Il mercato cinese, a prima vista ostico ed impenetrabile, offre in realtà numerose opportunità soprattutto nell’export digitale, a condizione che se ne conoscano a fondo le caratteristiche e le logiche di funzionamento.
Con una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone, una crescita media del PIL che si attesta intorno al 7% annuo, la Cina è sicuramente uno tra mercati più attrattivi per le imprese che vogliono espandere il loro business oltreconfine.
In dieci anni il Paese del Dragone ha cambiato volto diventando tra i maggiori mercati al mondo per beni di consumo dopo gli Stati Uniti. Come ha dichiarato Rodrigo Cipriani Foresio, Managing Director di Alibaba Group per Italia, Spagna, Portogallo e Grecia e General Manager of Europe Tmall Business Development in questa intervista realizzata dal nostro portale: “La Cina è un mercato in fermento e una nazione che si sta spostando da un modello di “made in” a un Paese importatore e con una crescente classe media, molto giovane, con consumi in espansione. Le opportunità che si aprono a chi riesce a far fronte a queste sfide sono davvero enormi: la classe media infatti oggi conta circa 300 milioni di persone e si prevede che si arriverà a 500 milioni entro il 2025, gran parte delle quali giovani, high spender, attratti dallo stile di vita associato alle marche occidentali e molto attenti alla qualità dei prodotti”. Detto altrimenti significa che l’apprezzamento per il Made in Italy, già molto elevato, può soltanto continuare a crescere aprendo enormi opportunità per il “bello e benfatto” nostrano. Secondo lo studio “Esportare la Dolce Vita” realizzato dal Centro Studi Confindustria, nel 2020 è previsto un incremento del 52,6% delle vendite dei prodotti Made in Italy in Cina rispetto al 2015.
E a farla da padrone non sono soltanto i classici settori fashion e luxury. Negli ultimi cinque anni, infatti, il numero di persone che, in Cina, acquistano cibo o bevande è praticamente raddoppiato. Se all’aumento del potere di acquisto di larghi strati della popolazione si aggiungono il cambiamento dei gusti e la maggior attenzione alla genuinità ed alla qualità dei prodotti, si arriva facilmente a comprendere come l’import cinese di alimenti e bevande provenienti da Europa e Stati Uniti sia triplicato nell’arco di un solo lustro.
La crescita demografica, la progressiva urbanizzazione e l’espansione della classe media sono quindi importanti driver per lo sviluppo dell’export delle imprese italiane in Cina, ma c’è un altro aspetto di primaria importanza da prendere in considerazione: la Cina è anche il Paese che ha il più alto numero di utenti di internet al mondo. In Cina internet è utilizzato da 772 milioni di persone, il 55% della popolazione. Di questi, 717 milioni fruiscono di internet da mobile. Questo dato si traduce, ovviamente, in più acquirenti che sfruttano il canale e-commerce.
Negli ultimi anni la Cina ha infatti rafforzato la sua posizione nello scenario e-commerce mondiale diventando il primo mercato online già nel 2015. Secondo Statista, nel 2017 ha confermato questo trend: con un fatturato di 681,9 miliardi di dollari non solo rappresenta il primo Paese al mondo per importanza nelle vendite online, ma detiene anche il primato per livello di penetrazione delle vendite online sul totale delle vendite retail (23,1%).
L’e-commerce rappresenta dunque una chiave di ingresso di straordinaria importanza per le aziende che si accostano al mercato cinese.
Attenzione però, perché non è tutto oro quel che luccica! Accanto ad enormi opportunità si aprono anche grandi rischi e difficoltà, non insormontabili, certo, ma di cui è comunque bene essere consapevoli.
La regola d’oro per chi si prapara ad affrontare questo mercato, è cercare di conoscerlo il più possibile. In effetti quello cinese è un mercato complesso con peculiarità non solo linguistiche, che va studiato a fondo.
