Export e social media: binomio vincente? Che i nuovi strumenti digitali siano una buona opportunità di business, non vi è alcun dubbio. Ma quali sono le loro reali potenzialità per l’export?
Qualche mese fa, il guru del marketing Philip Kotler affermava che le aziende, soprattutto quelle con budget limitati, dovrebbero considerare con attenzione le opportunità offerte dal digitale per la penetrazione di nuovi mercati. Infatti, in uno scenario internazionale altamente competitivo, il digital e il social possono risultare scelte vincenti per ampliare il proprio business e aumentare le vendite all’estero. Ma i dati, come emerge da una ricerca del Politecnico di Milano, non sono ancora incoraggianti: l’Italia nel 2017 ha venduto all’estero beni di consumo per 144 miliardi di euro, ma solo il 6,4% del fatturato proviene dal canale digitale. Si potrebbe fare molto di più, dunque. Ma come?
I social network possono e devono essere un perno fondamentale nelle strategie di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. Il digital export, attraverso le piattaforme social, permette sia alle aziende B2C di vendere all’estero, sia alle aziende B2B di trovare importatori, distributori, rivenditori o clienti sui mercati internazionali. In altre parole, farsi notare, prima ancora di vendere: attraverso i social media anche le esportazioni possono prendere il volo, aumentando dapprima la brand awareness e convertendo poi i target in lead.
Avendo una presenza social, le aziende possono ricevere ed evadere richieste di acquisto da paesi lontani geograficamente, accorciando le distanze culturali: questi strumenti riescono a gettare le basi per la penetrazione di nuovi mercati e per l’engagement di clienti esteri.
Per ottenere un vantaggio competitivo, gli imprenditori che vogliono massimizzare la propria presenza online devono innanzitutto capire l’interesse del mercato estero verso il prodotto, sfruttando le potenzialità offerte da piattaforme che si occupano di “sentiment analysis” su social network e motori di ricerca.
Al fine di non commettere passi falsi, i brand devono inoltre tener conto della varietà dei social network e scegliere quello che nel mercato di riferimento è di maggior utilizzo. Se è evidente che i social network più diffusi come Facebook, Twitter, You Tube, Instagram e LinkedIn non possono essere ignorati, è però altrettanto indispensabile considerarne altri più specifici per le singole realtà internazionali.
Per esempio, in Italia quasi nessuno conosce Orkut, un social network di Google poi incluso in Google +, eppure è il social network più utilizzato in India e Brasile; Viadeo è la piattaforma di riferimento per il networking professionale nei paesi di lingua francese e Xing lo è invece in quelli germanofoni, al di là del più “blasonato” LinkedIn; VKontakte, in Russia è de facto la piattaforma social più utilizzata; in Cina, complice anche la censura imposta dal governo, esistono decine di social network e sistemi di messaggistica istantanea che in Occidente non sono per niente conosciuti. Definire i social network da gestire paese per paese è dunque necessario per poter predisporre un piano di comunicazione efficiente e personalizzato.
Una volta scelto il social, la ricerca del giusto target è altrettanto importante. Il mondo online è un vasto bacino di potenziali clienti, che possono essere segmentati e targettizzati facilmente attraverso le piattaforme.
Lo stesso Facebook, ad esempio, offre un’utile risorsa: la selezione del pubblico per i propri annunci pubblicitari. Quest’ultimo si può creare attraverso l’utilizzo del “pubblico salvato”, che è generato dalle informazioni raccolte della piattaforma stessa, o partendo da dati già in possesso (mailing list, visite sul sito web, utenti che hanno interagito con contenuti video o compilato form di lead generation).
Da non sottovalutare poi è la content strategy. Le aziende che lanciano una strategia social in un nuovo territorio devono capire che i contenuti condivisi devono essere rilevanti per l’audience che stanno tentando di raggiungere. La geolocalizzazione, in altre parole, è fondamentale e questo significa adattarsi ai fattori socio-culturali del paese di destinazione, ideando contenuti che possano essere compresi efficacemente dal contesto culturale di riferimento, che vengano cioè decodificati dal ricevente. Solo in questo modo è possibile che la comunicazione dell’azienda possa suscitare le emozioni volute e avere le stesse implicazioni sul target che avrebbe avuto nel contesto e nella lingua originaria.
Tuttavia, pur cambiando lingua e nonostante la geolocalizzazione, il tone of voice del brand deve rimanere fedele ai valori della marca ed esprimere la sua identità a prescindere dal mercato in cui si sta entrando. Per fare un esempio, in caso di strategie SEM e di SEO basate sulle parole chiave utilizzate nel paese di origine, esse non avrebbero lo stesso successo in un altro Paese, dove si ragiona con altri schemi e si definiscono prodotti e servizi con altre espressioni.
Insomma, i brand che vogliono espandersi all’estero hanno tra le mani enormi potenzialità per la propria promozione. I social media, grazie alla loro natura, portano la comunicazione a un livello personale e personalizzato, dando voce ai prodotti e a coloro che li consumano, a prescindere dal mercato in cui si trovano. Occorre però che, nell’ottica di un’internazionalizzazione digitale, le imprese imparino a conoscere e ad ascoltare i mercati online, monitorando le conversazioni sui social dell’audience di riferimento.
Fermo restando che con l’evoluzione delle tecnologie alcune piattaforme probabilmente attraverseranno fasi di maturità e declino, si può comunque affermare che solo con un’attenta e adeguata progettazione strategica, il binomio social-export risulterà davvero vincente.
Fonte: a cura di Exportiamo, Giulia Dell’Uomo, redazione@exportiamo.it
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