Spread. Dalla drammatica estate 2011 questo termine è prepotentemente entrato nel linguaggio comune dei cittadini italiani anche se sono in molti quelli che ancora faticano a comprenderne l’esatto significato. Scopriamo insieme di cosa si tratta e come esso influenza la nostra economia.
Storia
552 punti base. Correva il 9 novembre 2011 quando si registrò il record negativo nel differenziale fra titoli di stato italiani e tedeschi. Un numero che rievoca un finale d’anno a dir poco turbolento in cui l’Italia sembrava poter davvero rischiare il default. Nel corso di dodici mesi infatti lo spread fra buoni del tesoro poliennali italiani (Btp) e le Bundesanleihen (Bund), le obbligazioni federali tedesche, salì vertiginosamente, toccando un livello ben al di là della soglia di guardia.
Il terremoto finanziario provocò un terremoto politico con le dimissioni Silvio Berlusconi e la formazione di un governo tecnico guidato da Mario Monti chiamato per implementare politiche d’austerità di cui la maggioranza degli italiani conserva un pessimo ricordo.
Fu così che da più parti si cominciò a parlare di “dittatura dello spread”, di “governo della Troika” (formata da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) evocando addirittura il “colpo di stato” perpetrato dalle istituzioni europee ai danni di un governo democraticamente eletto sostituito da un esecutivo non legittimato dal voto popolare.
La realtà è che il voto sul Rendiconto generale dello Stato alla Camera dell’8 novembre 2011 certificò la perdita della maggioranza per il quarto governo del Cavaliere (308 voti a favore, un astenuto e 321 non votanti) che, complice la tempesta finanziaria che infuriava sull’Italia, decise di prenderne atto rassegnando le proprie dimissioni.
Tuttavia è sbagliato attribuire la fine di quell’esperienza di governo all’Europa perché fu il crollo della fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia ad erodere il consenso parlamentare di Berlusconi. L’Italia, nel giro di poco tempo, diventò agli occhi dei mercati un debitore inaffidabile e, visto anche l’elevatissimo livello del debito pubblico, i rendimenti dei titoli di stato italiani schizzarono.
Ma cosa è lo spread?
Lo spread, in buona sostanza, è un indicatore che risponde ad una semplice domanda: quanto è rischioso (e di conseguenza quanto è remunerativo) investire i propri risparmi sullo stato italiano rispetto ad investirli sulla (più solida) Germania?
Berlino infatti, vista la stabilità della propria economia, è il benchmarch, ovvero il parametro di riferimento attraverso il quale misurare la rischiosità dei titoli di stato degli altri Paesi europei.
Perciò più aumenta questa differenza (spread) fra i titoli italiani e tedeschi, più cresce il rischio di prestare soldi al Belpaese. Conseguentemente alla crescita del rischio si verifica l’aumento dei tassi d’interesse che Roma paga per finanziare il proprio mostruoso debito pubblico che, a luglio 2018, ha segnato il proprio record storico toccando i 2.342 miliardi di euro, vale a dire oltre il 130% del Pil italiano annuo. Più spread quindi significa più tassi d’interesse da riconoscere e quindi (a parità di spesa) più debito. Un circolo vizioso che non può non incidere sull’economia reale.
Effetti sulle imprese
Per comprendere cosa comporta nella pratica la crescita dello spread è opportuno guardare a quanto accaduto nel corso del 2011 quando l’esplosione del differenziale fra Btp e Bund portò gli istituti di credito a “scaricare” su Pmi e famiglie gli aggravi. Per farsi un’idea concreta basti pensare che le imprese si trovarono complessivamente a pagare ben 15 miliardi di euro aggiuntivi nel corso di un solo anno. In parole povere se cresce lo spread crescono anche i tassi d’interesse che le banche devono pagare per reperire finanziamenti, che a ruota scaricano l’aggravio sulla pelle degli italiani.
L’incremento dello spread poi comporta un ulteriore svantaggio per le nostre imprese, ovvero una maggiore difficoltà nel reperire finanziamenti dal momento che in tale contesto gli istituti di credito aumentano la loro rigidità nel concedere prestiti (richiedendo maggiori garanzie a tutela dei crediti erogati) a svantaggio delle imprese più giovani e meno strutturate. In effetti secondo Bankitalia, da fine 2011 al 2017, la quantità di credito bancario alle imprese italiane si è contratta di oltre 180 miliardi di euro.
Tutto ciò conduce inevitabilmente ad una contrazione degli investimenti che provoca un danno enorme a tutto il sistema economico italiano.
Effetti sulle famiglie
Per quel che riguarda le famiglie aumento dello spread altro non significa che aumento delle spese per finanziare i debiti contratti, con particolare riferimento ai mutui a tasso variabile. A dire la verità comunque gli effetti più pesanti si ravvisano sui nuovi mutui, dal momento che l’incremento dei tassi sui “vecchi mutui” (ovvero quelli stipulati prima di una significativa crescita dello spread) è piuttosto graduale.
Invece, come si nota dai dati del 2011, il costo dei nuovi mutui salì di ben il 4% in soli dodici mesi ed a diminuire drasticamente fu anche il numero di nuovi mutui concessi.
Insomma un aumento dello spread può avere effetti nefasti su tutto il mercato immobiliare, che, come sappiamo, è il bene rifugio preferito dagli italiani.
La situazione di oggi
Dalle elezioni di marzo 2018 e dall’incertezza politica che ne è derivata, risoltasi solo 3 mesi dopo con la formazione del governo giallo-verde, lo spread è tornato ad aumentare sensibilmente passando da un livello inferiore ai 150 punti base ad un valore superiore ai 300 punti. A non piacere ai mercati è la legge di bilancio del governo Conte, considerata inadeguata alla situazione economica del Paese poiché prevede un rapporto deficit/Pil al 2,4%. Fra l’altro a non convincere sono anche le previsioni circa gli effetti espansivi delle principali voci di spesa – come correzione della legge Fornero e introduzione del reddito di cittadinanza – che secondo gli autorevoli esperti sarebbero tutti da verificare.
La credibilità del governo dinanzi ai mercati risulta quindi essere una variabile fondamentale per l’andamento dello spread e la situazione italiana continua ad essere incandescente visto che l’esecutivo in carica non sembra avere alcuna intenzione di raccogliere le indicazioni dei mercati (e i “consigli” delle istituzioni comunitarie) rivedendo le misure annunciate.
Intanto però Ignazio Visco, numero uno di Bankitalia, ha sottolineato che già quest’anno l’incremento dello spread ci è costato 1,5 miliardi di spesa aggiuntiva per la crescita dei tassi. Cifra che – se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati – salirà a 5 miliardi nel 2019, 9 miliardi nel 2020 e 12,5 miliardi nel 2021.
La partita resta quindi aperta ma il rischio è che ancora una volta i rischi maggiori li stiano correndo proprio risparmiatori e Pmi italiane.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA