A meno di un mese dalla deadline fissata per l’implementazione della Brexit e dopo quasi tre anni di febbrili trattative politiche non è ancora chiaro cosa accadrà nei rapporti fra Londra e Bruxelles. Scopriamo insieme alcune delle possibili conseguenze per le imprese che fanno business con il Regno Unito.

Lo scorso 15 gennaio la House of Commons ha rigettato l’accordo siglato dal governo May con i vertici dell’UE, costringendo le parti a nuove trattative, anche per scongiurare l’ipotesi no deal, che viene definita come una catastrofe da quasi tutti gli ambienti economici britannici. Il Sunday Times la definisce addirittura l’apocalisse. Il prestigioso giornale britannico ha infatti immaginato diversi possibili scenari dell’eventuale mancato accordo tra Londra e Ue, passando da una gestibile soft Brexit ad un addio assai più complicato con supermercati, farmacie e distributori di benzina che rimarrebbero a secco dopo poche ore di attività dalla fatidica data di uscita, mentre il Porto di Dover collasserebbe immediatamente.

L’unica certezza è che, qualunque sarà lo scenario, la Brexit avrà conseguenze significative per gli imprenditori europei in affari con la Gran Bretagna.

Punto fermo, per la maggior parte degli operatori del settore è che, in caso di mancato accordo commerciale tra Ue e Gran Bretagna, le norme da adottare sarebbero quelle del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, creata allo scopo di supervisionare numerosi accordi commerciali tra gli stati membri.

Nel frattempo, gli avvocati, costretti a navigare a vista, hanno consigliato agli imprenditori di inserire delle clausole ‘anti Brexit’ nei contratti, specialmente quelli di lunga durata al fine di proteggere gli interessi di entrambe le parti, garantendo loro di rinegoziare l’agreement o addirittura di rescinderlo, in caso di imprevedibili e gravi situazioni.

Purtroppo anche il governo britannico sembra navigare a vista non escludendo affatto un’uscita dal mercato unico senza un accordo. Pertanto l’esecutivo guidato da Theresa May ha invitato le aziende a tenersi pronte anche a dover intervenire prima del 29 marzo 2019.

Con una nota ufficiale del 6 Febbraio 2019 dal titolo “Importing, exporting and transporting products or goods after Brexit” il governo ha avvisato gli imprenditori che dopo Brexit potrebbero esserci dei cambiamenti negli scambi commerciali tra Regno Unito ed Unione europea specialmente a livello di frontiere doganali, tariffe, IVA, sicurezza e protezione delle merci, documentazione e controllo dei prodotti.

Agli imprenditori dell’import/export con sede in Regno Unito il Governo ha altresì consigliato di ottenere lo “UK Economic Operator Registration and Identification (EORI) number”. L’EORI è un codice per identificare l’imprenditore ed i propri prodotti, assegnato dall’ HMRC (l’autorità governativa britannica responsabile per la riscossione delle imposte) e da utilizzare nei procedimenti di dichiarazioni doganali e di sdoganamento per le spedizioni da o verso il Regno Unito. Le aziende che lo otterranno potranno così continuare ad importare ed esportare le proprie merci e richiedere le autorizzazioni che semplificheranno i processi doganali, anche in caso di uscita dal’UE senza un accordo.

In particolare se per esportare si utilizza una azienda di autotrasporti sarà utile contattarla per sapere se questa può fare dichiarazioni doganali relative ai beni trasportati, o se invece dovrà farle l’impresa committente. In quest’ultimo caso l’imprenditore dovrà decidere se eventualmente assumere un agente di import-export specializzato nelle dichiarazioni doganali.

A tal proposito il governo, lo scorso 4 dicembre 2018, ha pubblicato una direttiva guida dal titolo inequivocabile: “Customs procedures if the UK leaves the EU without a deal”, provando a semplificare le procedure doganali in caso di uscita dal mercato unico. In definitiva le imprese che importano e/o esportano dal o verso il Regno Unito dovranno applicare sulle merci le procedure doganali, le accise e l’IVA che già si applicano alle merci esportate nei Paesi extracomunitari.

Settore agroalimentare

Un piccolo approfondimento a parte merita il mercato di importazione di cibi e bevande, molto caro agli inglesi (che importano praticamente di tutto da tutti) ed alle Pmi italiane, che esportano in Regno Unito un’alta percentuale di cibi e bevande. Ovviamente in tale comparto resteranno in vigore le norme sulla sicurezza alimentare (sia in Gran Bretagna sia nell’UE) mentre si prevedono alcune modifiche nelle varie fasi procedurali.

In particolare:

1. Le etichette sull’origine del cibo subiranno inevitabili variazioni

Se si importano prodotti alimentari dal Regno Unito, l’uso del termine “UE” nell’etichettatura di origine non sarà più utilizzabile per gli alimenti o gli ingredienti. Inoltre alcuni prodotti richiederanno ulteriori cambiamenti: ad esempio, le etichette di miscele di miele provenienti da più di un Paese che fanno riferimento all’UE saranno sostituite.

2. Indirizzi sulle etichette degli alimenti

Un produttore, distributore, importatore o rivenditore di prodotti alimentari preconfezionati nel Regno Unito dovrà includere nell’etichetta il nome ed un indirizzo del Regno Unito dell’operatore del settore alimentare responsabile, ovvero dell’attività sotto il cui nome l’alimento è commercializzato nel Regno Unito o, se tale operatore non è stabilito nel Regno Unito, il nominative dell’importatore del prodotto nel Regno Unito. Un indirizzo Ue da solo non sarà più valido per il mercato del Regno Unito. Allo stesso modo, un indirizzo del Regno Unito da solo non sarà più valido per il mercato dell’UE e sarà richiesto un indirizzo all’interno di uno dei Paesi dell’UE. Un indirizzo del Regno Unito con un indirizzo UE sull’etichetta significherà dunque che essa è valida sia per il mercato britannico che per quello europeo. Tuttavia, gli alimenti già etichettati ed immessi sul mercato del Regno Unito con un indirizzo EU27, potranno essere venduti fino ad esaurimento scorte. Il governo britannico sta comunque esplorando tutte le opzioni per consentire periodi di transizione per le modifiche delle etichette all’interno del mercato del Regno Unito ed ha già comunicato che alcuni aggiornamenti saranno presto divulgati.

In conclusione sono in molti nel Regno di Sua Maestà (ad eccezione degli brexiters più ortodossi) a sperare nella conclusione di un last minute deal che garantisca tranquillità e continuità nello scambio di beni e servizi tra Londra e Bruxelles anche se gli scenari più cupi, impensabili fino a qualche mese fa, sono tutt’altro che scongiurati.

Fonte: a cura di Exportiamo, Avv. Gianluigi Cassandra, Avvocato a Manchester e Liverpool, redazione@exportiamo.it

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