Secondo i dati della ricerca “E-commerce Barometer 2016”, il 59% delle aziende hanno dichiarato di trovare difficile vendere online all’estero e le cause addotte hanno principalmente riguardato:

• la regolamentazione del mercato;

• gli aspetti fiscali che lo connaturano;

• la logistica.

Le difficoltà delle imprese di sviluppare un’attività e-commerce cross-border ha l’effetto di impoverire l’offerta e di rendere pertanto difficile avere un mercato europeo digitale davvero unico: il risultato è che solamente il 12% degli acquisti online europei sono stati fatti al di fuori del mercato nazionale.

Quali sono i limiti e quali le aree su cui lavorare per superare questa situazione?

È evidente che il primo tema che deve porsi un progetto e-commerce che intenda espandersi (anche) online sui mercati internazionali è l’analisi della domanda, per comprendere i Paesi in target, e la definizione delle opportune strategie di penetrazione.

In questo senso sono utili strumenti digitali come:

Facebook Audience Insights per osservare l’ampiezza, le caratteristiche demografiche, professionali e soprattutto le evidenze legate al comportamento del target, analizzabile grazie agli elementi presenti in quello sterminato database nel quale il social network aggrega le informazioni che possiede su ciascuno di noi;

Google Trends per valutare la stagionalità delle ricerche, avere suggerimenti dei bisogni che vi sono espressi e osservare la loro distribuzione nei diversi mercati;

Google Market Finder, ancor più puntuale di Google Trends per la rappresentazione del volume delle ricerche nei diversi mercati, tool a cui si devono aggiungere lo stesso Keyword planner di Google Adwords e l’indipendente SEMrush;

Google Consumer Barometer, un notevole repository di dati, statistiche e informazioni legate alle diverse categorie merceologiche nei principali mercati di sbocco di un sito e-commerce.

Successivamente alla definizione dei mercati in target, l’applicazione della strategia “Think global, act local” richiede alle aziende e-commerce che vogliono sviluppare una strategia internazionale di accostare opportunisticamente la presenza nei principali marketplace allo sviluppo del sito proprietario.

Vendere online all’estero: la strategia SEO sul sito proprietario

Da quest’ultimo punto di vista, localizzare un sito richiede la comprensione delle specifiche tecnicalità della indicizzazione su Google nei diversi Paesi – la cosiddetta “SEO internazionale” - fra i cui fattori è opportuno citare:

• l’adattamento del contenuto e del look and feel alle preferenze degli utenti del mercato di riferimento;

• la possibilità di localizzare anche i “prodotti correlati” in sede di navigazione del sito;

• l’utilizzo di Google Search Console, l’organizzazione dei contenuti e delle schede prodotto per lingua così da facilitare, grazie al tag href_lang, l’indicizzazione delle pagine nello specifico indice nazionale di Google;

• la corretta traduzione dei testi per poter soddisfare non solo la qualità richiesta da Google, ma i requisiti stessi di motori di ricerca locali come Yandex e Baidu;

• la localizzazione delle attività di link building e link earning.

A tale attività sul sito proprietario va affiancato, soprattutto con fini tattici e puntuali, l’utilizzo dei marketplace che deve essere pensato in chiave strategica e tattica.

Un utilizzo strategico è basato sulla rilevanza di tali marketplace rispetto al mercato di riferimento: strumenti come Terapeak e Camelcamelcamel sono utili a questo fine per osservare lo storico degli acquisti e la presenza dei competitor su eBay e su Amazon.

Un utilizzo tattico nasce invece dall’osservazione di quanto il sito e-commerce proprietario sia in grado di intercettare autonomamente il target, nei diversi mercati, in virtù della sua presenza su Google.

Google Search Console consente in questo senso di osservare lo stato di indicizzazione del negozio online e permette di individuare le lacune quanto alla presenza su Google per le parole chiave più importanti per il business dell’azienda.

A quel punto la presenza su un marketplace rappresenta un’ottima modalità per farsi trovare dal proprio target integrando l’attività autonoma del proprio sito web: l’uso strategico dei marketplace parte dunque da una corretta analisi SEO del sito proprietario.

Per questo motivo, è rilevante costruire – laddove possibile – schede prodotto pensate per poter essere trovate rispetto alle keyword per le quali il sito proprietario non è ben indicizzato e sfruttare la propria presenza su:

• marketplace generalisti internazionali come Amazon ed Ebay;

• marketplace generalisti nazionali quali Priceminister, Cdiscount, Bol.com e Allegro;

• merchant che offrono anche la possibilità di integrare offerte esterne come Darty e Fnac;

• shopping engine che offrono, in modalità white-label, il loro servizio a siti terzi, es. Mirakl;

• marketplace settoriali internazionali come, per il mondo dell’artigianato, Etsy e Dawanda.

Sviluppare un E-commerce internazionale: le cautele necessarie

Tutte queste strategie di marketing debbono però, soprattutto in sede di sviluppo internazionale, compendiarsi con uno studio ed un’attenta preparazione delle operations del commercio elettronico, centrali in una attività nazionale ed ancor più rilevanti in ottica internazionale.

Le principali aree di attenzione sono in questo caso costituite da:

• la molteplicità delle normative sui diritti dei consumatori esistenti (protenzione dei dati, comunicazioni commerciali necessarie, descrizioni ed etichettatura dei prodotti e del packaging, adempimenti amministrativi, politiche di recesso, …);

• le diverse norme sulla privacy, con particolare cura rispetto alle nuove norme che ne renderanno omogenea la regolamentazione presso i Paesi dell’Unione Europea;

• le normative fiscali, con i risvolti che queste implicano in termini di comunicazione online ai consumatori e di adempimenti da attuare;

• la scelta della logistica, sia in termini di evasione dell’ordine che di gestione dei resi, con le relative valutazioni in termini di outsourcing che possono derivarne (full service provider, spedizioniere internazionale, adozione di modelli di dropshipping, …) considerando che la mancata trasparenza delle condizioni e dei costi delle spedizioni è così rilevante che la Commissione Europea sta introducendo azioni specifiche attraverso una direttiva ad-hoc sulla “Parcel delivery”;

• l’adozione dei metodi di pagamento più comuni nel mercato di riferimento;

• la cura delle attività post-vendita soprattutto in termini di customer care.

Se è evidente che l’export attraverso l’E-commerce è una opportunità che le imprese italiane non possono non cogliere per competere nel contesto di globalizzazione in cui siamo immersi, è però vero che gli sforzi che sono richiesti necessitano di un approccio di sistema: ben vengano pertanto le iniziative che, in termini di accordi e di formazione alle imprese da parte delle associazioni di categoria, stanno creando il terreno giusto per affrontare un orizzonte pieno di sfide, ma anche di opportunità per le aziende italiane.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Andrea Boscaro, redazione@exportiamo.it

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