54 miliardi di euro, praticamente il doppio delle risorse stanziate per la legge di bilancio 2017.

A tanto ammontano le perdite per le produzioni Made in Italy derivanti dalla diffusione del fenomeno dell’Italian Sounding che continua a sottrarre potenziali quote di commercio internazionale ai nostri prodotti di eccellenza.

Questi i numeri monstre dell’indagine condotta da Assocamerestero, l’Associazione che riunisce le 78 Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), soggetti imprenditoriali privati, esteri e di mercato, ad Unioncamere.

L’analisi è stata realizzata nell’ambito del progetto “Valorizzazione e promozione del prodotto agroalimentare italiano autentico”, promosso e finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico e realizzato in collaborazione con le 9 CCIE di Montreal, Toronto, Vancouver, Chicago, Houston, Los Angeles, Miami, New York, Città del Messico.

Ciò che sorprende è l’ormai enorme utilizzo di pratiche ingannevoli per incentivare l’acquisto di prodotti non italiani soprattutto in tre Paesi - Stati Uniti, Canada e Messico - capaci di assorbire circa il 15% dell’intero export dell’industria alimentare italiana e ben 24 dei 54 miliardi di euro che rappresentano il totale delle perdite causate dall’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia.

L’indagine si fa più interessante quando si scende nel dettaglio del fenomeno, con l’obiettivo di raccontarne le caratteristiche ed i trend prevalenti, prendendo in considerazione una serie limitata di prodotti come latticini, pasta, salse, prodotti a base di carne, aceto, olio, prodotti sott’olio e sott’aceto, prodotti da forno e vino.

Quel che salta subito all’occhio è il livello dei prezzi medi che è decisamente inferiore (-30% circa) rispetto a quello a cui vengono commercializzati i prodotti originali, con picchi che arrivano a registrare ribassi fino all’80% dei prezzi.

Emerge poi che i latticini sono il prodotto più interessato dal fenomeno anche a causa della difficoltà di reperimento del prodotto autentico con riduzioni di prezzo (ad esempio in una città come Chicago) che vanno dal -13% della fontina, al -38% del parmesan, al -48% dell’asiago fino al -50% del mascarpone.

Italian Sounding: come contrastarlo?

La contromisura più efficace per tentare di limitare il fenomeno circoscrivendolo a numeri meno sostanziosi riguarda l’implementazione di iniziative di formazione ed informazione che devono coinvolgere i principali operatori del settore fra cui chef, nutrizionisti, addetti alle vendite, stampa specializzata ed influencer.

A tal proposito, negli ultimi mesi, sono stati organizzati dalle CCIE negli Usa e in Canada oltre 35 eventi promozionali come degustazioni guidate, workshop e roadshow.

Anche Gian Domenico Auricchio, Presidente di Assocamerestero, ha parlato del fenomeno: “Il giro d’affari dell’Italian Sounding ci dice che nel mondo esiste una forte domanda di Italia ancora da intercettare. […]Siamo infatti convinti che il danno di immagine arrecato da imitazioni ben lontane dai nostri standard di eccellenza possa essere arginato solo attraverso la diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% Made in Italy e lavorando sulle alleanze che le CCIE sono in grado di stabilire con le comunità d’affari locali”.

In conclusione va però sottolineato un aspetto che viene spesso trascurato da tutti i soggetti che provano ad immaginare soluzioni per limitare la diffusione dell’Italian Sounding: sono in tanti ad essere convinti che combattendo con determinazione il fenomeno si produrrebbe un conseguente e quasi automatico aumento degli introiti in favore delle vere produzioni Made in Italy.

La realtà, tuttavia, potrebbe essere un pochino diversa poiché probabilmente andrebbe considerata con maggiore attenzione la leva del prezzo che è assolutamente fondamentale nelle scelte compiute da alcune categorie di consumatori: siamo proprio sicuri che una maggiore informazione e conoscenza delle eccellenze italiane porterebbe ad un boom negli acquisti di prodotti nostrani all’estero anche se decisamente più costosi rispetto alle imitazioni?

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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