In primo luogo, una delle caratteristiche principali del mercato e-commerce B2C cinese è l’elevato grado di concentrazione, poiché i primi due operatori detengono l’84% del mercato ed i primi quattro superano il 90%. Il primo sito è Tmall, la piattaforma B2C di Alibaba, che ha una quota di mercato del 57%. In seconda posizione si colloca il retailer online JD.com, con il 27%, poi Suning con il 5%, e VIP con il 3%. Tutte le altre iniziative anche occidentali, tra cui Amazon, hanno un peso molto contenuto, inferiore al punto percentuale. Notiamo dunque che il mercato online non solo è estremamente concentrato, ma anche dominato da attori locali, motivo per il quale stringere un rapporto con un operatore locale (licenziatario, importatore, distributore o, più genericamente “third party”) è di vitale importanza.
In seconda battuta, è bene sapere che sviluppare campagne di marketing e comunicazione in un mercato culturalmente distante come quello cinese non è affatto banale ed implica dover affrontare difficoltà di individuazione di toni, temi e contenuti coerenti con i gusti del mercato, spesso diversi e difficilmente comprensibili da professionisti non cinesi. La maggior parte dei casi di successo di imprese occidentali su piattaforme B2C in Cina, non a caso, vede una forte collaborazione tra il brand internazionale e un operatore cinese, oltre ad un forte coinvolgimento di specialisti di comunicazione locali.
L’e-commerce cinese, inoltre, è estremamente “social”, e non solo per i Millenials, che pure dominano la popolazione d’acquisto (72% delle vendite). In molte occasioni, gli acquisti online non nascono da un vero e proprio bisogno, ma da una necessità di intrattenimento o svago. Basti pensare che “Taobao”, che è una piattaforma del Gruppo Alibaba dedicata prevalentemente alle vendite tra consumatori, vuol dire “caccia al tesoro”. Peraltro, non è un caso che si registrino volumi particolarmente ingenti in concomitanza di grandi occasioni, eventi e feste come il Singles’ Day.
Se lo stimolo all’acquisto per il consumatore digitale cinese parte dai social, è evidente dunque che le attività promozionali su questi network devono trovare delle formule di coinvolgimento dei consumatori molto originali: ad esempio le campagne di gamification sono molto comuni in Cina, così come il ruolo degli influencer che ha assunto ormai un peso molto rilevante.
Bisogna però sapere che i canali social più diffusi in Cina non sono quelli che noi comunemente utilizziamo in Occidente: a causa del cosiddetto “Great Firewall”, ovvero le politiche di censura cinesi, l’accesso ai nostri maggiori social network e motori di ricerca come Facebook, Instagram e Google, è bloccato. Il motore di ricerca più diffuso in Cina è Baidu, mentre i social network utilizzati in Cina sono WeChat, Qzone, RenRen, Kaixin, Sina Weibo, Youku e Toudu. Tra questi il “re dei social” è senza dubbio WeChat: con 762 milioni di utilizzatori non solo è il social più diffuso, ma ha un numero così elevato di funzioni che viene utilizzato per fare tutto: comunicare, fare pubblicità, lanciare promozioni, pagare acquisti. Molte aziende hanno profili su WeChat, dove pubblicano le loro collezioni, sponsorizzano gli eventi in store e vendono i loro prodotti.
Infine, l’e-commerce cinese è sostanzialmente mobile: l’82% degli acquisti infatti viene realizzato da smartphone. L’utilizzo pervasivo dello smartphone sta aprendo la strada anche al pieno sfruttamento di canali di vendita online e offline in una logica omnicanale, ossia di passaggio da un canale ad un altro (sia online che tradizionali) durante lo stesso processo di acquisto. Lo sviluppo di questo trend è testimoniato anche dai crescenti investimenti dei grandi player online nello sviluppo di una rete di vendita fisica. Ad esempio, Alibaba ha acquisito la catena di supermercati Hema e ha acquistato il 15% delle azioni di Easyhome Furnishing, la seconda catena di negozi più grande in Cina, specializzata nella vendita di prodotti di arredamento.
D’altronde, è questo il trend che sembra si svilupperà di più nei prossimi anni non solo in Cina, ma anche in altri Paesi del mondo.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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