Pagamenti digitali: l’Italia arranca ma nel 2020 può arrivare a quota 100 miliardi

Pagamenti digitali: l’Italia arranca ma nel 2020 può arrivare a quota 100 miliardi

03 Maggio 2018 Categoria: Marketing Internazionale

Nel ricorso ai pagamenti digitali l’Italia è fortemente indietro rispetto agli altri Paesi europei: al momento infatti solo lo 0,7% delle spese annue delle famiglie italiane viene effettuato attraverso dispositivi elettronici, app ed internet ma nel giro di qualche anno molte cose potrebbero cambiare.

Dal baratto alla moneta, dalla banconota ai coupon

La storia dell’evoluzione dei metodi di pagamento a cui sono ricorsi gli uomini nei secoli parte da lontano ma già 70 anni fa, nel 1948, si è iniziato a delineare il futuro così come oggi lo viviamo quando, a duecento associati della compagnia assicurativa americana McNamara, fu distribuito un coupon da utilizzare in 14 ristoranti di New York City per portare a pranzo i propri clienti. Si trattava di una piccola tessera in cartone chiamata Diners, come le tavole calde diffuse in città. Oggi dalle piccole tessere di cartone siamo passati alle carte di credito plastificate che entrano comodamente nei nostri portafogli.

Tuttavia in questo campo l’Italia non è esattamente al passo con i principali Paesi del mondo: nella Penisola si continua infatti (nell’86% dei casi secondo un report di Ambrosetti) ad acquistare prodotti e servizi in contanti. Secondo il report l’Italia, a livello europeo, è una delle economie con la più alta quota di denaro contante in circolazione, in aumento da 128 a 182 miliardi tra il 2008 e il 2015.

In Italia l’elevato utilizzo del cash è sicuramente frutto (almeno parzialmente) d’abitudine ma spesso accade che nonostante si voglia pagare con la carta di credito, a causa dei costi fissi di gestione dei circuiti e di quelli variabili della gestione della transazione, molti acquirenti si vedano rifiutare la possibilità di effettuare la transazione, se questa non supera un determinato importo, fissato dal venditore.

Questo accade perché in Italia manca una vera e propria regolamentazione della materia che si ripercuote sul fatto, ad esempio, che non esista ancora una sanzione per chi non adempie all’obbligo di installare il Pos. O meglio, tale obbligo era stato introdotto dal governo Monti nel 2012, ma la sua applicazione era stata molto limitata anche a causa della sua impopolarità. Tuttavia, il problema è che la disposizione introdotta dal governo Monti elaborava un obbligo sì, ma non prevedeva alcuna sanzione in caso esso venisse contravvenuto.

È stato il Ministero dello sviluppo economico a riaprire recentemente la vicenda, volendo ricorrere - per disciplinare la materia - all’articolo 693 del codice penale in vigore secondo cui “chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a trenta euro”, estendendo la sanzione anche al caso del pagamento con moneta elettronica. “La carenza normativa ha determinato, finora, la mancata applicazione dello specifico obbligo vanificando, di fatto, la previsione legislativa”, ha commentato il Consiglio di stato.

E proprio il Consiglio di Stato ha ritenuto la norma in contrasto con il principio costituzionale secondo cui nessuna prestazione economica può essere imposta se non in base alla legge. I giudici di palazzo Spada con il parere n. 1104/2018 dello scorso 23 aprile, hanno disposto la sospensione del giudizio sullo schema presentato dal Mise, domandando ulteriori approfondimenti.

I numeri dei pagamenti digitali in Italia

In Italia nel 2017 abbiamo speso solo 46 miliardi di euro per lo shopping online ma secondo l’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano le prospettive per il 2020 sono incoraggianti: in meno di tre anni tale cifra può più che raddoppiare, sfondando il muro dei 100 miliardi. A far ben sperare ci sono gli acquisiti effettuati tramite smartphone che l’anno scorso sono cresciuti del 65%, superando i 5,8 miliardi di euro.

