa stabilità e che esibisce tassi di cresciuta superiori rispetto agli altri Paesi dell’area, in particolare dopo l’accordo di pace siglato con le FARC. Nondimeno il Paese si è dimostrato molto resiliente rispetto al deprezzamento del petrolio grazie ad una progressiva diversificazione delle attività economiche.
Secondo il DANE (Departamento Administrativo Nacional de Estadística) nel periodo gennaio-novembre 2018 le esportazioni colombiane sono aumentate del 13,4% rispetto allo stesso riferimento cronologico del 2017. Ad incrementare maggiormente sono state le esportazioni di petrolio, beni manifatturieri e prodotti agricoli anche per via di un miglioramento delle condizioni metereologiche.
Cresce anche il settore minerario tanto che, secondo la viceministra Carolina Rojas Reyes, sono circa 8.000 le richieste in esame per il rilascio dei permessi necessari al fine di esplorare ed eventualmente estrarre minerali in potenziali giacimenti del Paese. Sebbene l’industria mineraria incida solo per il 2,1% sulla formazione del PIL, è ritenuta dal nuovo governo un’attività prioritaria con grandi potenzialità per lo sviluppo del Paese latinoamericano. Infine gli Investimenti Diretti Esteri, dopo un periodo di forte contrazione nel biennio 2015-2016 (12 miliardi di dollari e -25%), sono lievitati fino a 14,6 miliardi di dollari nel 2018, ovvero il 4,3% del PIL colombiano.
Le opportunità per le PMI italiane
Una delle caratteristiche meno conosciute del sistema giuridico colombiano è il rispetto degli investimenti stranieri tanto che nella classifica “Doing Business” stilata dalla Banca Mondiale la Colombia si piazza al 15° posto globale tra i Paesi che più proteggono e garantiscono gli investitori esteri.
Le imprese italiane nel 2018 hanno investito in Colombia ben 400 milioni di euro. A Cartagena, Tenaris ha inaugurato un sito produttivo di tubi con una capacità annua di 250mila tonnellate destinate all’industria petrolifera di tutto il continente. Anche Pirelli ha aperto un centro di distribuzione per servire i Paesi dell’area, mentre ulteriori investimenti hanno coinvolto Enel, FCA, Saipem, Iveco, Acea, Ansaldo, Salini-Impregilo, Trevi, Ferrero, Cirio, Barilla e De Cecco. Illy e Lavazza negli ultimi anni si sono entrambe schierate in prima linea per la riconversione dei terreni dalla coca alla produzione di un caffè di alta qualità.
Una delle principali ragioni per cui scegliere la Colombia è senza dubbio la sua collocazione geografica poiché si affaccia su due oceani e confina con ben 5 paesi: Brasile, Venezuela, Panama, Perù ed Ecuador. Inoltre la firma negli ultimi anni di vari trattati internazionali di libero scambio ha ulteriormente facilitato questo ruolo di ponte tra Sud e Nord America.
Inoltre il piano d’investimento da ben 355 miliardi di dollari potrebbe offrire notevoli opportunità alle PMI italiane in diversi settori, in particolare per ciò che concerne lo sviluppo infrastrutturale visto che il ministero dei Trasporti colombiano sembra intenzionato a mettere in campo diversi progetti che riguardano: aeroporti (4 miliardi di dollari per 10 piani di ammodernamento e 2 nuovi siti), porti (2,1 miliardi per ammodernamento e nuove FTZ), trasporto fluviale con il miglioramento della navigabilità del Rio Magdalena (1,3 miliardi) e nuove linee ferroviarie (4,2 miliardi). In totale su tutto il territorio colombiano sono previsti 40 progetti infrastrutturali per un valore complessivo di oltre 50 miliardi di dollari.
In più il nuovo esecutivo ha dichiarato di voler investire con convinzione nei prossimi anni sulla cosiddetta “economía naranja” con l’obiettivo di stimolare la crescita attraverso il finanziamento dell’industria creativa ed in particolare architettura, arti visuali e sceniche, artigianato, cinema, disegno, editoria, ricerca e sviluppo. Attualmente il settore pesa per il 2,92% sul totale del PIL generato, ma l’intenzione di Duque è quella di raddoppiare questa percentuale entro il 2022 attraverso dei piani di finanziamento ad hoc che potrebbero creare oltre 100.000 nuovi posti di lavoro nel prossimo triennio. Infine ulteriori interessanti opportunità potrebbero aprirsi per le PMI italiane anche nel settore dell’industria creativa.
In conclusione il futuro di Bogotà dipenderà in buona parte dalla ripresa da questo stato di paralisi del governo che, negli ultimi mesi, oltre a dover gestire il malcontento popolare, si trova a fronteggiare in prima linea il grave problema al confine con il Venezuela con Juan Guaidò che chiede nuove elezioni democratiche per contrastare il regime dittatoriale instaurato da Maduro negli ultimi anni.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it
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