Il diritto societario cinese è regolato dalla New Company Law del 27.10.2005, in vigore dal 1.01.2006.

Innanzitutto va sottolineato che si riscontrano notevoli differenze nel modo in cui vengono disciplinate le società di capitali investite da soli cinesi, quelle a capitale interamente straniero e quelle in forma mista.

Mentre le prime due forme societarie hanno una disciplina molto simile a quelle adottate nei Paesi dell’Europa continentale la disciplina delle JV merita di essere approfondita.

La joint venture (JV) prevede un accordo di collaborazione con cui due o più imprese, pur mantenendo la propria indipendenza giuridica, collaborano per la realizzazione di un progetto di natura industriale o commerciale, che si caratterizza per l’utilizzo sinergico delle risorse portate dalle singole imprese partecipanti oltre ad un’equa suddivisione dei rischi legati all’investimento.

Le JV cinesi si differenziano in: equity joint venture (EJV) e contractual joint venture (CJV).

• La equity joint venture è una società a capitale misto, costituita almeno da un soggetto straniero (individuo o persona giuridica) e da una persona giuridica cinese (sussiste il divieto per le persone fisiche cinesi di partecipare a joint ventures sino-estere). Il partner straniero dovrà detenere una quota pari o superiore al 25% del capitale sociale. La procedura di costituzione di una EJV avviene sulla base di un contratto di joint venture concluso tra una o più parti cinesi e una o più parti straniere. Oltre al contratto dovrà essere redatto uno statuto che conterrà previsioni in merito all’oggetto sociale, alla governance, alla gestione finanziaria, al diritto di prelazione sul trasferimento delle quote, all’ammontare del capitale sociale, all’investimento totale e alla ripartizione degli utili. Il contratto di joint venture e lo statuto, così come i rispettivi accordi modificativi, sono soggetti inderogabilmente al diritto cinese e devono ottenere l’approvazione da parte del MOFCOM o dei suoi uffici periferici.

• Le contractual joint venture (CJV) possono invece essere di 2 tipologie: una “pura”, rappresentata da un semplice rapporto contrattuale tra i partner simile ad un accordo di partnership temporanea, ed una “ibrida” a metà tra una CJV pura ed una EJV che, al contrario, prevede la nascita di una persona giuridica nuova ed autonoma rispetto alle parti. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nel caso di una EJV in cui la creazione di una newco è un passaggio imprescindibile, nel caso della CJV le parti potranno limitarsi a creare una semplice “partnership” priva dello status di persona giuridica autonoma. In questo caso, tuttavia, le parti non potranno beneficiare della limitazione della responsabilità applicabile nel caso di costituzione di una società di capitali e saranno ritenute illimitatamente responsabili nei confronti dei creditori della CJV per le obbligazioni assunte da quest’ultima. La procedura di costituzione di una CJV è molto simile a quella già vista per la EJV e sarà quindi necessario stipulare un contratto tra la parte cinese e quella straniera e ottenere l’approvazione del MOFCOM (o dalle sue sedi periferiche).

Passiamo ora ad analizzare le Wholly Foreign-Owned Enterprises (WFOE) costituite nella forma di società a responsabilità limitata, interamente possedute e gestite da investitori stranieri, sono diventate la forma preferenziale di investimento.

Al fine di costituire una WFOE l’investitore dovrà presentare una domanda contenente informazioni dettagliate riguardanti l’investitore, il capitale, il settore di attività, l’impatto ambientale e altri aspetti rilevanti. È inoltre richiesta la predisposizione di ulteriori documenti, tra cui non potrà mancare uno studio di fattibilità, lo statuto e l’organigramma sociale. Tutta la documentazione deve essere presentata in lingua cinese.

Alcuni documenti possono essere predisposti in lingua inglese ma in questo caso si dovrà allegare la traduzione in lingua cinese.

Il MOFCOM (o il relativo ufficio periferico competente) si esprimerà sulla costituzione della WFOE entro 90 giorni dalla ricezione di tutta la documentazione richiesta.

Nei 30 giorni successivi all’approvazione del MOFCOM, l’impresa presenterà domanda al SAIC per la Business Licence, la cui data di emissione costituirà anche la data di costituzione della WFOE.

La neo-costituita WFOE ha poi 30 giorni di tempo per completare le ulteriori attività successive come l’apertura del conto corrente, la predisposizione dei timbri e delle fatture, la registrazione presso le autorità fiscali.

Considerando le caratteristiche descritte delle WFOE è agevole osservare come queste presentino degli indubbi vantaggi rispetto alle joint ventures.

Per prima cosa, detenere il 100% del capitale e fare a meno del partner cinese comportano un controllo maggiore e più efficace sulla gestione della società; in secondo luogo, si incontrano meno difficoltà sul versante del know-how, che resta nelle mani dell’investitore straniero.

Inoltre, redigere lo statuto e convenire i termini dell’investimento con un altro soggetto estero e in un contesto giuridico diverso da quello cinese, è molto più semplice, in termini di lingua, cultura e di tecnica giuridica ed economica. Ciò si traduce in una maggior celerità di tutto l’iter costitutivo e in un maggior controllo societario.

Si può pertanto dire che tutta la disciplina delle WFOE appare nel complesso più flessibile: anche abbandonare il progetto e sciogliere la società risulterà relativamente più facile.

Meritano un approfondimento anche la disciplina sullo scioglimento e sulla liquidazione della società. È fondamentale tenere presente un dato di partenza rilevante: costituire una società in Cina risulta effettivamente molto semplice per l’investitore straniero, ma per contro, risulta spesso impossibile uscirne.

Se consideriamo la disciplina delle JV, il fatto che lo scioglimento della società sia sottoposto al consenso incrociato del socio cinese e dell’autorità, crea spesso le condizioni per cui l’investitore straniero venga costretto, pur di poter recuperare parte del proprio investimento, a rinunciare a parte del proprio capitale investito o, addirittura, a dover cedere la propria tecnologia al partner cinese.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Valeria Gambino, redazione@exportiamo.it

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