Pechino ha recentemente svelato il progetto per una “Via della Seta Polare”, che sfruttando l’opportunità dello scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale può permettere al traffico commerciale di accorciare i tempi di navigazione dall’Asia all’Europa con l’apertura di nuove rotte nel mare Artico. Quali saranno le conseguenze per gli snodi del Mediterraneo?
Il cambiamento climatico è un dato di fatto e la Cina è pronta a sfruttarne un aspetto commercialmente utile. Il 26 gennaio 2018 il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare cinese ha pubblicato il primo “Libro Bianco” sulla politica artica, che annuncia l’apertura di nuove rotte commerciali nel mare Artico.
Il Celeste Impero è pronto ad aggiungere la “Via della Seta Polare” alle molteplici rotte tracciate intorno al mondo nell’ambito del programma Belt and Road Initiative (BRI), il piano infrastrutturale da mille miliardi di dollari lanciato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping per integrare Asia, Africa e Europa via terra e via mare. Il progetto, che dovrebbe coinvolgere quasi 60 paesi, al momento presenta una rotta terrestre che, attraversando l’ Asia centrale, collega Cina e Europa, e due rotte marittime, quella Mediterranea che passa per il canale di Suez e quella Pacifica che passa nel canale di Panama.
La rotta polare ridurrebbe drasticamente i tempi di collegamento tra Cina ed Europa del Nord: un mercantile salpando da Shanghai e usando il passaggio a Nordest della Russia, risparmierebbe quasi 20 giorni per arrivare al porto di Rotterdam in Olanda. Il percorso tradizionale invece, avrebbe attraversato l’Oceano Indiano, il Canale di Suez e il Mediterraneo, con durata totale di 48 giorni. In realtà le rotte artiche previste per il passaggio delle merci sarebbero due: quella appunto nota come “il passaggio a nord-est“, a nord della Russia, che permetterebbe di arrivare più velocemente al porto di Rotterdam, e il “passaggio a nord-ovest”, che passa sopra il Canada.
Per costruire la Via della Seta Polare, il Governo cinese intende incoraggiare le sue imprese “a partecipare alla costruzione di infrastrutture per queste rotte e condurre viaggi di prova commerciali in conformità con le leggi vigenti per spianare la strada alla loro operazione commerciale e regolarizzata“. E il colosso dei trasporti marittimi China Cosco Holdings Company Limited avrebbe già pianificato di lanciare la prima tratta Asia-Europa attraverso la rotta.
È il Polo Nord il nuovo Eldorado?
Naturalmente in questa prospettiva entrano in campo importanti considerazioni di carattere economico e geopolitico: in primo luogo la Cina, pur non affacciandosi direttamente sull’Artico, dal 2013 è uno dei 13 Paesi (tra cui anche l’Italia) a sedere con lo status di osservatore nell’Arctic Council, il forum intergovernativo che promuove il coordinamento e l’interazione tra gli Stati che si affacciano sul Polo Nord (gli 8 membri effettivi sono Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti). I piani ambiziosi della Cina dovranno dunque confrontarsi con gli interessi di tutte le nazioni coinvolte nell’utilizzo e nello sfruttamento dell’Artico, cercando di attutire gli attriti e di sviluppare le collaborazioni.
Il commercio non sembra perciò al momento essere l’aspetto prioritario. Sebbene si preveda che entro il 2045 l’Artico sarà libero da ghiacci per almeno una parte dell’anno, si tratta di scenari non immediati e non scontati e vi sono altri elementi su cui vale la pena soffermarsi. Non va infatti dimenticato che l‘Artico è considerato la nuova frontiera geopolitica con il suo tesoro custodito di quasi un quarto delle risorse naturali fossili del pianeta non ancora sfruttate (vi si trovano il 13% delle risorse mondiali di petrolio non ancora scoperte e il 30% delle riserve di gas naturale oltre a altre commodities come carbone, rame, tungsteno, zinco, argento, oro, nickel, manganese, cromo e titanio).
Con i tipici toni ecumenici della diplomazia cinese, nel “Libro Bianco” Pechino si impegna a prender parte agli affari artici nel rispetto dei principi “del rispetto, della cooperazione, del mutuo profitto e della sostenibilità”, sulla base di una concezione di “governance cooperativa”, ma allo stesso tempo afferma il proprio diritto a fare la propria parte nell’Artico, compresa la possibilità di operare nei suoi mari profondi secondo i trattati internazionali vigenti e regole condivise, puntando allo sviluppo di idrocarburi e risorse minerarie, pesca e turismo.
