In questa fase storica non si può non osservare che protezionismo e liberismo si fanno da contrappunto: ormai da qualche tempo è infatti emersa una certa ribellione all’ormai consolidata apertura commerciale, così come, tuttavia, viene riconfermato il consenso per i partenariati economici.
In effetti, nonostante il rigurgito nazionalistico americano e le connesse escalation daziarie (Cina, UE, Russia), proseguono revisioni, negoziazioni, firme e ratifiche di accordi di libero scambio (si pensi, di recente, all’USMCA o al JEFTA) che prevedono – in primis tra le tante opportunità – significativi smantellamenti tariffari.
Certamente, l’Unione europea è protagonista attiva dei partenariati commerciali con Paesi e gruppi di Paesi di tutte le aree del mondo. La conclusione e l’entrata in vigore di accordi, nuovi o aggiornati, ci dice che i Paesi restano interessati ad avvicinarsi, a stringere relazioni commerciali con l’intenzione di agevolare i propri operatori economici e le proprie economie.
Per rimanere in quest’ultimo contesto, va focalizzato, però, un punto chiave, che caratterizza tutti i Trade Agreement, anche quelli conclusi dall’Unione europea: i benefici daziari pattuiti, che li rendono fonte di attesa ed entusiasmo, non si ottengono automaticamente. Condizione imprescindibile è la qualifica di “originari” attribuibile ai prodotti scambiati. Ulteriori requisiti, estrinseci, sono poi prescrizioni di natura logistica aventi lo scopo di conservare quel carattere.
Dunque, non per tutti e non senza condizioni: per ottenere un vantaggio competitivo a valle, gli operatori economici europei che esportano devono conoscere e rispettare il sistema di regole disegnato per determinare e mantenere l’origine “preferenziale” delle merci prodotte e/o commercializzate. Un’origine che dia diritto ad un trattamento tariffario preferenziale nel Paese di destino ovvero ciò che, poi, dà concretezza al rapporto privilegiato che i Paesi accordisti si riconoscono.
Questo vale anche nei casi in cui l’Unione europea, come altri Paesi sviluppati nel mondo, concede un trattamento preferenziale ai prodotti di Paesi terzi in via di sviluppo, che, in ragione di tale condizione, è solo unilaterale (sistema delle preferenze generalizzate). Quando, cioè, i prodotti di tali Paesi terzi vengono importati in UE e non il contrario.
Il punto di partenza per chi intenda utilizzare vantaggiosamente le opportunità descritte è dato dal set di disposizioni contenuto nella normativa doganale dell’UE e negli accordi. A tal fine, è di sicuro utile portare all’attenzione la Nota 125912 del 27 dicembre 2018, con cui l’Agenzia delle dogane, richiamando e aggiornando la prassi in materia per allinearla al nuovo codice doganale dell’Unione entrato in vigore ormai 3 anni fa, ne ha fatto un quadro d’insieme piuttosto completo.
Avendola a supporto, si può dire in estrema sintesi che, per operare correttamente all’esportazione, occorre:
- individuare la normativa di riferimento: il pacchetto normativo unionale (codice doganale dell’Unione, regolamento UE n. 952/2013, con i relativi regolamenti delegato ed esecutivo) che ora include alcune regole di base e trasversali (sia per le preferenze unilaterali sia per quelle bi/multilaterali) e gli accordi stipulati dall’Unione europea con i Paesi verso cui si è interessati ad esportare;
- determinare l’origine preferenziale, attraverso un percorso che richiede:
a) l’esatta qualificazione della merce secondo le regole della classificazione doganale;
b) la corretta identificazione ed interpretazione della regola associata alla classificazione individuata (c.d. regole di lista) che, in presenza di materiali non originari utilizzati nella fabbricazione del prodotto, consenta tuttavia di poter attribuire ai prodotti finiti l’origine preferenziale del Paese/territorio di realizzazione; c) l’appropriata applicazione della regola, supportata da un sistema di tracciatura del processo di fabbricazione;
- dichiarare l’origine preferenziale all’esportazione, ricorrendo ad una delle varie “prove dell’origine” ammesse, certificati o dichiarazioni, a seconda dell’accordo come:
a) certificato di circolazione EUR.1 (previsto in tutti gli accordi storici dell’UE, non nei recenti);
b) dichiarazione di origine in fattura o su altro documento commerciale rilasciata– oltre ad una soglia di valore– solo se si è titolari dello status di esportatore autorizzato (figura che pure tende a ridimensionarsi) o della qualifica di esportatore registrato nel sistema REX (novità degli ultimissimi sistemi preferenziali);
c) “conoscenza dell’importatore” (caso del JEFTA);
- garantire il mantenimento dell’origine preferenziale acquisita, avendo cura di governare la catena logistica onde evitare che, ad esempio, esportazioni/reimportazioni o trasbordi in Paesi terzi che perfezionano l’esportazione, ne “rompano” l’integrità con manipolazioni non autorizzate;
- conservare per gli anni richiesti (3, 5 o più) tutte le prove a supporto dell’origine preferenziale dichiarata (dichiarazioni dei propri fornitori– per singola spedizione o a lungo termine – contabilità materiale).
Un lungo processo che, come può ben vedersi, abbraccia l’intera supply chain – dalla fornitura alla vendita. Cosa che richiederebbe, dal punto di vista gestionale, organizzare una “cabina di regia” e di monitoraggio interna all’organizzazione aziendale che lo governi. Viceversa, per ottenere le preferenze daziarie all’importazione, gli operatori UE hanno il diritto e l’onere di spendere le prove di origine rilasciate dai propri fornitori extra-UE (o nel caso del JEFTA di avvalersi a determinate condizioni della propria “conoscenza” in ordine alla origine preferenziale dei beni importati).
Il tema, qui sommariamente trattato, merita certamente molta attenzione e per questo richiede ulteriori approfondimenti. Ne è conferma anche l’esito del sondaggio condotto dai Servizi della Commissione europea sulle regole di origine (da poco pubblicato e qui consultabile http://madb.europa.eu/madb/roo_results.htm) dal quale emerge infatti che la conoscenza generale si sia diffusa nel corso degli anni ma anche che, per cogliere più agevolmente le opportunità offerte, occorre migliorare la comprensione e l’applicazione delle specifiche regole di origine che non sempre sono agevolmente consultabili e di facile lettura.
Fonte: a cura di Exportiamo, Avv. Chiara Ciuccarelli , redazione@exportiamo.it
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