L’economia italiana, anche se a piccoli passi, sembra aver imboccato il sentiero della ripresa economica e l’export è senza dubbio uno dei comparti che stanno trainando il rilancio del Belpaese, come evidenziato nel XXXI Rapporto ICE-Agenzia e nell’Annuario 2017 Istat-ICE, recentemente presentati a Milano. Tuttavia, per rimanere competitivi ed aumentare la diffusione del brand Made in Italy nel mondo, è necessario affrontare (e vincere) alcune sfide chiave già nel prossimo futuro.

Anche Bankitalia, dopo il FMI, ha recentemente aumentato le stime di crescita per il PIL italiano che – sfruttando il positivo aumento dei consumi e la rinnovata fiducia della classe imprenditoriale – dovrebbe crescere dell’1,4 per cento nel 2017 anziché dello 0,9% come inizialmente previsto.

Ma a cosa è dovuta questa revisione al rialzo della nostra crescita economica? Va detto in primo luogo che l’economia mondiale sta mostrando, a livello generale, segni di rinnovata vitalità (non completamente attesi) e l’Italia, nel suo piccolo, sta riuscendo ad approfittare della congiuntura internazionale.

Da un lato è quasi fisiologico che dopo una recessione lunghissima la Penisola compia finalmente qualche passo (a dire il vero ancora piuttosto timido) verso il sentiero della ripresa ma d’altra parte va detto che fin troppe volte ci siamo dimostrati incapaci di sfruttare i positivi trend economici globali.

Per questa ragione le previsioni di Bankitalia e FMI vanno salutate con favore ma senza lasciarsi travolgere da facili entusiasmi perché Roma continua a scontare, ogni anno, un conto salatissimo legato ad alcune problematiche ataviche che frenano – ormai in modo strutturale – le performance economiche italiane (elevato debito pubblico, basso tasso d’occupazione ed elevato livello di tassazione, ecc.).

D’altro canto però le riforme, anche se parziali e discutibili, messe in campo nel corso di questa travagliata legislatura – che ha già visto avvicendarsi tre diversi Presidenti del Consiglio alla guida dell’esecutivo italiano – hanno probabilmente avuto qualche effetto benefico sulla nostra economia.

Il ruolo dell’export

Tuttavia ancora non si è menzionata una delle componenti che sta spingendo maggiormente il PIL italiano ovvero l’export che, come hanno confermato i recenti dati sul commercio estero diffusi dall’Istat, sta continuando a regalare soddisfazioni al sistema produttivo della Penisola.

Di questa accelerazione ha parlato con soddisfazione il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che in occasione della presentazione del XXXI Rapporto ICE Agenzia e dell’Annuario 2017 Istat-ICE ha colto la palla al balzo per evidenziare “il dato clamorosamente positivo del nostro export nei primi mesi del 2017, senza scordare che nel 2016 – a fronte di un rallentamento globale degli scambi internazionali (-2,2%) – il dato del Belpaese è risultato in controtendenza (+1,2%)”.

L’Italia, effettivamente, pur rappresentando il nono Paese esportatore a livello mondiale (471 miliardi nel 2016) è riuscito ad aumentare le sue vendite all’estero a differenza della stragrande maggioranza dei 10 maggiori esportatori globali: 6/10 sono rimasti stabili, Francia, Hong Kong e (appunto) Italia sono cresciuti mentre la Corea del Sud è stata l’unica ad arretrare (-2%).

Oggi, comunque, i 471 miliardi di export tricolore rappresentano poco più del 30 percento del PIL e secondo Calenda “lo spazio per crescere è ancora amplissimo e l’obiettivo deve rimanere quello di migliorarsi ancora cercando di portare il rapporto export/PIL più vicino al 48% della Germania”.

Fra i Paesi che stanno facendo da traino a questo boom dell’export tricolore ci sono certamente quelli dell’area nordamericana – con gli USA in grande evidenza – e quelli dell’Europa occidentale con l’ottimo andamento, spesso poco pubblicizzato, della Spagna. Infine in Medio Oriente si sono registrate performance positive in Iran, Turchia e Kuwait.

Molto meno entusiasmante l’interscambio con Cina e Russia, due mercati con i quali Roma deve assolutamente tornare ad intensificare le relazioni commerciali, e con i Paesi ASEAN – mercati con enormi potenzialità in cui il tasso di penetrazione del Made in Italy rimane però assai insoddisfacente.

Un altro dato di cui l’esecutivo sembra non può essere soddisfatto riguarda il numero di aziende esportatrici (circa 215.000) che è incrementato troppo lievemente rispetto alle previsioni: nel 2016 sono state infatti solo 10mila (+0,3%) le nuove aziende esportatrici italiane.

Secondo Calenda: “Le imprese italiane devono avere più coraggio perché l’internazionalizzazione è un processo che comporta molti vantaggi come aumento della produttività, della redditività e delle sostenibilità aziendale”.

Un altro campanello d’allarme proviene dai tre settori in cui l’Italia mantiene le quote di mercato più elevate nel mondo – articoli in pelle (10,1%), macchinari ed apparecchiature (6,4%), abbigliamento (4,9%) – settori in cui non bisogna assolutamente arretrare.

Per farlo è necessario aggredire il mercato e-commerce, che oggi vale 1900 miliardi di euro e di cui il Belpaese rappresenta appena l’1% perché al momento l’Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi europei: solo il 10% delle imprese italiane accetta ordini online, contro il 18% della Spagna, il 21% della Francia ed il 27,2% della Germania.

Nel giro di qualche anno diventeranno infatti i millennials la fascia di popolazione più ampia a cui “dover vendere” prodotti e servizi e di conseguenza analisti ed esperti concordano nel prevedere una crescita esponenziale del business online nei prossimi anni.

L’Italia deve farsi trovare pronta intercettando le tendenze ed i cambiamenti in atto subito senza ridursi, come spesso accade, a rincorrere affannosamente i Paesi più innovativi e lungimiranti anche perché possiede l’incredibile vantaggio di poter sfruttare un brand potentissimo, il Made in Italy, apprezzato e riconosciuto in quasi tutto il mondo.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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