L’incoronazione dello zar russo per il quarto mandato a pochi giorni dal voto del Parlamento Cinese che ha abolito il vincolo dei due mandati presidenziali ha evidenziato come il fascino per l’uomo forte al comando sia lontano dall’essere passato di moda. La democrazia è davvero un concetto universale?

Vladimir Putin è stato appena confermato presidente della Russia con una sostegno plebiscitario, persino superiore alle previsioni (quasi il 77% dei suffragi espressi), mentre Xi Jinping s’è visto rinnovare il mandato quasi all’unanimità dal Congresso del Popolo.

Per Putin, teoricamente è l’ultima volta: è stato presidente per due mandati quadriennali consecutivi dal 2000 al 2008 e, dopo un giro di valzer col suo premier Dmitry Medvedev– per un quadriennio s’invertirono i ruoli - ha ottenuto altri due mandati consecutivi di sei anni dal 2012 al 2024 (ma le regole in Russia non sono immutabili). Per Xi Jinping, al potere dal 2013, siamo al secondo mandato; però, la sua presidenza è ormai costituzionalmente illimitata, perché in Cina sono stati aboliti i limiti a successive riconferme.

Lo zar: Vladimir Putin

La sua ascesa inizia nel 1998, quando da ex funzionario del Kgb viene nominato capo dei servizi segreti russi, e nel 2000, dopo le dimissioni di Eltsin, diviene presidente della Federazione Russa. In questi lunghi anni al potere Putin non si è fatto mancare nulla, a partire dalle ombre circa una serie di omicidi riguardanti vari giornalisti, fra i quali il più celebre è quello dell’attivista Anna Politkovskaja. Ci sono stati poi i continui interventi in Medio Oriente a fianco di Assad, i dazi imposti dalle Nazioni Unite e la guerra commerciale con l’Occidente; l’annessione della Crimea e un rapporto con l’Onu costantemente conflittuale. È stato accusato di aver influenzato le elezioni americane sostenendo Trump e di aver ordinato l’avvelenamento della spia russa in Inghilterra, Sergei Skripal, provocando una tensione altissima tra Londra e Mosca, tanto da portare all’espulsione dei diplomatici dei due paesi da entrambi le parti.

Ma lui tira dritto, la popolazione gli si stringe attorno e stravince le elezioni. E soprattutto si vanta di aver avuto molti meriti che gli sono valsi il sostegno della popolazione russa, tra i quali: l’aver combattuto la corruzione presente nell’apparato burocratico statale, l’ascesa della Russia a nuova potenza mondiale, la capacità di aver saputo unire il tradizionale bellicismo zarista e il nazionalismo socialista di stampo sovietico con il beneplacito della Chiesa ortodossa, reggendo un impero multietnico, grande sessanta volte l’Italia e con una popolazione pari alla somma di quella della Germania e dell’Italia.

L’Imperatore: Xi Jinping

Lo scorso 11 marzo l’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese ha approvato quasi all’unanimità un emendamento costituzionale con il quale ha abolito il limite di due mandati per il Presidente della Repubblica. In sostanza, Xi Jinping governerà la Cina per un terzo mandato e potenzialmente potrebbe governarla a vita.

L’incarico a vita per Xi Jinping, al potere in Cina dal 2012, è frutto di un’abile politica portata avanti nel corso degli anni. Sul piano interno ha dato avvio ad una grande epurazione espellendo i burocrati corrotti dalle file del partito e dall’imponente apparato statale. Sul piano estero ha proseguito con una politica economica di soft power che ha permesso alla Cina di diventare la principale economia del mondo.

Capo di Stato, Segretario del Partito Comunista, Presidente della Commissione Militare Centrale, Comandante delle Forze Armate, Xi Jinping accentra nelle proprie mani un potere immenso paragonabile solo a quello di Mao Zedong che aveva instaurato un verso e proprio culto della sua personalità. Il che fa capire quanto l’attuale dirigenza politica cinese abbia operato un’inversione di tendenza: dopo la morte di Mao infatti, proprio per evitare alla Cina le derive autoritarie dell’accentramento del potere, Deng Xiaoping aveva avviato un processo di distribuzione del potere fra più organi dello stato e personalità, pur restando nel quadro di un sistema politico autoritario, governato dal partito unico. I precetti di Deng hanno funzionato bene fino a oggi, con direzioni collegiali, un limite di due mandati da cinque anni ciascuno e una relativa sobrietà ai vertici che segnava una rottura con lo statuto di dio vivente di Mao. Fino alla svolta avviata con l’arrivo alla testa del partito di Xi Jinping che culla il sogno di trasformare la Cina nella prima potenza mondiale, sfruttando anche l’isolazionismo americano e la fragilità europea.

La democrazia è davvero universale?

L’idea di vivere in un mondo democratico, scevro da autoritarismi e ricco di partecipazione popolare è qualcosa che riguarda essenzialmente i Paesi occidentali (almeno in apparenza): per il resto sono molti i Paesi dove continuano a vigere e ad essere legittimate forme di dittatura più o meno velata e il concetto stesso di democrazia, almeno così come lo intendiamo noi, è totalmente alieno.

Se la Cina, infatti, è rimasta sotto un regime comunista, quindi di per sé estraneo all’idea occidentale di democrazia, la Russia postcomunista non è riuscita a completare la sua transizione verso questo tipo di democrazia, peraltro assente dalla sua storia. In entrambi i casi, la maggiore trasformazione è avvenuta nel sistema economico, rimasto molto accentrato ma con una consistente apertura al mercato e alla proprietà privata. Il tutto, ovviamente, sotto uno stretto controllo del potere politico, con i grandi capitalisti privati a sostegno del sistema, pena la loro estromissione e non solo dall’economia.

Forse, come ha scritto Lucio Caracciolo, “la Russia non può essere una democrazia, perché se lo fosse non esisterebbe.” Secondo un recente sondaggio dell’Istituto Levada, solo il 13% dei russi considera che una democrazia in stile occidentale servirebbe i loro interessi, mentre il 16% preferisce una “democrazia” sovietica e il 55% pensa che l’unico governo democratico accettabile è quello che corrisponde alle “specifiche tradizioni nazionali russe”. In parole povere, il regime vigente.

Lo stesso dicasi per la Cina: così come i russi, molti cinesi all’interno dell’élite politica ed economica accettano questa logica e ammettono che questo potere iper-centralizzato e autoritario è efficace nel permettere a un paese di 1,4 miliardi di abitanti di raggiungere i propri obiettivi. È come se le ombre proiettate sulla società - ombre che celano violazioni dei diritti umani, accentramento dei poteri, controllo assoluto dei media che contano - fossero meno degne di attenzione.

Di fronte a tutto ciò, le “democrazie” occidentali, intrise nella loro falsa morale che si manifesta in periodiche espressioni di disapprovazione, mostrano tutta la loro ipocrisia. Il fatto è che, anche per loro, quel che conta è che ci siano governi stabili e prevedibili. Diritti umani o no, si tratta inoltre di mercati troppo grandi e troppo appetibili per potervi rinunciare.

Sarà dunque il caso di accettare che Putin e Xi Jinping, interlocutori legittimati da procedure certamente discutibili, ma comunque espressioni d’una chiara volontà popolare, sono e resteranno per il prossimo futuro presenze imprescindibili sulla scena mondiale, che non basta trattare a sanzioni e dazi.

Fonte: a cura di Exportiamo,Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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