Nel più ampio quadro della politica di coesione, l’UE stanzia ingenti risorse finanziarie per mettere in campo un’ampia gamma di progetti e programmi che si rivolgono a diverse aree tematiche, a supporto dello sviluppo economico di tutti i Paesi membri.

Con l’obiettivo di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, l’Unione Europea gestisce oltre il 76% del suo bilancio mediante cinque grandi fondi in collaborazione con le amministrazioni nazionali e regionali, nell’ottica di un sistema di “gestione concorrente”.

I cinque fondi strutturali e di investimento (Fondi SIE) sono:

  • Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) che mira a consolidare la coesione economica e sociale dell’Unione europea correggendo gli squilibri fra le regioni in tema di innovazione e ricerca, agenda digitale, sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) ed economia a basse emissioni di carbonio;
  • Il Fondo sociale europeo (FES) che riserva particolare attenzione al miglioramento delle opportunità di formazione e occupazione in tutta l’Unione europea;
  • Il Fondo di coesione (FC) che si pone invece come obiettivi la riduzione delle disparità economiche e sociali e la promozione dello sviluppo sostenibile al fine di allineare le regioni meno sviluppate con quelle più avanzate;
  • Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) che finanzia la politica di sviluppo rurale per affrontare problemi economici, ambientali e sociali del XXI secolo;
  • Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) che sostiene i pescatori nella transizione verso una pesca sostenibile, aiuta le comunità costiere a diversificare le loro economie, finanzia i progetti che creano nuovi posti di lavoro e migliorano la qualità della vita nelle regioni costiere europee ed agevola l’accesso ai finanziamenti.

Si ricorda che la politica di coesione dell’UE persegue essenzialmente due obiettivi: la predisposizione di investimenti a favore della crescita e dell’occupazione e la realizzazione di progetti congiunti tra i territori dei diversi Stati membri nell’ambito di una cooperazione territoriale europea. Il primo obiettivo viene finanziato attraverso l’impiego congiunto dei fondi strutturali, al secondo si destinano invece le sole risorse del fondo FESR.

Al fine di raggiungere collettivamente i suddetti obiettivi, ogni Stato membro è chiamato a fissarne dei propri a livello nazionale e a perseguirli non ricorrendo solo ai fondi europei ma anche alle personali risorse finanziarie.

L’entità dei finanziamenti erogati tramite i diversi fondi, varia da Stato a Stato e anche all’interno degli stessi a livello regionale.

Nel periodo 2014-2020, l’Italia ha ricevuto 42,77 miliardi di euro dai fondi SIE attraverso 75 programmi nazionali e regionali. A questo contributo europeo si aggiunge quello nazionale di 30,96 miliardi di euro, che porta, così, il bilancio italiano ad un complessivo di 73,73 miliardi di euro da investire entro il 2020 in occupazione e crescita, potenziamento di ricerca e innovazione, tutela dell’ambiente e aumento della partecipazione al mercato del lavoro.

Nonostante l’Italia abbia a disposizione ingenti risorse da investire, ogni anno rischia di non raggiungere i target di spesa previsti. Nel caso in cui si verifichi questa situazione, il pericolo che si corre è di incorrere nel disimpegno automatico: in base alla “regola N+3”, se entro tre anni dall’impegno di spesa indicato dalla regione o dal ministero che gestisce fondi strutturali non è stata presentata la domanda di pagamento alla Ue, Bruxelles “cancella” automaticamente (salvo alcune eccezioni) la relativa quota di finanziamento.

Sfortunatamente al 31 dicembre 2018, 3 dei 51 programmi operativi del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e del Fondo sociale (Fse) non hanno raggiunto il target di spesa. Ciò potrebbe significare perdere circa 60 milioni di risorse europee, nel caso in cui la Commissione europea decida di cancellare la quota non spesa.

Il programma che perde di più è il Pon Ricerca e innovazione, gestito dal ministero dell’Istruzione, università e ricerca, che dovrebbe lasciare a Bruxelles 35 milioni di euro (pari al 25% della spesa prevista), a meno che la Commissione non accolga la richiesta di eccezione per la presenza di ricorsi giudiziari, una delle principali cause della lentezza della spesa per investimenti. C’è poi il Pon Inclusione che ha mancato l’obiettivo di spesa per 24,6 milioni di euro, quasi il 30% dell’obiettivo fissato a 82,5 milioni. Qui l’eccezione reclamata fa appello a “cause di forza maggiore”. Infine la Valle d’Aosta perde 1,4 milioni di euro del Fse su un obiettivo di poco superiore a 4 milioni.

Ad ogni modo, considerando che a inizio dicembre l’importo complessivo a rischio disimpegno, secondo i dati della Commissione europea, era di circa 1,5 miliardi di euro, si può parlare di un incredibile recupero.

A fronte dei 3 programmi che hanno visto un inadeguato impiego delle risorse, tutti gli altri hanno registrato ottime performance. A livello regionale, Lombardia ed Emilia Romagna risultano essere le più virtuose, seguono poi la Liguria e la Calabria. In fondo alla classifica troviamo Basilicata, Abruzzo e Sicilia, che all’inizio del 2018 doveva ancora assorbire circa il 60% delle risorse. Fanalini di coda sono Bolzano, Valle d’Aosta e Trento, a causa del ritardo registrato nelle nomine delle autorità di gestione.

Quali sono le cause di tale inefficienza?

Daniel Spizzo, esperto di europrogettazione e docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche e dell’Amministrazione dell’Università di Trieste, ha individuato alcuni fattori di criticità.

Innanzitutto, trattandosi di un mondo caratterizzato da progettualità complesse, è sempre utile avvalersi di professionalità esterne esperte se si hanno dei dubbi sulle proprie capacità progettuali e manageriali. Accade spesso, infatti, che vengano ottenuti i fondi per un progetto ma poi non lo si riesca a completare.

Ci sono poi delle Regioni che hanno dei problemi strutturali a livello di personale, di formazione e cultura amministrativa ma anche di risorse poiché spesso i fondi europei non coprono l’intero budget richiesto per il progetto e si richiede un co-finanziamento da parte delle regioni. Se un ente pubblico ha problemi di budget o se non rispetta le attività previste e/o non raggiunge i risultati che ha indicato di voler raggiungere, questo crea delle difficoltà e dei problemi.

Infine, i ritardi che si accumulano nella fase iniziale di approvazione dei piani operativi nazionali e regionali hanno forti ripercussioni anche sull’emanazione dei bandi.

Criticità a parte, le regioni italiane virtuose insegnano che è possibile rientrare nei target di spesa e gestire al meglio le risorse dei fondi europei. Le altre regioni per allinearsi a questi standard devono, quindi, ripensare gli attuali assetti amministrativi e devono necessariamente iniziare ad investire in risorse qualificate. È senza dubbio un percorso in salita e che richiede del tempo ma non si può più rimandare.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesca Simonelli, redazione@exportiamo.it

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