L’ultimo rapporto Sace sul futuro dell’export italiano, “Export Unchained. Dove la crescita attende il Made in Italy”, parla di prospettive piuttosto floride per la crescita delle nostre esportazioni da qui al 2020.

In media l’aumento atteso è del 4% annuo ben maggiore di quello che si è registrato negli ultimi anni, dove l’export Made in Italy ha, si, ottenuto ottime performance, ma è cresciuto solo dell’1,7%.

Le strategie di crescita dovranno focalizzarsi soprattutto in quelle aree geografiche nelle quali si concentreranno le opportunità di sviluppo della competitività italiana e dove sono più alte le chance di conquistare nuove quote di mercato.

Si tratta di Paesi quali Arabia Saudita, Brasile, Cina, Emirati Arabi, India, Indonesia, Kenya, Messico, Perù, Qatar, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti, Sudafrica e Vietnam.

Qui l’export italiano vale attualmente 85 miliardi di euro (oltre il 20% del totale) e varrà nel 2020 ben 100 miliardi di euro. Dopo i Paesi europei ad alto reddito questo rappresenta il principale aggregato economico per le esportazioni italiane.

L’esistenza di concrete opportunità di crescita in questi Paesi è testimoniato dal fatto che qui entro il 2020, le esportazioni mondiali cresceranno al ritmo del 5,7% annuo.

Uno dei settori strategici su cui varrebbe la pena puntare per aumentare la penetrazione di queste aree è certamente quello dei servizi.

Secondo SACE, infatti, l’export di servizi crescerà ancor più di quello dei beni materiali: ben il 4,3% annuo.

Cosa si intende con export dei servizi?

Questa definizione è una sorta di ombrello che raggruppa diverse tipologie di offerta come ad esempio:

- un pranzo al ristorante pagato da un turista straniero;
- un corso di lingua (in patria o all’estero) ad uno studente internazionale;
- servizi finanziari e professionali a consumatori oltreconfine (assicurazioni e servizi legali);
- servizi informatici e digitali (e-commerce compreso).

In particolare le vendite online stanno conquistando una posizione sempre più strategica sia in termini di valore delle vendite che in termini più “immateriali”.

I servizi, infatti, sono utilizzati anche come input nella produzione di beni materiali (es. trasporti e telecomunicazioni) o sono inclusi nella vendita del bene all’estero (es. la necessaria consulenza o assistenza post vendita nel caso di un macchinario esportato).

Secondo una stima, i servizi intermedi incidono per il 30% sul valore aggiunto delle merci esportate anche se non esistono statistiche ufficiali sul commercio internazionale di servizi che possano essere ritenute esaustive e precise.

Quello che è possibile affermare con certezza è che l’export dei servizi è stata la componente più dinamica del commercio internazionale negli ultimi anni. Il suo peso in valore sul totale delle esportazioni globali è passato dal 20% del 2005 al 23% del 2015.

Il punto di forza dei servizi è che essi sono meno sensibili al mutare dei cicli economici rispetto ai beni materiali.

Al momento l’Italia occupa la quindicesima posizione nella classifica mondiale dei Paesi esportatori di servizi: il Belpaese esporta il 2,1% dei servizi a livello mondiale per un valore di 99 miliardi di dollari, più della metà dei quali diretti verso l’Unione Europea.

I servizi rappresentano il 18% del totale delle esportazioni italiane, a fronte di una media mondiale del 23%. Pur costituendo solo un quinto degli scambi totali, i servizi contribuiscono per oltre il 70% al PIL mondiale.

Come avviene per le merci anche i servizi sono soggetti a restrizioni da parte delle normative dei singoli Paesi. Questo perché la loro erogazione e fruizione è fondamentale per la presenza delle aziende all’estero. Limitando l’export dei servizi si proteggono, quindi, le imprese nazionali (non solo quelle produttrici di merci, ma anche quelle che erogano servizi e che potrebbero risentire negativamente della concorrenza di imprese estere).

L’e-commerce

Se è vero che l’e-commerce riguarda soprattutto la vendita a distanza di prodotti fisici, è anche vero che la componente dei servizi indispensabili a questo tipo di attività (primo fra tutte l’assistenza post vendita online) è piuttosto elevata.

Dall’altra parte internet permette ad aziende che non sono dotate delle risorse necessarie per approdare fisicamente in un mercato internazionale, di far conoscere ugualmente la propria offerta.

Secondo Alessandro Terzulli, chief economist di Sace: “L’Italia sta investendo molto nelle piattaforme e-commerce per far sbarcare le proprie aziende medio-piccole su mercati che per loro sarebbero altrimenti irraggiungibili, per esempio la Cina. Prova ne è l’accordo con Alibaba per creare sul portale una sezione Italia, che faccia da vetrina di sistema e da volano per l’export”.

In un’economia che si sta sempre più dematerializzando sembra indispensabile colmare il più velocemente possibile il gap con le economie mondiali in cui l’e-commerce è più sviluppato.

L’hospitality

Anche chi decide di restare in Italia potrà comunque beneficiare del boom del settore dei servizi atteso per i prossimi anni.

Come detto, infatti, esportare servizi vuol dire anche fornire ospitalità ai turisti stranieri: in questo ambito l’Italia è il quinto Paese al mondo per afflusso di visitatori stranieri e ben il 40% del valore dei servizi esportati dall’Italia derivano proprio dal comparto turistico.

L’hospitality, quindi, rappresenta una importante opportunità di investimento da tenere sotto costante osservazione.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it

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