“Le modalità più innovative di pagamento digitale (ecommerce, e-payment, mobile payment & commerce, contactless payment, mobile pos) rappresentano oggi il 21% del totale dei pagamenti digitali con carta, mentre nel 2016 si fermavano al 15%, e sono quelli che stanno trainando il settore”, spiega Ivano Asaro, responsabile dell’osservatorio del Politecnico di Milano. “I new digital payment infatti sono cresciuti del 50% anche nel 2017 raggiungendo quota 46 miliardi di euro”, prosegue.

L’Italia non sarà all’avanguardia ma è decisamente una buona piazza su cui si stanno affacciando startup nostrane ed altri colossi digitali provenienti da Corea del Sud, Stati Uniti, Gran Bretagna e molti altri Paesi.

L’ultimo arrivato in casa pagamenti digitali è Samsung Pay, presentato il 22 marzo scorso. Le altre piattaforme sono Apple Pay, che digitalizza la carta di credito dell’utente che possiede un iphone, Amazon Pay, servizio alternativo a Paypal che permette di utilizzare il proprio account per fare acquisti anche su altri siti, Satispay, app gratuita per inviare denaro ai contatti in rubrica telefonica e pagare nei negozi convenzionati fisici e online.

In particolare secondo Asaro “Satispay sta registrando degli ottimi numeri e lavorando molto bene. La modalità di pagamento che offre piace agli utenti e le promozioni di cashback che offre sono molto allettanti. C’è però da dire che Apple Pay è arrivato in Italia solo a metà 2017 e inizialmente con solo tre banche. Ora avrà margine di crescita, così come gli altri servizi che usano i sistemi nfc, che potranno sfruttare l’infrastruttura di accettazione contactless già installata. E anche Jiffy è in rampa di lancio e nel 2018 permetterà di pagare nei negozi sfruttando la geolocalizzazione”.

Una rivoluzione nel settore è rappresentata dall’entrata in vigore a livello europeo da gennaio 2018 della direttiva Psd2 (Payment service directive 2), un insieme di regole per proteggere i consumatori quando pagano online, promuovendo pagamenti attraverso l’open banking. “Effetti diretti non ce ne sono ancora, è troppo presto”, sostiente Asaro aggiungendo però che l’entrata in vigore della direttiva Ue “ha costretto le banche ad accelerare alcuni processi di innovazione proprio per cercare di anticipare eventuali nuovi entranti che potranno entrare nel mercato sfruttando proprio la Psd2”.

La speranza è che la direttiva incentivi i pagamenti digitali soprattutto in Europa occidentale e meridionale dove i pagamenti in contanti sono ancora molto diffusi: solo la Spagna con il 90% delle transazioni cash fa peggio dell’Italia.

La direttiva Psd2 apre dunque all’arrivo di nuovi attori interessati a mettere in pratica la cosiddetta convergenza digitale e c’è chi è già oltre, immaginando l’eliminazione di carte, smartphone e qualsiasi altro dispositivo digitale per ricorrere direttamente alla biometria, l’autorizzazione ai pagamenti attraverso i tratti biometrici dell’utente. Infatti, secondo uno studio condotto da Visa Biometric Payments che ha coinvolto 14mila persone in tutta Europa ha rivelato che il 73% degli utenti considera i controlli di sicurezza biometrici sui dispositivi di pagamento un sistema di autenticazione sicuro perché basato su un’esatta corrispondenza.

Al momento le imprese stanno testando metodi di riconoscimento biometrico diversi: impronte digitali, scansione dell’iride, battito cardiaco, autoscatto e autenticazione vocale tanto che gli esperti ritengono che la biometrica rappresenterà il futuro e anche gli utenti sono fiduciosi. Il riconoscimento delle impronte digitali è indicato come il sistema preferibile dall’81% dei consumatori, segue la scansione dell’iride mentre solo il 15% si affiderebbe all’autoscatto per autenticare i pagamenti e appena il 12% sarebbe disposto a utilizzare il riconoscimento vocale.

Per il futuro più remoto staremo a vedere ma per quello più prossimo è probabilmente arrivato il momento per gli istituti finanziari di aprirsi davvero alla tecnologia blockchain, capace di creare database sicuri e pubblici, cogestiti dagli utenti, in modo da garantire la correttezza delle transazioni senza che nessuno possa manipolarle.

Fonte: a cura di Exportiamo, Claudia Cavaliere, redazione@exportiamo.it

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