Con 65 milioni di abitanti, un PIL di 2.568 miliardi di euro (6° al mondo) e un reddito pro capite di $41,499 il Regno Unito è attualmente il 4° mercato di destinazione dell’export italiano: lo scorso anno l’interscambio commerciale totale tra i due Paesi è stato di circa 33 miliardi di euro, con ben 22,484 miliardi di euro esportati dall’Italia (+7,4% rispetto al 2014) che ha prodotto un surplus commerciale di quasi 12 miliardi di euro.

I settori che hanno trainato l’export del Belpaese sono stati principalmente meccanica (17%), mezzi di trasporto (14%), tessile e abbigliamento (11%), agroalimentare (10%) e chimico (9%).

Il post Brexit

A seguito della vittoria del “Leave” sul “Remain” che ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea SACE ha dovuto rivedere le stime su un mercato che prima del referendum era visto in grandissima crescita: per il 2016 le perdite dovrebbero essere abbastanza contenute (circa 500 milioni di euro), ma nel 2017 l’export italiano potrebbe accusare un calo compreso tra il -3 ed il -7%.

Ancora guardando alle stime SACE i settori più colpiti saranno quelli della meccanica strumentale (tra -10 e -18%) ed automotive (tra -10 e -16%) mentre continuerà il trend positivo di alimentari e bevande (+5/6%) che nel 2017 potrebbero superare quota 3 miliardi di euro.

Ma i problemi della Brexit non sono legati soltanto all’export italiano ed infatti anche l’economia britannica subirà nel breve periodo conseguenze negative: il PIL infatti è visto in ribasso sia nel 2016 che nel 2017 dall’HM Treasury (-3,6%), mentre salirà ancora l’inflazione (+2,3%) e la disoccupazione (+1,6%).

Inoltre è prevista una diminuzione del potere d’acquisto dei consumatori a causa della diminuzione dei salari medi (-2,8%) e il debito pubblico aumenterà di circa 24 miliardi di sterline.

Uno scenario dunque non positivo a cui si aggiunge la forte svalutazione della sterlina anche se bisogna comunque sottolineare che è molto difficile stimare le reali ripercussioni della Brexit sull’economia britannica perché molto dipenderà dalle misure economiche che intraprenderà il nuovo governo.

Il mercato alimentare in UK

Secondo una ricerca del Department For Environment Food & Rural Affairs nel 2015 i consumatori britannici hanno speso circa 201 miliardi di sterline in cibo, bibite e food service.

Il Regno Unito attualmente produce poco più del 50% dei prodotti alimentari che vengono consumati, mentre il restante viene importato: tra i prodotti più richiesti troviamo frutta e verdura, carne, cereali, prodotti freschi e uova, pesce, olio e zucchero.

Il prezzo medio dei beni acquistati è sceso del 3.2% in termini reali durante il 2015, dopo un periodo di 5 anni consecutivi di costante crescita. I canali principali di distribuzione di prodotti alimentari (e la relativa quota di mercato) in Gran Bretagna sono:

  • Supermercati (48%)
  • Convenience store (21%)
  • Discount (10%)
  • Ipermercati (10%)
  • Online (6%)
  • Altri retail (5%)

E’ importante sottolineare che la distribuzione di prodotti alimentari in UK è molto concentrata nelle mani di pochi player: basti pensare che Tesco, Sainsbury’s, Asda e Morrisons detengono insieme circa il 70% della quota di mercato. C’è da dire però che sono in crescita anche i discount come Aldi e Lidl, che negli ultimi anni stanno aumentando il proprio fatturato a discapito dei “big four”.

Interessante questo grafico elaborato sulle previsioni di IGD Retail Analysis, che prevede una crescita esponenziale del canale online e dei discount tra il 2016 e il 2021.

Opportunità per il Made in Italy

Come già detto precedentemente secondo le stime SACE il settore che non dovrebbe risentire delle conseguenze negative del post Brexit è quello di alimentari e bevande in cui subiamo la concorrenza di Spagna, Irlanda, Germania, Francia e Olanda.

Nello specifico le aziende italiane nel 2015 hanno venduto circa 2,8 miliardi di euro, dato che dovrebbe essere confermato nel 2016 per poi salire del 5/6% nel 2017, superando quota 3 miliardi.

Tra i prodotti del Belpaese più importati in Gran Bretagna risaltano frutta e ortaggi (€ 700 mln), vini (€ 646 mln, con una crescita impressionante dello spumante attorno al 43%), prodotti da forno (€ 392 mln) carne (€ 228 mln) e prodotti lattiero-caseari (€ 227 mln).

Le opportunità per il Made in Italy anche in previsione futura ci sono, nonostante gli scenari non certo esaltanti del post Brexit. Tra gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione c’è sicuramente la percezione dei prodotti italiani come di nicchia e con un alto valore unitario.

Inoltre le politiche del governo volte a favorire un’alimentazione sana ed equilibrata potrebbero essere terreno fertile per i prodotti italiani di qualità, spinti a loro volta anche dai programmi televisivi con famosi chef (come Antonio Carluccio) che educano i consumatori britannici a ricercare nei prodotti valori fondamentali come autenticità e genuinità.

Permangono infine incertezze per gli scenari economici che si configureranno nei prossimi due anni a causa dell’uscita della Gran Bretagna dal libero mercato UE: molto dipenderà dai tipi di accordi internazionali che verranno stipulati nel breve periodo.

Secondo il WTO infatti c’è la possibilità di un ritorno dei dazi sul valore dei prodotti alimentari importati in UK, che potrebbe oscillare tra il 5% e il 10%. A ciò si aggiunge una previsione economica negativa per i prossimi due anni, che si rifletterà ovviamente anche sul potere d’acquisto e il livello dei consumi.

In questa particolare fase anche la svalutazione della sterlina può incidere in modo significativo sui prodotti premium come quelli italiani: diventa dunque fondamentale per le aziende esportatrici italiane avere prudenza attraverso un continuo monitoraggio del mercato e delle evoluzioni politico-economiche che riguarderanno la Gran Bretagna nei prossimi anni.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it

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