Le elezioni presidenziali e parlamentari turche, tenutesi lo scorso 24 giugno, hanno prodotto un risultato inequivocabile: ora Erdogan è sempre più un uomo solo al comando nonostante la congiuntura economica non positiva attraversata da Istanbul.

Con un tasso di partecipazione di quasi il 90 per cento, la Turchia ha dato al mondo una lezione di democrazia”. Vincente e beffardo: così Erdogan ha voluto commentare l’ennesimo successo elettorale (dal 2002 ad oggi non ha ancora perso un’elezione) che gli ha assegnato oltre il 52% dei consensi a fronte del comunque mirabile risultato ottenuto dal suo principale avversario, Muharrem Ince, capace di superare il 30% delle preferenze.

Nonostante le accuse di brogli (che accompagnano oramai da anni le elezioni turche) non si siano fatte attendere anche in quest’occasione la portata della vittoria ottenuta da Erdogan ha costretto anche Ince ad ammettere che
il successo di Erdogan non può essere spiegato soltanto con le irregolarità nelle elezioni. Hanno rubato voti? Sì. Ma hanno rubato 10 milioni di voti? No“.

Dunque per dirla con le parole del principale oppositore di Erdogan “la Turchia ha tagliato i suoi legami con la democrazia e con il sistema parlamentare e sta andando verso il regime di un uomo solo“.

Un mix di abilità e lungimiranza politica hanno infatti consentito al “Sultano” di fiutare il possibile calo di consensi per il suo partito, l’Akp, che ha infatti perso circa 7 punti percentuali rispetto alla precedente tornata elettorale, spingendolo così a stringere un accordo politico con il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp).

L’Mhp ha infatti raccolto oltre l’11% dei consensi che, sommati al circa 42% del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) di Erdogan, hanno consegnato al presidente anche la maggioranza del parlamento turco.

L’altro grande protagonista delle elezioni è stato senza dubbio Selahattin Demirtas – leader della formazione filocurda di sinistra Hdp e rinchiuso in carcere ormai dal 4 novembre 2016 per presunta promozione di attività terroristiche – che è riuscito a superare la soglia di sbarramento monstre per entrare in parlamento, fissata al 10%.

In ogni caso l’importanza di questo passaggio elettorale era notevole soprattutto perché queste erano le prime elezioni post riforma costituzionale. Una riforma che ha sancito il passaggio da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale, incrementando esponenzialmente i poteri e le prerogative del presidente con la conseguente limitazione del potere legislativo e giudiziario. Ora Erdogan avrà infatti piena libertà nella nomina di giudici e ministri e potrà approvare decreti o avviare indagini sull’operato di funzionari governativi.

La riforma della costituzione inoltre concede al “Sultano” l’opportunità di rimanere al potere per altri 10 anni perché essa prevede per il presidente un massimo di due mandati da 5 anni ciascuno e non considera i mandati precedenti (Erdogan era stato eletto capo di stato già nel 2014). Le prospettive per Erdogan sono quelle di arrivare come minimo al 2023, per poi giocarsi le sue carte in nuova tornata elettorale. Per quella data il leader avrà “solo” 69 anni e dunque è probabile che, durante il presente mandato, vengano approvate nuove modifiche costituzionali che concedano ad Erdogan la possibilità di guidare la Turchia vita natural durante.

La scommessa del “Sultano” di trascinare il Paese alle elezioni anticipate ha quindi dato i suoi frutti mentre la speranza delle opposizioni di arrivare almeno al ballottaggio si è rivelata vana. Il recente esito elettorale pone ora il Paese di fronte ad un bivio ed Erdogan dovrà scegliere fra due strade: allentare, almeno parzialmente, lo stretto controllo sugli oppositori (giustificato dallo stato di emergenza in vigore ormai da quasi due anni indetto in seguito al presunto tentativo di colpo di stato del luglio 2016) oppure procedere speditamente verso un ulteriore accentramento del potere nelle proprie mani.

Da quanto affermato in campagna elettorale l’opzione più accreditata a diventare realtà dovrebbe essere la prima visto che Erdogan aveva promesso, in caso di vittoria, di rimuovere lo stato d’emergenza ma bisognerà vedere se il leader dell’Akp terrà fede alla parola data dal momento che per lui adesso si profila un mandato quinquennale con poteri quasi assoluti.

Ciò che è importante è vedere come Erdogan affronterà il crollo della lira turca, capace di perdere il 20% del proprio valore nell’arco degli ultimi due mesi soprattutto perché il “Sultano” sembra avere tutta l’intenzione di mettere in discussione l’indipendenza della Banca Centrale del Paese, eventualità che spaventa (e non poco) gli investitori esteri.

Rapporti con il mondo

Un primo indizio delle conseguenze che l’esito elettorale avrà sulla posizione della Turchia nel mondo arrivano dai messaggi di congratulazioni giunti da diverse capitali estere fra cui Baku, Budapest e Mosca. Aljev, Orban e Putin si sono infatti affrettati a far recapitare i loro auguri ad Erdogan ed oggi rappresentano tre dei principali interlocutori politici di Istanbul.

D’altro canto la Turchia si è decisamente allontanata dall’Unione Europea tanto che nel 2017 Erdogan ha dichiarato pubblicamente di aver cambiato idea su un eventuale ingresso della Turchia nell’Ue. Parallelamente i rapporti con Putin si sono rasserenati sia grazie all’intesa sulla costruzione del gasdotto Turkish stream che, a partire dalla fine del 2019, veicolerà il gas russo verso l’Europa centrale sia in seguito all’acquisto di un importante sistema missilistico russo da parte della Turchia.

Per quel che concerne l’Italia è difficile prevedere un raffreddamento delle relazioni con Istanbul nel breve termine anche se Erdogan dovesse decidere di imprimere un’immediata ed ulteriore (ma poco probabile) svolta autoritaria al Paese.

Roma ed Istanbul sono infatti molto legate da reciproci interessi economici con un interscambio superiore ai 17,5 miliardi di euro (dati 2017). In parole povere la Turchia ha bisogno dell’ Italia come l’Italia ha bisogno della Turchia e con il nuovo governo M5S-Lega, che guarda con favore ad un alleggerimento delle sanzioni nei confronti della Russia, si potrebbe addirittura configurare un’inedita alleanza a tre sull’asse Roma-Mosca-Istanbul.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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