Si è conclusa ieri a Verona la 52esima edizione di Vinitaly, una tra le manifestazioni fieristiche italiane più famose al mondo. I numeri di questa edizione confermano il trend di crescita del comparto enologico italiano sempre più apprezzato soprattutto al di fuori dei confini nazionali.
Cifre da capogiro per l’ultima edizione del Vinitaly: 4.380 gli espositori presenti (+3,1% rispetto all’edizione 2017) provenienti da 36 diversi Paesi (contro i 29 del 2017) e 32 mila i buyer esteri accreditati che quest’anno registrano un significativo +6%.
Produttori, importatori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinion leader hanno dato vita ad un evento seguitissimo tanto su “media tradizionali” quanto sui social network. Fra i trend del settore, il più evidente da segnalare è il boom del vino biologico capace, nel 2017, di registrare un incremento nelle vendite del 45% rispetto al 2016.
Il vino è diventato un vero e proprio simbolo della qualità italiana nel mondo e come ha rimarcato Luca Zaia, presidente della regione Veneto, “non è un caso che la più grande e bella fiera del vino sia in Italia e in Veneto”, visto che l’Italia è il primo produttore al mondo ed il Veneto è il primo produttore d’Italia.
L’Italia è anche uno dei primi esportatori al mondo delle proprie eccellenze enologiche: 1/5 del totale dell’export globale di vino proviene dal Belpaese, per un valore complessivo di 6 miliardi di euro.
A confermare le prestazioni da record dell’export del settore un’indagine condotta da Coldiretti, basata sui dati del commercio estero relativi al mese di gennaio 2018 e resa nota proprio in occasione della giornata conclusiva del Vinitaly, dalla quale emerge l’incremento del 13% dell’export di vini Made in Italy, rispetto a gennaio 2017.
In assoluto comunque il settore è in salute e nel 2017 ha prodotto un turn over di circa 11,3 miliardi di euro, in aumento del 2,7% rispetto al 2016.
A trainare questa crescita sono ancora una volta gli spumanti italiani (+26%) che stanno raccogliendo un apprezzamento incredibile in giro per il mondo e che rappresentano oltre il 20% sul totale dell’export di vini italiani (1,36 miliardi di euro).
Negli ultimi dieci anni infatti, come attestano i dati della ricerca “Il futuro del mercato. I mercati del futuro” di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, nel mondo si è registrata un’incredibile impennata (+240%) nel consumo di vini sparkling, a fronte di un sostanzioso incremento dei vini fermi, che si è però fermato ad un più modesto +50%.
Le previsioni per l’anno in corso sono altrettanto positive tanto che è prevista una crescita delle vendite di vino italiano all’estero del 3,4%. La parte del leone dovrebbe essere giocata ancora una volta dalle “bollicine” (+10%) con il prosecco protagonista indiscusso perché capace di conquistare moltissimi mercati per la sua versatilità e per il forte appeal esercitato sui millennials e sul mondo femminile.
Tutto ciò mentre nel mondo si assiste a una crescita generalizzata del consumo di vino: negli ultimi 15 anni infatti si è passati da 228 a 242 milioni di ettolitri con un incremento complessivo del 6,1%.
Fra i Paesi che hanno registrato gli andamenti più interessanti spiccano gli Stati Uniti (+18% a gennaio 2018) che oggi rappresentano il primo mercato mondiale per consumi e mostrano significative previsioni di crescita di circa il 6% nei prossimi cinque anni, rispetto ad un tasso medio globale che dovrebbe fermarsi al +2%.
A seguire si evidenziano le performance di Cina (+16%), Francia (+14%), Germania (+12%) e Russia (+9%), che dovrebbero addirittura incrementare questo trend di crescita nel prossimo quinquennio se è vero che, come sostiene la ricerca di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, saranno Cina (+38,5%), Russia (+27,5%), Usa (+22%) e Giappone (+10%) a registrare gli incrementi più interessanti nell’acquisto di vino italiano.
Tra questi mercati, particolarmente degno di nota è quello cinese, che dai primi anni 2000 ad oggi ha più che raddoppiato i propri consumi di vino, dimostrando di avere un enorme potenziale di crescita. Proprio verso il colosso asiatico sarebbe opportuno che gli esportatori di vino italiani concentrassero la loro attenzione, così come fanno alcuni dei nostri competitor, in particolare gli australiani ed i francesi, che sono già molto più presenti e strutturati.
Fra gli altri mercati a maggior potenziale di sviluppo si segnalano Giappone e Sudamerica, aree in cui però c’è da battere la forte concorrenza dei vini cileni ed australiani che si sono conquistati importanti fette di mercato anche grazie ad alcuni accordi di libero scambio già in vigore.
Anche gli investimenti sul marketing non vanno sottovalutati poiché conquistare nuovi consumatori è di fondamentale importanza. In quest’ottica si inserisce il video della campagna istituzionale di promozione del vino italiano all’estero “Italian Wine – Taste the Passion” realizzata da Ice in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico e quello delle Politiche Agricole e presentata proprio qualche settimana prima del Vinitaly, che associa il nostro vino ad esperienze culturali, territoriali e di lifestyle espressive dell’ eccellenza e unicità italiane.
Un problema non indifferente, inoltre, che le aziende italiane incontrano quando affrontano i mercati esteri è legato alle loro dimensioni ridotte che le rendono meno competitive nell’arena internazionale: spesso si parla infatti di piccole e medie imprese, se non addirittura di micro aziende. Sarebbe perciò il caso di cogliere il suggerimento del presidente di Veronafiere, Maurizio Danese, il quale ha sostenuto che: “Oggi per sopperire al nanismo delle nostre imprese e per penetrare nei mercati più lontani da noi sul piano delle affinità culturali serve un brand ombrello e una struttura qualificata in grado di accompagnare nel mondo non le singole aziende ma tutto il made in Italy enologico con modalità aggregative”.
Fonte: a cura di Exportiamo, Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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