La Georgia è un piccolo Paese che non arriva a contare 5 milioni di abitanti che si estende su una superficie pari a quella della Lettonia e che dunque, almeno all’apparenza, non dovrebbe giocare un ruolo di rilievo sullo scacchiere internazionale.

In realtà però la posizione del Paese - affacciato sul Mar Nero e confinante con Turchia, Azerbaigian e Russia - lo rende di fatto un nodo strategico per le relazioni euroasiatiche.

La Georgia in effetti non è solamente un Paese ben posizionato ma è anche terreno fertile per chi vuole fare affari e ciò è dimostrato dal ranking stilato dalla Banca Mondiale che lo classifica al sesto posto fra gli Stati in cui è più facile sviluppare un business a livello globale.

Niente male per un Paese che ad inizio 2014 ha dovuto affrontare una situazione assai complicata in seguito al drastico abbassamento del prezzo del petrolio e (più in generale) delle materie prime che ha comportato un drastico abbassamento dell’export verso UE e Russia.

Rispetto a qualche anno fa le performance economiche nazionali si sono ridimensionate ma rimangono ampiamente positive con un PIL che negli ultimi tre anni è cresciuto, in media, del 3,6%.

E le previsioni per l’anno in corso sono benauguranti con un incremento della ricchezza previsto fra il 4 ed il 5 percento.

Il merito della resilienza del Paese dinanzi a shock esterni che avrebbero potuto precipitarlo in una situazione di profonda crisi è da attribuirsi anche alle riforme implementate dalle istituzioni locali che si sono indirizzate e si indirizzano verso l’obiettivo di rendere il Paese sempre più competitivo ed attrattivo per gli investitori internazionali.

In questa dinamica rientra, ad esempio, l’entrata in vigore dell’accordo di Tbilisi con l’UE (DCFTA) che è diventata, complice il raffreddamento dei rapporti con Mosca, sempre più un punto di riferimento commerciale (25% degli scambi totali) e culturale a tal punto che in molte scuole vi è la possibilità di studiare diverse lingue comunitarie come italiano, spagnolo, francese e tedesco.

I rapporti con l’Italia

Italia e Georgia coltivano ottimi rapporti commerciali ed il nostro export a Tbilisi e dintorni - che nel 2016 si aggira intorno ai 230 milioni di euro annui (in forte crescita rispetto al 2015) - si dirama in moltissimi settori dall’abbigliamento alla cosmetica, dai macchinari all’arredo.

Fra i settori d’investimento più interessanti menzioniamo: edilizia, hospitality, ristorazione, energia, trasporti e logistica.

In particolare segnaliamo che il turismo è un settore in forte espansione e per questo si profilano importanti opportunità per le aziende italiane che vendono impianti d’illuminazione, infissi, arredo, mobilio, ecc.

Inoltre si evidenzia un discreto interesse nei confronti dei macchinari e delle apparecchiature Made in Italy specialmente per operatori del comparto agricolo e manifatturiero.

Pro e contro

Esistono una serie di fattori che incentivano gli investimenti in Georgia fra cui:

- Basso livello di imposizione fiscale (tassazione del reddito delle società pari al 15%) ed inoltre, dal 1 gennaio 2017, tutte le imprese che reinvestono i ricavi nel Paese godono di un’esenzione totale dall’imposta sul reddito;

- Opportunità di strutturare investimenti o progetti di respiro regionale con un mercato potenziale costituito da circa 16 milioni di abitanti;

- Basso livello di corruzione;

Fra i contro invece si segnalano l’eccessiva dipendenza da economie più ampie e l’elevata “dollarizzazione dell’economia”.

Ciò comporta gravi difficoltà ad imprese e persone che contraggono debiti in questa valuta nel momento in cui l’economia rallenta e la valuta locale (il lari) perde valore rispetto al dollaro, rendendo di fatto molto complicato restituire i prestiti.

Infine è bene valutare con attenzione anche le opportunità provenienti dalle zone franche del Paese che sono suddivise in funzione delle attività obiettivo (fra le più importanti quelle di Tbilisi e Poti) e che offrono incentivi come bassi costi di gestione e facilitazioni a livello logistico alle aziende che intendono utilizzarle.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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