Nonostante Angela Merkel si sia più volte esposta a favore di un allargamento degli accordi di libero scambio, il modello economico tedesco sta creando dei pericolosi squilibri in materia di commercio internazionale rischiando di frenare la crescita degli scambi a livello globale.
Il presidente Donald Trump ha preso posizione sul Trans-Pacific Partnership e chiesto la rinegoziazione del North American Free-Trade Agreement. Sta inoltre valutando se imporre dazi all’importazione di acciaio in America: una mossa che quasi certamente provocherebbe ritorsioni internazionali.
La minaccia di una guerra commerciale è ormai una costante legata alla presidenza Trump. Al contrario, Angela Merkel, anche nel suo quarto mandato, continua a battersi per il libero scambio.
Con un attacco, velato ma non troppo, al presidente USA, la cancelliera ha pronunciato un discorso il 29 giugno, condannando le politiche protezionistiche e dell’isolamento. Un imminente accordo di libero scambio tra il Giappone e l’Unione Europea aggiungerà concretezza alla retorica politica.
Non c’è dubbio che la Merkel abbia il sostegno del mondo economico-finanziario internazionale dato che la dottrina trumpista, secondo cui il commercio deve essere equilibrato per essere equo, è economicamente incomprensibile. La convinzione che i dazi doganali uniformerebbero il potere dei partecipanti al mercato non ha riscontri dottrinali, anzi gli esperti avvertono che ridurrebbero la prosperità di tutti.
Bisogna comunque ammettere che il presidente Trump, criticando il modello tedesco, abbia portato alla luce l’ingente surplus commerciale che si è attestato a quasi 300 miliardi di dollari l’anno scorso, il più grande del mondo (quello cinese era pari a “soli” 200 miliardi di dollari).
Da un simile dato è possibile evincere che la Germania risparmia troppo e spende troppo poco, pur non trattandosi del risultato di una politica governativa mercantilista, come alcuni lamentano.
Né, come spesso gli alti funzionari tedeschi affermano, riflette l’urgente necessità di risparmiare di più per sostenere l’invecchiamento della popolazione. Il tasso di risparmio delle famiglie è stato costante per anni e quindi l’aumento del risparmio nazionale è il derivato delle scelte economiche delle imprese e del governo.
Alla base di simili politiche risiede un risalente accordo tra le imprese e i sindacati a favore della restrizione salariale per mantenere competitive le industrie nell’esportazione. Tale moderazione degli stipendi ha sostenuto l’economia trainata dall’export dal dopoguerra in poi. È stata difatti la formula che ha permesso al Paese più povero d’Europa di divenirne il più ricco.
L’armonia tra imprese e lavoratori è stata una delle principali ragioni che hanno condotto rapidamente a risultati economici sorprendenti: le aziende tedesche possono investire liberamente senza la preoccupazione che i sindacati facciano rimostranze. Lo Stato ha giocato la sua parte sponsorizzando un sistema di formazione professionale che genera manodopera altamente specializzata e professionale.
In Italia, al contrario, le prospettive per i non laureati sono gradualmente peggiorate negli anni insieme alla riduzione dei posti di lavoro nel manifatturiero, trend che il nazionalismo economico sostenuto da Trump vorrebbe invertire.
Ma il modello tedesco ha lasciato l’economia e il commercio globale pericolosamente sbilanciato a tal punto che le restrizioni salariali condizionano la spesa nazionale e vanno a detrimento delle importazioni. La spesa dei consumatori è scesa al 54% del PIL, contro il 69% in America e il 65% in Gran Bretagna, e gli esportatori tendono a non investire i loro guadagni nel mercato domestico.
Ma la Germania non è un caso isolato. Anche Svezia, Svizzera, Danimarca e Paesi Bassi hanno accumulato grandi eccedenze. Un’economia di grandi dimensioni con occupazione quasi totale pone un peso incredibile sul sistema commerciale globale. Per compensare tali eccedenze e sostenere abbastanza la domanda aggregata per mantenere l’occupazione, il resto del mondo deve indebitarsi e spendere, con risultati talvolta insufficienti.
In alcuni paesi, in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna, i deficit persistenti hanno portato alla crisi. La stagnazione del risparmio nell’Europa settentrionale ha reso gli sforzi degli Stati del sud inutilmente dolorosi.
Probabilmente l’eccedenza commerciale teutonica sarà erosa come in Cina da un aumento dei salari dato che la disoccupazione è inferiore al 4% e la popolazione in età lavorativa ha iniziato a contrarsi, nonostante la forte immigrazione. Inoltre, dopo decenni di cali, il costo degli immobili è ora in aumento, il che comporta maggiori esigenze economiche degli stipendiati e non a caso oggi le istituzioni sostenitrici della restrizione salariale stanno perdendo consensi.
La Germania avrebbe molti validi impieghi per le sue risorse (dalle infrastrutture alla digitalizzazione) e sono numerose le aree che necessiterebbero di interventi consistenti non eseguibili a causa della stretta agli investimenti pubblici ordinata per soddisfare gli obbiettivi fiscali autoimposti. Da sostenitori del libero mercato i tedeschi ne sono paradossalmente diventati la principale minaccia.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Giuseppe Bellavia, partner RBM Studio Legale Associato, redazione@exportiamo.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA