L’origine del concetto di brand positioning viene fatta risalire al 1972, quando Al Ries e Jack Trout, considerati i maggiori esperti di strategie di marketing al mondo, pubblicarono su “Advertising Age” una serie di articoli in tre parti, chiamata “The Positioning Era”.
Di li a pochi anni (nel 1981) i due pubblicarono (per poi aggiornarlo a fine 2016) “Positioning. The battle for your mind”, ritenuta la “Bibbia del posizionamento”, frutto di anni di studio, conferenze ed affinamento della teoria.
Già il titolo del libro definisce in maniera chiara il pensiero degli autori: in una società ipercomunicativa come l’attuale un brand, un prodotto o un servizio devono combattere per trovare il loro posta nella mente dei consumatori.
Per un brand affermarsi in un panorama pubblicitario sovraffollato (gli investimenti pubblicitari nel 2016 sono ammontati a 8.221 milioni di euro per un “consumo pro-capite” di 137 euro di pubblicità per ogni cittadino italiano) è possibile soltanto semplificando al massimo il proprio messaggio, segmentando il mercato di riferimento, ponendosi degli obiettivi precisi e ben delimitati: in poche parole essendo selettivi.
La risposta all’ipercomunicazione è il “messaggio ultrasemplificato”, come lo definiscono Ries e Trout, che nella sua estremizzazione teorica equivale a possedere una parola nella mente del consumatore: Volvo possiede “sicurezza”, BMW possiede “guidabilità”, FedEx, il corriere espresso, possiede “in una notte”.
La logica conseguenza di tutto ciò è che il posizionamento non deve creare qualcosa di nuovo nella mente dei consumatori ma manipolare le connessioni già “archiviate” in essa per dare origine a nuove relazioni. La mente umana, infatti, al pari di un dispositivo di archiviazione ha una capacità di memorizzazione limitata per cui non può accumulare tutte le comunicazioni (di qualsiasi natura) da cui ogni giorno viene bombardato.
Ma la domanda fondamentale è: come fare a posizionare un brand nella mente dei consumatori?
Posizionare un brand è possibile applicando diverse strategie che hanno lo scopo di creare nella mente dei consumatori un’impressione unica che lo porti ad associare al brand qualcosa di specifico e desiderabile, di distintivo rispetto al resto del mercato.
Tuttavia per quante energie, aziende e marketers possano profondere in strategie di brand positioning e in adeguate azioni di marketing e comunicazione, per dare impulso ad una specifica percezione del brand da parte dei consumatori, questi ultimi restano i protagonisti principali ed indiscussi del brand positioning.
Sono loro, infatti, attraverso le esperienze che vivono quando si relazionano con il brand a determinarne il posizionamento in funzione delle proprie aspettative. Il posizionamento, dunque, non è un atteggiamento proattivo della marca, ma di sicuro, una strategia intelligente può essere determinante nell’influenzare i consumatori.
In sintesi, alla base del posizionamento c’è una domanda che l’azienda deve porsi: cosa rende il mio brand unico e differente dalla concorrenza? Riuscire a trovare una risposta “ipersemplificata” e, magari, racchiusa in una sola parola, può fare davvero la differenza tra un’azienda di successo ed un’azienda “comune”.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it
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