Il 2016 si è chiuso con un risultato molto buono sul versante dei nostri conto con l’estero: addirittura l’Italia batte la Germania e si piazza al primo posto per tasso di incremento delle esportazioni (+1,8% su base annua contro il +1,0% della Germania).

Stesso risultato anche in termini di crescita dell’avanzo della bilancia commerciale (+9,5 miliardi di euro contro +7,3 del competitor tedesco), che raggiunge la cifra record di 51,6 miliardi di euro.

Le nostre imprese hanno quindi dimostrato ancora una volta una buona e crescente capacità competitiva sui mercati esteri. Anche le pmi si spingono più lontano per vendere i propri prodotti e – per trovare opportunità – si dirigono verso mercati più rischiosi in termini di riscossione dei crediti derivanti dalla vendita dei prodotti.

Questo della rischiosità dei pagamenti è stato un tema al centro di un dibattito organizzato da Il Sole 24 ore in collaborazione con Heuler Hermes, la società leder mondiale nel sistema di informazione e di assicurazione dei crediti.

Guardando a quello che è successo negli ultimi anni, con il forte sviluppo internazionale di imprese anche di minori dimensioni, e quindi meno organizzate per gestire al proprio interno i rischi di pagamento, emerge anche un approccio molto diverso alla problematica: nel passato un’azienda vendeva all’estero e poi si poneva il problema della riscossione.

In altri termini l’aspetto finanziario, creditizio, assicurativo del pagamento era quasi di tipo sequenziale.

Oggi, invece, fin dalla individuazione dell’opportunità di business occorre porsi il problema della riscossione dei crediti derivanti dalla vendita dei prodotti, soprattutto considerato che i dati forniti da Heuler Hermes dimostrano che mentre assistiamo a una riduzione dei tempi di pagamento in Italia, gli stessi tempi aumentano invece per le riscossioni dall’estero.

Da qui la necessità di configurare anche i prodotti assicurativi al riguardo, partendo da una più forte individuazione delle opportunità di mercato, per poi analizzare gli eventuali rischi connessi ai pagamenti.

Sotto alcuni aspetti quindi da un approccio sequenziale alla garanzia sui pagamenti si passa a un approccio molto più integrato, che risponde anche alle esigenze delle imprese, in particolare di quelle di più piccole dimensioni.

E’ un ulteriore segnale di quella che possiamo definire l’internazionalizzazione 3.0.

Infatti mentre la prima forma di internazionalizzazione era quella legata sostanzialmente alla esportazione all’estero, la secondo invece comportava anche in decentramento di produzioni in Paesi a basso costo, l’attuale situazione vede una forte scomposizione e combinazione di fasi produttive in diversi Paesi, in cui azioni di importazione e di esportazione convivono all’interno dello stesso prodotto e vengono a costituire le cosiddette catene globali del valore.

E’ una situazione che verifichiamo direttamente nelle imprese che si rivolgono alle Camere italiane all’estero il cui mestiere principale è di trovare e di consolidare occasioni di business sui mercati internazionali.

La percentuale di imprese che richiedono alle CCIE l’individuazione di controparti estere verificate e affidabili e pari al 66,2%. Ma molto alte sono anche le percentuali di quanti si rivolgono a noi per avere orientamento sui servizi finanziario-assicurativi: dei crediti e pagamenti 51,5% e la consulenza specializzata in materia finanziaria/assicurativa al 52,1%.

Da ciò l’importanza di ragionare in maniera sempre più integrata anche in campo finanziario, elaborando risposte di servizio che partono dalla individuazione del mercato di opportunità e ne declinano tutte le diverse implicazioni.

Fonte: a cura di Gaetano Fausto Esposito – Segretario Generale Assocamerestero, redazione@exportiamo.it
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