Le proteste anti-governative delle ultime settimane stanno facendo riemergere i nodi irrisolti di un Paese che sembra progressivamente allontanarsi da un’auspicabile adesione all’Ue.
Negli ultimi giorni l’evolversi della situazione socio-politica a Tirana sta portando esperti e commentatori ad occuparsi con un insolito interesse di quello che sta accadendo nel “Paese delle aquile” portando alle luce dei riflettori internazionali il cosiddetto “caso albanese”.
In tal senso una data fondamentale è quella del 16 febbraio scorso quando le opposizioni, guidate dal Partito Democratico d’Albania d’orientamento conservatore, hanno dato vita ad una manifestazione di protesta in cui i dimostranti hanno provato ad entrare con la violenza all’interno del palazzo del governo, riuscendo addirittura ad arrivare al primo piano dell’edificio. Da allora le manifestazioni sono proseguite e, a detta degli oppositori, si arresteranno solamente quando l’esecutivo socialista guidato da Edi Rama deciderà di dimettersi.
Le immagini riprese da svariate emittenti straniere hanno fatto il giro del mondo suscitando un certo scalpore dal momento che hanno “restituito” un’immagine dell’Albania molto diversa rispetto a quella mainstream veicolata negli ultimi anni. Tirana è infatti diffusamente descritta come un Paese in forte sviluppo, con appeal crescente sia sugli investitori internazionali – attratti da una tassazione molto contenuta (corporate tax al 15%) – sia sui turisti per via dell’opportunità di godere, a buon mercato, delle spesso sottovalutate bellezze naturali albanesi (in particolare le coste).
Episodi di questo tenore comunque non sono una novità per l’Albania, abituata a fronteggiare uno scontro politico in un cui i due principali partiti – democratico e socialista – chiamano periodicamente alle armi i propri elettori al fine di delegittimare i propri avversari politici. Tuttavia rappresenta invece una novità quanto accaduto lo scorso 19 febbraio: a seguito della protesta di tre giorni prima tutti e 43 i deputati del Partito Democratico si sono dimessi in blocco, gettando il Paese in una situazione molto delicata. In Albania infatti le dimissioni dei deputati non devono essere confermate dal Parlamento e così l’Assemblea Nazionale rischia di rimanere “monca”. La situazione ha provocato una dura reazione da parte di Bruxelles che non ha nascosto la propria delusione ed il proprio rammarico per l’accaduto, specificando che potrebbero esserci pesanti ripercussioni per quel che concerne l’adesione dell’Albania all’Ue.
Tutto ciò si inserisce in un contesto nel quale i cittadini, esasperati da una situazione economica paradossale non rintracciano una diretta corrispondenza fra crescita del Pil (vicina ad una media annuo del +4% fra il 2016 ed il 2018) ed incremento del proprio benessere personale. In particolare nel Paese fatica ad intravedersi la possibilità di un futuro migliore per le nuove generazioni con la disoccupazione giovanile che rimane vicina al 25%: per questo sono numerosissimi i giovani, ormai totalmente scoraggiati, che decidono di lasciare il Paese. In più la disillusione è certificata anche da un altro dato preoccupante ovvero il bassissimo tasso di partecipazione elettorale (alle ultime politiche del 2017 solo il 44% degli aventi diritto si è presentato alle urne). Gli albanesi dunque, in larga parte, non ripongono più fiducia alcuna in un’amministrazione corrotta e clientelare che sta impedendo allo stato balcanico anche di procedere con l’adesione all’Unione Europea, unico evento che potrebbe cambiare i destini del “Paese delle aquile”. Tuttavia però per entrare a far parte dell’Ue l’Albania deve risolvere una serie di questioni non di poco conto fra cui spicca la necessità di mettere in campo un’ampia riforma giudiziaria che riporti una certa credibilità al sistema. Una riforma che, su pressioni Usa e Ue, è stata già approvata dal Parlamento albanese nell’estate del 2016 ma il cui ritardo nell’implementazione sta facendo dubitare sulla effettiva possibilità di realizzare la tanto attesa rigenerazione delle istituzioni giudiziarie albanesi.
Così la scadenza, fissata per il prossimo 29 giugno 2019, per l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Ue si profila come una giornata in cui in Paese andrà incontro, rebus sic stantibus, ad un’inevitabile bocciatura. L’avvio dei negoziati è infatti subordinato a quanto scriverà la Commissione Ue nei cosiddetti “progress report” in cui verranno analizzati i progressi compiuti sullo stato delle riforme della pubblica amministrazione, sulla lotta alla corruzione, sulla riforma del sistema giudiziario e dei servizi di intelligence. E, ad oggi, non sembrano esserci particolari ragioni per essere ottimisti. In effetti, nonostante le dichiarazioni di tutto l’arco politico convergano sulla necessità di aumentare l’impegno per favorire l’adesione all’Ue, d’altra parte la lotta politica quotidiana sembra essere orientata ad una becera conquista del potere.
Opportunità per l’Italia
Il legame fra Roma e Tirana è innegabile e va al di là dell’elevato numero di cittadini albanesi che vivono nella Penisola (440mila persone corrispondenti all’8,6% degli stranieri residenti nel Belpaese). Oggi infatti quasi il 30% sul totale dell’import albanese proviene dall’Italia mentre circa il 50% delle vendite di prodotti albanesi è diretto verso il mercato italiano con un interscambio commerciale che, nel 2017, è stato pari a quasi 2,4 miliardi di euro, con un saldo leggermente positivo (circa 350 milioni di euro) a favore del Belpaese. Inoltre si rileva una importante presenza di Pmi italiane sul territorio albanese (circa 1000) anche se è ancora ridotta la presenza degli operatori italiani in alcuni grandi settori strategici del Paese balcanico (telecomunicazioni e assicurazioni) specialmente a causa di alcune lacune come l’incertezza sui diritti di proprietà, che spaventa non poco il sistema produttivo Made in Italy. Per queste ragioni le istituzioni italiane si sono sempre spese a favore di un’accelerazione della procedura d’adesione dell’Albania all’Ue che però, almeno per il momento, dovrà rimanere solo un sogno per tutti quei cittadini albanesi che ripongono nel compimento di tale processo le proprie speranze di un futuro migliore.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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