Il GATS e le ambiguità nell’interpretazione degli investimenti nel settore dei servizi

Il GATS e le ambiguità nell’interpretazione degli investimenti nel settore dei servizi

04 Luglio 2017 Categoria: Marketing Internazionale

Il General Agreement on Trade in Services (GATS, Accordo Generale sul Commercio di Servizi), adottato a Marrakech nell’aprile 1994, è un trattato internazionale, istitutivo della World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio, WTO) che ha l’obiettivo di liberalizzare progressivamente il settore dei servizi e che dà mandato ai membri della WTO di ripresentarsi al tavolo dei negoziati a scadenza periodica e regolare per espandere i propri impegni relativi al GATS.

Il GATS copre un totale di circa 160 settori di servizi tra cui: istruzione, sanità, turismo telecomunicazioni, assicurazioni, costruzione di strade ed erogazione dell’acqua. Il suo principale obiettivo è duplice: da una parte, aprire al mercato a quei settori che ancora sono chiusi e, dall’altra, rimuovere le barriere alla espansione del commercio in quelli già aperti.

Il GATS contiene inoltre anche regole generali già in vigore dalla fine dell’Uruguay Round. Tra queste ricordiamo la clausola della nazione più favorita (NPF) all’articolo II, gli obblighi di trasparenza (articolo III), alcune discipline sui regolamenti domestici e sugli accordi bilaterali di mutuo riconoscimento. Sono parte integrante del GATS anche alcuni allegati, che definiscono regole specifiche ad alcuni settori quali i trasporti aerei, le telecomunicazioni, i servizi finanziari e le persone fisiche.

La definizione di commercio di servizi evidenziata dal GATS si estende ben oltre la tradizionale nozione di scambio transfrontaliero (cross-border) ed include infatti la circolazione dei consumatori e dei fattori produttivi (capitali e lavoro) oltre alla disciplina dei fornitori di servizi (produttori, commercianti, distributori).

Attualmente il GATS distingue 4 differenti modalità di fornitura del servizio:

1. il servizio è fornito in uno Stato, ma è consumato in un altro: il cosiddetto “commercio transfrontaliero” o cross-border;
2. il servizio viene fornito e consumato nel medesimo Stato, generalmente quello del fornitore: in questo caso si parla di “consumo all’estero”;
3. il servizio è fornito attraverso lo stabilimento fisico del produttore straniero nel territorio nazionale in cui risiede il consumatore: in questo caso si parla di “presenza commerciale”;
4. il servizio è fornito dal cittadino straniero che presta la sua opera nel mercato domestico: in questo caso si parla di “presenza di persone fisiche”.

In questo articolo vogliamo riprendere un’osservazione contenuta nell’Investment Trends Monitor di giugno 2017 elaborato dall’Unctad e che riguarda nello specifico la terza modalità di catalogazione dei servizi. Infatti in quella citata rientrano sia il commercio di servizi che gli investimenti diretti stranieri (FDI) e riguardano entrambi la fornitura transfrontaliera di servizi attraverso una presenza commerciale.

E’ molto importante ragionare sulla connessione esistente tra commercio e investimenti nel settore dei servizi. Basti pensare che 2/3 degli investimenti che vengono effettuati nell’economia dei Paesi appartenenti all’ONU avviene in questo settore e che più della metà degli investimenti viene veicolata attraverso la presenza commerciale locale delle aziende.

Un’analisi dettagliata dei dati soprariportati rivela che le società a partecipazione finanziaria, le sedi direzionali e tutti gli altri uffici che offrono servizi intracomunitari non commerciali, rappresentano una quota molto significativa degli investimenti diretti esteri effettuati dalle grandi aziende. Inoltre, più della metà di tutte le affiliate estere del settore primario e delle multinazionali produttive (MNE) sono etichettate come “società di servizi”.

Le sedi direzionali di queste società (società a partecipazione finanziaria, le sedi direzionali e tutti gli altri uffici che offrono servizi intracomunitari non commerciali) - presenti su territorio straniero per offrire servizi interni alle sedi centrali - non effettuano scambi commerciali a terzi nei Paesi ospitanti e non sono specificatamente affrontate nel GATS (o in altri strumenti basati sui metodi di fornitura previsti dal GATS per definire la loro portata).

Pertanto, uno sguardo più attento ai dati presenti all’interno di quello che viene etichettato come investimento diretto estero (FDI) e alle categorie di servizi commerciali classificati nella terza modalità del GATS, è fondamentale per portare avanti un dibattito informato su ciò che è veramente coperto da questa regolamentazione.

Alla luce di questa premessa, se ne deduce che le statistiche per i servizi facenti parte della terza modalità e gli investimenti diretti esteri utilizzati comunemente nelle discussioni politiche, forniscono una “cifra meno attendibile” rispetto alla dimensione reale del settore terziario nel commercio e negli investimenti transfrontalieri.

Secondo l’interpretazione del GATS, la terza modalità di fornitura di servizi dovrebbe riguardare principalmente il settore terziario, dunque: banche, catene di hotel, compagne di costruzioni, ecc. - tutte tipologie di business che servono clienti e mercati locali attraverso la loro base commerciale.

In realtà, la maggior parte degli investimenti diretti esteri messi in atto nel settore dei servizi riguardano invece servizi “intra-firm” (intra-aziendali) del settore primario e della manifattura.

Il GATS non fa in nessun modo riferimento a servizi “intra-firm” nel settore primario o manifatturiero, anche se questi ultimi rappresentano una gigantesca quota degli investimenti FDI complessivi. Basti pensare che più di 15.000 affiliate estere di grandi aziende del settore primario e manifatturiero sono categorizzate come società di servizi. Circa il 40% di queste aziende fanno parte del settore retail o della vendita all’ingrosso ed il 40% delle basi commerciali estere delle aziende multinazionali sono uffici amministrativi, finanziari o di altro supporto funzionale sempre operanti nel settore manifatturiero.

Sono pochissime, in proporzione, le basi estere di società realmente operanti in R&D, comunicazione o settore IT.

L’edizione di giugno 2017 dell’Investment Trade Monitor redatto da UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), vuole far riflettere proprio su questa ambiguità, senza pretendere di ri-categorizzare le tipologie di investimento o ripensare le basi del commercio internazionale, ma esorta gli operatori politici, istituzionali ed aziendali del settore a tener conto di questi dati al fine di elevare il dibattito e strutturare il confronto su numeri il più possibile verosimili.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Riccardo Ciabattoni, redazione@exportiamo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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