Nel giugno 2019 inizieranno i negoziati di adesione della Macedonia e dell’Albania all’Unione Europea. È questo il compromesso raggiunto dopo un serrato braccio di ferro tra alcuni Stati membri che hanno osteggiato questa decisione e molti altri che invece avrebbero voluto iniziare il dialogo da subito. L’allargamento ad est è infatti particolarmente strategico per motivi di ordine politico, sociale ed economico.
L’Europa non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori: crisi economica, crisi migratoria, crisi d’identità e unità (in fondo mai raggiunta) hanno alimentato da più parti sentimenti di disillusione e sfiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie. Ed è anche cavalcando l’onda di questo malcontento popolare che i vari movimenti sovranisti e populisti sono riusciti a guadagnarsi gli scranni di diversi parlamenti e la guida di numerosi esecutivi.
Eppure, la parola crisi, che noi comunemente usiamo con accezione negativa, ha un’etimologia dal significato totalmente opposto. Crisi deriva infatti dal greco “krino”, che significa separare, cernere, e in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Riflettendo sull’etimologia possiamo coglierne quindi la sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi, cioè di riflessione, di valutazione, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita.
L’Unione Europea si trova proprio nel bel mezzo di un momento di riflessione su sé stessa e su come il processo di integrazione degli ultimi decenni (soprattutto dopo il significativo allargamento con i paesi dell’Est nel 2004 e nel 2007) abbia ridisegnato i suoi nuovi confini geografici e culturali dandole un volto completamente diverso.
L’allargamento ad est: due fronti contrapposti
E se c’è chi dall’Unione Europea fugge (leggasi Brexit), d’altra parte c’è chi il “sogno europeo” non ha mai smesso di coltivarlo. È il caso dei Paesi balcanici, che da tempo hanno presentato la loro candidatura per fare il loro ingresso nell’Unione. Montenegro e Serbia hanno dato avvio ai negoziati rispettivamente nel 2012 e nel 2014. L’Albania si è candidata nel 2014 e la Macedonia addirittura nel 2005 e secondo quanto deciso nella riunione del Consiglio dell’Unione Europea lo scorso 26 giugno i negoziati di adesione di questi due Paesi inizieranno nel giugno dell’anno prossimo. Questo è quanto stato annunciato dalla presidenza di turno bulgara dell’Ue per dare “una chiara prospettiva europea” a Tirana e Skopje.
La decisione è arrivata dopo due giorni di discussioni serrate al Consiglio Affari generali, con i ministri Ue che sono riusciti ad accordarsi su un testo di compromesso solo all’ultimo, facendo slittare la data di apertura delle trattative di un anno. Un risultato definito da fonti diplomatiche “positivo nel complesso” e “d‘incoraggiamento per i due Paesi”, ma che “poteva essere politicamente molto più ambizioso”.
Francia, Olanda e Danimarca erano infatti contrarie all’apertura dei negoziati, mentre gli altri Paesi membri, come la Germania ed in particolare l’Italia, da sempre sostenitrice della prospettiva di integrazione dei due Paesi balcanici nell’Ue, erano favorevoli ad iniziare immediatamente il dialogo.
Bersaglio degli oppositori è stata soprattutto l’Albania in quanto i risultati ottenuti dal governo di Tirana, in particolare sul fronte della lotta alla corruzione e alla criminalità, sono stati giudicati insufficienti a compiere un passo in direzione europea. Da più parti quest’obiezione è stata giudicata come pretestuosa in quanto il reale motivo sarebbe il timore di poter perdere consensi alle prossime elezioni.
Per la Macedonia, la bocciatura era meno netta, grazie alla recente intesa raggiunta tra Skopje e Atene a chiudere una disputa ultradecennale sul nome del Paese. Il 17 giugno scorso Grecia e Macedonia hanno infatti firmato uno storico accordo (preliminare) per il cambio del nome dell’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (o semplicemente Fyrom dall’acronimo in inglese) in Macedonia del nord. La motivazione di questa impasse diplomatica nasce dal fatto che Atene ha sempre considerato la regione storica della Macedonia come parte integrante del patrimonio culturale ellenico, rifiutandosi così di riconoscere il nome dello stato slavo, nel timore che questo potesse avanzare rivendicazioni sull’omonima regione della Grecia settentrionale. L’intesa tra i due Paesi arriva dopo 27 anni di dispute ed è giunta provvidenzialmente (forse non a caso) pochi giorni prima del vertice europeo.
Un’eventuale adesione, è bene precisarlo, non avverrà comunque per nessuno dei candidati – anche per Serbia e Montenegro più avanti nelle trattative – prima del 2025, come ha dichiarato il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker.
Perché i Balcani sono strategici per l’Europa?
La procedura di adesione di nuovi membri all’Unione è lunga e complessa, e lo è ancora di più per gli stati dei Balcani occidentali, giovani democrazie uscite dall’ideologia comunista e da guerre che hanno lasciato ferite difficili da sanare nella società e nel sistema democratico. Ma l’allargamento dell’Unione Europea a questi stati è strategico per l’Unione stessa, su più fronti.
Primariamente per ragioni di sicurezza: le vecchie inimicizie etniche al pari delle accresciute influenze esterne nella regione (russe e turche in particolare), potrebbero costituire una ricetta perfetta per un rinnovo dei conflitti nei Balcani.
Poi non va sottovalutata la questione delle migrazioni: l’Albania, per esempio, da paese di immigrazione fino a pochi anni fa, si trova attualmente ad essere il nuovo corridoio per i rifugiati provenienti dalla Grecia. La Rotta Balcanica sembra essersi riaperta nei primi mesi del 2018. Impenetrabile il confine ungherese che passa dalla Serbia, molti migranti percorrono una via alternativa che dalla Grecia attraversa il confine meridionale dell’Albania. Da qui si dirigono in Montenegro e in Bosnia, diretti in Croazia, primo paese dell’Unione Europea. La speranza di coloro che (difficilmente) riescono a passare è quella di raggiungere la Slovenia e gli stati europei confinanti, Austria e Italia. La gestione dei migranti sarà pertanto decisiva per l’accesso.
Non meno importanti sono le ragioni economiche e le prospettive di scambi commerciali. Su questo punto gioca un ruolo rilevante l’Italia, e non a caso il nostro Paese ha svolto un ruolo fondamentale per facilitare l’avvio dei negoziati. I Balcani occidentali costituiscono per l’Italia una regione di forte e radicata presenza economica, sia in termini di interscambio commerciale che di investimenti. L’Italia è il secondo fornitore e anche il secondo cliente dei sei Paesi balcanici occidentali (Bosnia Erzegovina, Serbia, Albania, Macedonia, Montenegro, Kosovo). Tra il 2010 e il 2016, il valore dell’interscambio è aumentato del 47,9% passando da 5,1 miliardi di euro a quasi 7,5 miliardi.
Nel momento in cui la regione si appresta innanzitutto ad integrarsi economicamente, come premessa all’integrazione al mercato unico europeo, le Pmi italiane possono essere perciò un punto di riferimento e rappresentare dei partner con cui le Pmi dei Balcani occidentali possono costruire partenariati e altre forme di collaborazione industriale e commerciale, accelerando così la loro integrazione nelle catene del valore europee.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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