Dal primo giugno 2018 i dazi americani sull’import di acciaio (25%) ed alluminio (10%) sono in vigore anche nei confronti di Ue, Canada e Messico. Quali saranno le ripercussioni sull’economia del Belpaese?
Alla fine è successo per davvero: Trump è passato dalle minacce ad i fatti coinvolgendo anche l’Unione Europea, il Canada ed il Messico nella guerra di tariffe che gli Usa stanno scatenando a livello globale pur di ottenere un riequilibrio della loro bilancia commerciale. L’impatto del “protezionismo trumpiano” sarà comunque più limitato per Bruxelles rispetto a Ottawa e Città del Messico dal momento che l’export europeo di acciaio ed alluminio negli States si ferma ad appena 6,5 miliardi di dollari, meno dell’1% dell’interscambio totale annuo fra Usa e Ue.
Un po’ diversa la situazione per Canada e Messico (che, fra l’altro, stanno anche trattando con Washington la riforma del Nafta) che forniscono agli Stati Uniti circa 15 dei 30 miliardi di dollari d’acciaio ed alluminio importati da Washington ogni anno: per questo entrambi i Paesi si stanno già muovendo per attivare una serie contromisure su numerosi prodotti fra cui detergenti, salsicce, uva, mele e mirtilli.
L’entrata in vigore delle misure ha comunque causato una immediata reazione da parte delle istituzioni comunitarie con il presidente della Commissione Ue Juncker che si è affrettato a dichiarare che il primo giugno “è stato un giorno molto brutto per il commercio mondiale ed è del tutto inaccettabile che un Paese imponga misure unilaterali” aggiungendo che l’Ue “farà immediatamente ricorso alla Wto ed annuncerà misure compensative nelle prossime ore”.
La strategia americana è chiara: usare lo strumento dei dazi per ottenere delle concessioni dai vari Paesi messi nel mirino. Ma ciò che più preoccupa è l’atteggiamento tenuto dagli States, pronti ad un’escalation nel caso in cui le nazioni colpite decidessero di reagire come sottolineato dal ministro del commercio americano Ross: “Sta all’Europa decidere se vuole varare ritorsioni. La domanda è: cosa farà Trump? Avete visto la sua risposta quando la Cina ha deciso di reagire. Se ci sarà un’escalation sarà perché la Ue avrà deciso di reagire”.
In realtà Bruxelles non si è fatta trovare impreparata ed ha già un piano per colpire una serie di prodotti Usa (fra cui spiccano prodotti come bourbon, jeans Levi’s, moto Harley Davidson) per un valore complessivo vicino ai 3 miliardi di dollari.
La situazione è quindi indiscutibilmente tesa e potrebbe addirittura diventare incandescente nel caso in cui le sanzioni a stelle e strisce venissero estese anche nei confronti delle automobili europee dal momento che solo Germania, Gran Bretagna ed Italia vendono ogni anno autoveicoli agli Stati Uniti per un importo pari a 41 miliardi di dollari. Il colpo sarebbe durissimo soprattutto per Berlino che nel 2017 ha esportato negli Usa auto per 28 miliardi ma non lascerebbe indifferenti neanche Londra (8 miliardi) e Roma (5 miliardi).
Per ora comunque la questione non è ancora all’ordine del giorno: Trump ha sì avviato un’istruttoria per verificare se l’import di auto straniere costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale (procedura che per concludersi richiede circa 12 mesi e che è stata impugnata davanti alla Wto da diversi Paesi) ma, al momento, le possibilità di veder coinvolto anche il comparto automotive nella guerra commerciale in atto sembrano limitate. Sia perché molte case automobilistiche producono negli States sia perché molte auto si avvalgono di componenti Made in Usa e quindi l’eventuale nuova ondata di protezionismo finirebbe inevitabilmente per penalizzare anche alcuni segmenti dell’economia americana.
Effetti economici sull’Italia e globali
Secondo le stime del Peterson Institute l’entrata in vigore dei dazi sull’export di acciaio ed alluminio potrebbe comportare, per il Vecchio Continente, perdite per 2,6 miliardi di dollari. Il Paese che ne risentirebbe maggiormente sarebbe la Germania, che oggi vende acciaio ed alluminio a Washington per 1,4 miliardi di dollari l’anno, mentre l’impatto sul Belpaese dovrebbe essere più limitato, dal momento che il nostro export di questi due prodotti sul territorio statunitense si ferma a 650 milioni di dollari.
In assoluto l’impatto dei dazi Usa sull’Italia è visto ancora come limitato e stimato in circa 500 milioni di dollari vale a dire appena l’1,2% dell’export italiano verso gli Stati Uniti. Addirittura secondo alcuni economisti “tenendo conto che il nostro Paese esporta anche nicchie di prodotto difficilmente sostituibili, la perdita si ridurrebbe in realtà a 200 milioni“.
Nel lungo periodo comunque la guerra dei dazi in atto non porterebbe nulla di buono a nessuna delle parti coinvolte come confermato da Prometeia secondo cui un’escalation dei dazi porterebbe “al peggior risultato possibile per entrambi gli attori coinvolti: 7,8 miliardi di minori esportazioni per gli States, 4,4 miliardi per il Vecchio Continente nel caso reagisca e si protegga a sua volta. Nello scenario, improbabile, di una non risposta alle tariffe da parte di Bruxelles il danno economico ammonterebbe invece a 2,1 miliardi per l’Ue“.
Insomma una “lose lose situation” di livello globale che, tuttavia, non sembra spaventare il focoso tycoon americano.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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