“L’economia cinese non chiuderà le porte al mondo”. È questo il messaggio del Presidente Xi Jinping al 19° Congresso nazionale del PCC ma il dubbio rimane: fino a che punto questa retorica si tradurrà in azioni concrete?
Martedì 24 ottobre si è concluso il 19° Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC) che ha stabilito i nuovi vertici del partito comunista e ha dettato le linee guida per il prossimo quinquennio.
La più grande novità è stata la decisione di incorporare il nome e il pensiero del Presidente Xi Jinping nello statuto del Paese, ponendolo così alla pari di Mao Zedong.
Oltre alla composizione del comitato permanente del politburo in cui non compare un rappresentante della sesta generazione (e quindi un potenziale successore di Xi), gli osservatori internazionali hanno rivolto particolare attenzione alla posizione espressa dalla Cina in merito al ruolo dello stato nella distribuzione delle risorse ed alla riforma delle imprese statali (SOEs), che di frequente acquisiscono imprese estere e minano la competizione domestica a discapito delle imprese private.
Dal discorso inaugurale del Presidente Xi Jinping, pronunciato di fronte ai circa 2.280 delegati, sono emersi però messaggi postivi per le imprese straniere proiettate verso il mercato cinese.
Xi ha infatti riconosciuto l’importanza di fare progressi verso la concessione di un trattamento equo alle imprese straniere che spesso sono state vittime di un sistema normativo ostile.
Questa apertura consiste in un ampliamento dei settori a cui le imprese straniere possono accedere, mantenendo tuttavia l’obbligo di formare joint venture con aziende locali nei settori più avanzati come descritto nella versione 2017 del “Catalogue for the Guidance of Foreign Investment”.
A questa concessione, si aggiunge l’intenzione di liberalizzare il tasso d’interesse e di scambio e di promuovere il commercio internazionale attraverso la realizzazione di trattati commerciali (come la Regional Comprehensive Economic Partnership tornata in auge in seguito al congelamento del TPP) e l’ambiziosa iniziativa della Belt&Road che consiste nella creazione di diversi corridoi commerciali - via mare e terra - volti a promuovere l’integrazione economica e commerciale nella regione euroasiatica.
Tuttavia (almeno finora) la realtà è ben diversa in termini di accesso al mercato cinese ed è evidente la “discriminazione” nei confronti delle imprese private a favore di quelle statali.
La riforma delle imprese statali non ha ancora fatto molti passi avanti, vedendo queste ultime trasformarsi da oligopoli in monopoli. A ciò si aggiunge l’iniziativa che ha permesso investimenti privati nelle imprese statali, asservendo così i capitali privati al controllo diretto del governo.
Questa situazione ha fatto sì che i settori aperti agli investimenti stranieri come quello delle telecomunicazioni, dell’energia elettrica, dell’aviazione civile e del turismo, siano ancora penalizzati dal pesante carico fiscale imposto per accedere al mercato e alla spietata concorrenza delle imprese statali.
Le imprese private, nonostante rappresentino una forza trainante nella crescita economica del Paese (4/5 della crescita economica), sono inoltre ostacolate dai limitati prestiti bancari destinati in larga misura alle concorrenti statali.
Lo scenario presentato rispecchia dunque una Cina che a livello retorico si pone come il paladino della globalizzazione e del commercio internazionale, mentre a livello pratico, come uno stato segnato da ostacoli alla competizione e allo sviluppo delle imprese private.
Per questo motivo alcuni analisti ritengono che Xi stia cercando di “far passare” la Cina come un’economia di mercato senza rispettarne i criteri e di voler diffondere un’idea di economia di mercato distorta (o semplicemente con caratteristiche cinesi) volta a promuovere gli interessi nazionali.
Sarà dunque compito della Cina dimostrare il contrario con concrete azioni politiche che trascendano la barriera retorica.
Senza dubbio il “forte senso di responsabilità” che la Cina avverte (o meglio dice di avvertire) nei confronti del commercio internazionale e del cambiamento climatico potrebbe rappresentare un buon inizio.
Fonte: a cura di Exportiamo, Claudio Passalacqua, redazione@exportiamo.it
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