Un messaggio assertivamente amichevole rivolto a tutti, ma in particolar modo alla Russia, per la quale la regione ha un primario interesse strategico. Da un lato, infatti, la Russia è in cerca di alleati alternativi a Europa e Stati Uniti per trovare sbocchi per la propria industria energetica, progetto su cui si basa una partnership energetica russo-cinese sempre più stretta, proprio per compensare la cortina di sanzioni americane ed europee che dal 2014 - anno di inizio della crisi ucraina - non ha fatto che addensarsi. Dall’altro, considerando le proprie infinite coste artiche territorio sempre più strategico, proprio in vista della battaglia per la conquista di risorse che considera sue - Polo Nord compreso – Mosca non vedrebbe certamente di buon occhio il moltiplicarsi di infrastrutture cinesi nella regione artica.
E l’ Europa del Sud? L’Artico toglierà traffico al Mediterraneo?
Le possibilità per l’Italia di diventare il grande “hub centrale” della infrastruttura geo-commerciale di Pechino rischiano davvero di infrangersi nelle incognite e nelle conseguenze che i cambiamenti climatici stanno apportando alla geografia mondiale? Il costo dello scioglimento dei ghiacci dovranno pagarlo i porti del Mediteranno, e in particolare quelli italiani, che si vedranno scippare il traffico merci dalla Cina da quelli del Nord?
Ovviamente non si può certo pensare a una rotta da subito alternativa, vista la stagionalità e la tipologia di navi deputate a navigare fra i ghiacci. In secondo luogo, come accennato prima, le navi cinesi dovrebbero solcare per un lungo tratto le acque a ridosso della costa russa, e nonostante il Cremlino sia ampiamente coinvolto nello sviluppo della BRI, non vede di buon occhio le aspirazioni imperiali del Dragone. Per queste ragioni, la via della seta polare potrebbe diventare una rotta alternativa, ma non la principale nella cornice della Bri. La Cina ha già investito parecchio sulla rotta mediterranea e non avrebbe alcun interesse a vanificare gli sforzi fin qui compiuti: gli interscambi cinesi con i 60 Paesi coinvolti dalla nuova Via della Seta nel 2017 hanno raggiunto i 780 miliardi di dollari, e in quegli stessi paesi la Cina ha già investito 50 miliardi in nuove opere, tramite cui verranno creati 180.000 posti di lavoro.
Non va dimenticato inoltre che con il raddoppio del Canale di Suez, il Mediterraneo ha acquisito nuova centralità. La Cina ha già investito nell’acquisto del Pireo ed è alla ricerca di un canale di accesso per connettere velocemente le merci con il resto d’Europa. Il governo italiano ha suggerito ai cinesi, cha hanno mostrato interesse, diverse opzioni di utilizzo dei propri porti, sia sul Tirreno, con Genova, che sull’Adriatico, con Trieste e Venezia. Come ha sostenuto l’Ambasciatore italiano in Cina, Ettore Sequi (clicca qui per leggere la nostra intervista), “i porti italiani non sono alternativi ma complementari al Pireo, sia perché sono immediatamente disponibili ed estremamente ben collegati, con procedure di sdoganamento tra le più veloci in Europa, mentre dal Pireo occorre ancora costruire adeguati e onerosi collegamenti ferroviari attraverso i Balcani; sia perché è difficile far transitare solo attraverso un porto l’assai ingente numero di container che dall’Asia giungono nel Mediterraneo”. Tuttavia, prosegue ammonendo: “l’interesse della Cina è forte e concreto ma la Via della Seta andrà avanti con o senza di noi“.
Per questo dobbiamo essere in grado di guardare a lungo termine e non lasciarci sfuggire anche questa occasione, trasformando i nostri porti, ingessati dalla burocrazia e poveri di infrastrutture, in piattaforme logistiche, così da indurre i cinesi a radicare qui i loro interessi commerciali. Se l’Italia giocherà bene le sue carte risulterà ancora un’area strategica per il commercio cinese, anche alla luce della “via polare”. Chi si attrezza meglio vince la sfida, non ci sono grandi alternative.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it
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