L’Italia esporta a Singapore merci per circa due miliardi di euro l’anno, ma è difficile sapere con precisione quanta ne rimanga sul posto e quanta venga rispedita al resto del mondo.

Quella di Singapore infatti è un’economia basata sul re-export: a dispetto della superficie di appena 719 km2 infatti, il valore assoluto delle esportazioni del microstato è vicino a quello di Messico ed Emirati Arabi, e rappresenta ben il 174% del PIL nazionale. La vocazione commerciale di Singapore è la risposta ingegnosa all’assenza di risorse naturali del Paese, e risulta evidente non solo dal peso del settore vendite all’ingrosso e al dettaglio (13%), ma anche dall’importanza del manifatturiero (19%) e quello dei servizi commerciali e finanziari (30%), entrambe fortemente dipendenti dall’afflusso di merci e capitali esteri.

Per dare una dimensione del fenomeno basta pensare alla mole di IDE (pari al 77% degli investimenti totali nel paese) o alla struttura del tessuto industriale singaporeano, che riposa sostanzialmente sulla trasformazione ed esportazione di componenti elettroniche e sulla raffinazione petrolifera.

Pur esponendo il Paese alla volatilità dell’economia globale, questa strategia ha garantito a Singapore un periodo di crescita quasi ininterrotta dall’indipendenza del 1963, che la porta oggi ad avere indici di sviluppo socioeconomico che le valgono il nomignolo di “Svizzera d’Asia”: il residente medio infatti spende mediamente 18.000$ l’anno in consumi, è quasi certamente bilingue ed ha molto probabilmente completato un ciclo di studi secondario (più di un quinto della popolazione possiede un titolo univeristario).

Se a questo aggiungiamo la posizione strategica, la relativa stabilità politica e la burocrazia efficiente e virtualmente libera dalla corruzione, il ritratto di Singapore è quello di un Paese dal profilo interessante sia per chi intende affacciarsi sul suo mercato interno che per chi vuole ampliare le proprie operazioni in tutto il sudest asiatico.

Non a caso la città-Stato vanta già una fitta rete di accordi commerciali con una ventina di partner diversi (Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud, paesi ASEAN etc) a cui si somma quello con l’Unione Europea firmato nell’ottobre 2014.

Lavori in corso

L’EUSFTA è attualmente in attesa di una pronuncia (non vincolante) da parte della Corte Europea di Giustizia, che stabilirà se per la ratifica basta l’Unione o se, come per il CETA, servirà l’approvazione unanime dei 28 Paesi membri. Data l’ampiezza del trattato, è possibile che l’accordo intervenga su aree di competenza nazionale: la società di consulenza legale White&Case, riprendendo le dichiarazioni dell’AG della Corte Europea, riporta possibilità di conflitti in diversi campi, fra cui trasporti nazionali, appalti, IPR e investimenti di portfolio.

Prevedibile dal momento che, con i suoi 17 capitoli l’EUSFTA cambia le regole in molte materie, che vanno dall’e-commerce alla promozione dell’energia rinnovabile passando per grandi classici come lo scambio di beni e servizi, IPR e protezione degli IDE. Di seguito le novità principali introdotte dal documento dal punto di vista europeo ed italiano.

Cosa introduce l’EUSFTA

Con l’EUSFTA Singapore abolisce immediatamente i dazi su tutti i beni europei, mentre l’UE si è riservata la possibilità di scaglionare in più staging categories l’ingresso di alcune classi sensibili di beni (carni, pescato, tessile ed abbigliamento) in provenienza dal Paese asiatico.

Alla base di quest’asimmetria c’è sicuramente la volontà di evitare squilibri improvvisi sul mercato europeo, specie in vista dell’annullamento dei dazi europei su 1250 tonnellate annue di generi alimentari singaporeani e dell’introduzione delle regole d’origine ASEAN alle esportazioni principali di Singapore, che negli effetti rappresenta un piccolo regalo agli altri Paesi dell’organizzazione.

Ci sono anche diverse disposizioni volte a semplificare il passaggio delle merci alla dogana e fra queste ricordiamo: la promessa dell’adozione di single windows, l’introduzione per alcuni prodotti chiave del concetto di co-equal rules, il mutuo riconoscimento dei conformity assessment che evita ad esempio il duplicative testing per elettronica, meccanica ed automotive. L’UE riconosce inoltre le GMP di Singapore per il farmaceutico, sollevando le esportazioni asiatiche da certificazioni sui processi produttivi.

Per quel che riguarda servizi, investimenti ed appalti pubblici l’EUSFTA giunge ad una liberalizzazione quasi totale dei servizi cross-border escludendo solo audiovisivo, cabotaggio e trasporto aereo. Vista la tradizionale apertura di Singapore agli IDE e la conferma della competenza delle corti arbitrali internazionali preesistenti, sul fronte investimenti gli unici aspetti degni di nota sono i tetti, molto bassi, all’azionariato straniero nelle principali utilities a partecipazione pubblica e gli incentivi importanti sulle rinnovabili.

