A Santiago del Cile l’8 marzo 2018, undici paesi affacciati sulle acque dell’Oceano Pacifico hanno firmato il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans Pacific Partnership (Cptpp), cioè il rinnovato patto di libero scambio economico nella suddetta area. Gli Stati Uniti erano i grandi assenti, a seguito della decisione dello scorso anno con cui Donald Trump si è chiamato fuori dall’accordo. Gli stati firmatari sono: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.

Il ministro degli Esteri cileno, Heraldo Munoz, ha affermato che la ratifica dell’accordo rappresenta “un segnale forte contro le pressioni protezioniste e a favore di un mondo aperto al commercio”. “Il commercio internazionale è vivo e vegeto, contrariamente a quanto ritengono alcuni”, ha proseguito Munoz.

Nonostante la rinuncia alla firma degli Stati Uniti, l’accordo copre un mercato di quasi 500 milioni di persone e rappresenta il 13,5% dell’economia mondiale.

Le trattative per promuovere un accordo, il Trans Pacific Partnership (TPP), erano iniziate su impulso statunitense, sotto la presidenza di Barack Obama. Il patto era stato siglato da 12 paesi nel febbraio 2016 dopo anni di negoziati, ma Donald Trump ne ha annunciato la rinuncia, compromettendo l’accordo che doveva rappresentare il 40% del Pil globale e quasi il 25% del commercio internazionale. La decisione dell’attuale presidente degli Stati Uniti ben si inquadra nella sua attitudine nazionalista e protezionista in economia, che tra le altre cose, ha visto in questi ultimi giorni l’approvazione dei dazi doganali su acciaio, al 25%, e alluminio, al 10%.

L’accordo prevede la rimozione di barriere doganali e non tariffarie e l’attuazione di norme comuni che valgano in tutti e gli undici paesi e per diversi settori di attività. Una volta firmato, l’accordo entrerà in vigore 60 giorni dopo la ratifica da parte di almeno sei degli 11 paesi.

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