Salvo ulteriori imprevisti la firma dell’accordo di libero scambio Ue-Giappone, inizialmente prevista per mercoledì 11 luglio ma slittata per le gravi alluvioni che hanno sconvolto il Paese nipponico nei giorni scorsi, avverrà oggi a Tokyo. Scopriamo insieme i contenuti dell’accordo, cosa cambierà per le imprese italiane e le ragioni di coloro che si oppongono al Japan-EU Free Trade Agreement (Jefta), considerandolo come una sciagura per l’economia del Belpaese.

L’ora è arrivata e questa volta non sembrano esserci possibilità di ulteriori rinvii: Unione Europea e Giappone si apprestano a firmare il Jefta, un importante accordo di libero scambio che introduce significative novità nelle norme che regolano il commercio fra Bruxelles e Tokyo.

In realtà il JEFTA si compone di due diversi accordi: l’Economic Partnership Agreement (Epa), nato per agevolare il libero scambio fra Ue e Giappone eliminando dazi ed altre barriere commerciali, e lo Strategic Partnership Agreement (Spa) che interviene sui rapporti bilaterali tra Bruxelles e Tokyo e la cooperazione in trenta aree ritenute strategiche fra cui lotta al cambiamento climatico, contrasto del terrorismo, politiche migratorie e politica estera.

Contrariamente a quanto si poteva pensare (il M5S – in campagna elettorale – aveva infatti chiaramente espresso la sua contrarietà a tale patto) anche da Roma arriverà il via libera alla ratifica dell’accordo siglato lo scorso 7 dicembre 2017 e che ha ora davanti a sé un complesso iter procedurale con un’entrata in vigore prevista non prima della primavera del 2019.

Il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha assicurato di non aver cambiato idea rispetto a quanto affermato in inverno specificando che “sia l’Italia che la Spagna, insieme alla firma, invieranno delle osservazioni con condizioni precise che riguardano agricoltura, piccole imprese ed una serie di interventi necessari”.

Al di là di tutto però la Penisola sembra aderire senza particolari rimostranze ad un accordo che riguarda ben 600 milioni di consumatori e che coinvolge circa il 30 percento del Pil globale.

Contenuti dell’accordo

Per prima cosa va evidenziato che Giappone ed Ue intrattengono già oggi un intenso interscambio commerciale con un export europeo di beni – circa 60 miliardi di euro annui – e servizi – circa 30 miliardi – già ben avviato nonostante la presenza di una serie di ostacoli commerciali non di poco conto.

Fra questi impossibile non menzionare i salatissimi dazi doganali giapponesi nel settore food&beverage che arrivano fino:

• al 40% sui formaggi;
• al 38,5% sulle carni bovine;
• al 24% sulle paste alimentari;
• al 30% sul cioccolato;
• al 15% per quanto riguarda i vini.

Fra le sopracitate categorie solo i vini beneficeranno di un’eliminazione totale dei dazi – non appena l’accordo entrerà in vigore – mentre per le altre categorie vi sarà un abbassamento progressivo e variabile caso per caso (ad esempio per la carne bovina si passerà dal 38,5 al 9% nell’arco di 15 anni mentre per i formaggi a pasta dura, nello stesso arco temporale, si arriverà ad un’abolizione totale).

Come si nota si tratta di percentuali molto elevate che, fino ad oggi, hanno reso per numerose aziende agroalimentari europee assai arduo rimanere competitive sul mercato del Sol Levante. Oltre ad una significativa eliminazione o riduzione di tali dazi (l’Epa interviene infatti sul 97% di quelli attualmente vigenti) l’accordo prevede anche una serie di altre misure (non solo relative al comparto agroalimentare) fra cui:

- riconoscimento da parte di Tokyo di oltre 200 specialità europee certificate (Igp) per garantire ai produttori Ue una maggiore tutela;
- apertura del mercato nipponico dei servizi attraverso l’opportunità per le imprese Ue di partecipare a gare per l’assegnazione di appalti pubblici nei centri urbani principali del Paese, ovvero ben 48 città giapponesi;
- eliminazione di una serie di barriere regolatorie fra cui i lunghi e costosi doppi test anche per il settore automotive;
- eliminazione completa dei dazi per una serie di prodotti fra cui sostanze chimiche, plastiche, cosmetici, tessili e abbigliamento. Abolito inoltre il contingentamento che colpisce cuoio e calzature, categorie che vedranno poi sparire completamente i dazi nel corso di 10 anni;

Nell’accordo infine è previsto l’impegno a creare un sito web specifico per offrire alle piccole e medie imprese informazioni utili a facilitare l’accesso ai rispettivi mercati e la predisposizione di diversi ‘punti di contatto’.

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Le voci critiche

E’ vero che l’accordo, eliminando e/o riducendo sensibilmente i dazi sui prodotti europei esportati in Giappone, consente alle imprese del Vecchio Continente di risparmiare oltre un miliardo d’euro l’anno ma tale vantaggio è stato compensato con una serie di concessioni fra cui alcune molto pesanti per il Made in Italy. Secondo gli oppositori del Jefta la tutela delle eccellenze Made in Italy (Dop, Igp, Doc) prevista nell’accordo è troppo blanda perché solo alcune denominazioni saranno protette mentre altre saranno sottoposte ad un maggior rischio di contraffazione.

Effettivamente il trattato protegge solo 18 Indicazioni geografiche italiane agroalimentari e 28 vini e alcolici, su un totale di 205.

Sulla carta saranno tutelate tutte le 10 Dop italiane (Asiago, Fontina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di bufala campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Pecorino Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio) ma in pratica non è esattamente così.

La prima eccezione riguarda i formaggi con nome composto, come il Grana Padano, il Pecorino Romano o il Provolone Valpadana: marchi che verranno protetti solo nel loro insieme. In Giappone dunque si potranno vendere formaggi chiamati “Grana”, “Romano Cheese” o “Cheese Padano” prodotti fuori dalla Penisola senza incorrere in alcuna sanzione.

Inoltre per quanto riguarda il “Parmesan” sarà possibile continuare ad utilizzare tale termine e registrare marchi che lo contengono, a patto che sulla confezione sia specificata la reale origine del prodotto.

Tali eccezioni hanno suscitato numerose critiche che hanno messo sul piede di guerra diverse associazioni fra cui la Coldiretti che, attraverso le dichiarazioni del suo presidente Roberto Moncalvo, non ha usato mezze misure per commentare la situazione: “Così si rischia di svendere l’identità dei territori e quel patrimonio di storia, cultura e lavoro conservato nel tempo da generazioni di agricoltori”.

Le voci critiche sottolineano inoltre che l’accordo limiterà la capacità degli Stati del Vecchio Continente di controllare l’import di prodotti giapponesi, non considerando che il Sol Levante produce un numero elevatissimo di prodotti ogm.

Conclusioni

Dare un giudizio univoco sull’accordo non è facile sia perché la materia è complessa sia perché il trattato interviene su moltissimi elementi coinvolgendo svariati settori produttivi. Quel che bisogna augurarsi però è che le imprese italiane riescano a sfruttare l’accordo per aumentare le loro opportunità di fare business a Tokyo e dintorni non commettendo lo stesso errore fatto in seguito all’attuazione del Free Trade Agreement con la Corea del Sud (svelato da un’inchiesta Ue): esse infatti, ad accordo in vigore, continuavano a pagare dazi evitabili richiedendo semplicemente un certificato di esportatore autorizzato alla dogana italiana.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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