Singapore si blinda anche sui servizi mode 4 (viene da credere per mancanza di spazio fisico sull’isola) ma si mostra molto più liberale degli europei sull’esercizio di attività professionali sul suo territorio specie negli obblighi orizzontali, ponendo al key personnel e ai professionisti europei limiti seri solo rispetto al riconoscimento delle qualifiche profesionali in una manciata di casi (legale, gestione immobiliare). Per quanto riguarda gli appalti l’accordo estende gli impegni presi nel GPA WTO a ulteriori categorie di beni e servizi e a più entità appaltanti sia al livello centrale che locale.

L’UE ha inoltre prevedibilmente inserito nell’accordo misure a difesa degli IGP, inserendo nell’accordo ben 196 denominazioni e strappando a Singapore (che non ha registrato nessun IGP) l’impegno a costituire un registro delle IGP con la possibilità di futuri aggiornamenti.

Roma incontra Singapore

L’Italia possiede, a Singapore, una quota di mercato pari all’1,1% ed esporta principalmente beni dei comparti meccanica ed elettronica (in primis componentistica), petrolio e prodotti dell’industria chimica. L’alto potere d’acquisto degli abitanti di Singapore è testimoniato dal peso relativo delle esportazioni di beni di consumo di fascia medio-alta, come profumi (2,1% del totale), pelletteria (5,7%) e gioielli (da soli il 4,6%). Tuttavia la diffusione nel Paese dei prodotti alimentari, oltre ad essere contenuta (parliamo del 3% circa) mostra anche una scarsa dinamicità, con crescite nel periodo 2014-2015 inferiori all’1%. Dal punto di vista degli IDE, gli ultimi dati dell’UNCTAD fotografano un impegno reciproco molto limitato sia dal punto di vista dei flussi che degli stock di capitale.

In buona sostanza Singapore costituisce un serbatoio di opportunità che l’Italia non ha ancora sfruttato appieno, vuoi come mercato di destinazione dei propri prodotti e capitali che come punto d’appoggio verso la conquista del sudest asiatico. Ma l’EUSFTA potrebbe cambiare le carte in tavola: con strategie di marketing adeguati l’agroalimentare infatti può approfittare sia dell’abbattimento dei dazi doganali che dell’estesa protezione accordata agli IGP (86 solo quelle italiane); in particolare nel settore vinicolo l’abbassamento dei dazi dovrebbe contribuire all’apertura di un mercato dove le accise sugli alcolici sono tradizionalomente molto pesanti. L’annullamento delle tariffe dovrebbe stimolare anche la domanda di beni di consumo quali abbigliamento ed accessori, fermo restando che a causa della forte competizione dei prodotti asiatici di fascia bassa le possibilità di crescita si concentrano nei comparti del lusso.

La meccanica, dal canto suo, potrebbe ricevere una spinta grazie all’alleggerimento dei costi di certificazione derivanti dall’abolizione del double testing; lo stesso si potrebbe dire in teoria dell’elettronica se solo l’andamento dell’export nazionale verso Singapore non mostrasse segni di stagnazione da cinque anni a questa parte (probabilmente a causa della forte concorrenza con prodotti analoghi provenienti da fabbriche cinesi, malaysiane, coreane ed asiatiche in generale).

Infine sul fronte investimenti l’ambizioso progetto cinese di collegare Kunming (capoluogo di provincia dello Yunnan) con Singapore potrebbe essere l’occasione per le imprese italiane impegnate nel settore edilizio ed infrastrutturale per stabilire rapporti o anche partenariati futuri con gli attori coinvolti nel progetto.

Aggiornamento del 16 Maggio 2017:

La Corte Europea di Giustizia ha rilasciato il 16 Maggio 2017 un comunicato stampa quale ha reso pubblico l’esito della valutazione sulla competenza nel processo di ratifica dell’accordo EU-Singapore. La valutazione era stata richiesta dalla Commissione per accertare le modalità di ratifica dell’accordo firmato il 17 Ottobre 2016, in quanto data l’ampia portata normativa dell’accordo aveva generato il dubbio (fondato) che il testo contenesse disposizioni di competenza esclusivamente nazionale e che quindi necessitasse oltre che del voto positivo del Parlamento Europeo anche dell’approvazione all’unanimità da parte dei singoli Stati Membri.

Le aree di conflitto/sovrapposizione fra competenza nazionale e testo dell’EU-Singapore identificate dalla CEG riguardano gli investimenti di portafoglio e il meccanismo di risoluzione dispute Stato-Investitore. Secondo la CEG infatti, in questi due casi l’entrata in vigore dell’accordo comporterebbe l’alterazione di regole stabilite a livello nazionale; per essere di competenza esclusivamente europea (e quindi per avvalersi del processo di ratifica “semplificato” che investe solo le istituzioni europee) l’accordo dovrebbe essere modificativo solo di regolamenti ed accordi di livello europeo.

Contrariamente alle previsioni fatte da specialisti e commentatori (v. articolo sopra) non vi sono conflitti di rilievo nel campo dell’accesso ai mercati e della concorrenza (inclusa la protezione degli IDE), dello sviluppo sostenibile, degli IPR e della trasparenza/scambio di informazioni fra governi.

Il prossimo passo consisterà nella calendarizzazione da parte degli Stati Membri della ratifica dell’accordo conformemente alle procedure nazionali. Contando le difficoltà incontrate con il CETA (a questo proposito ricordiamo come l’accordo con il Canada sia ancora minacciato dall’accordo belgo-belga) è facile immaginare che non si tratterà di un processo semplice.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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