Il settore agroalimentare italiano cresce e sono le esportazioni a spingere i fatturati delle imprese del settore. Il comparto ha fatturato ben 36,7 miliardi di euro nel 2015, registrando un consistente aumento (+7,4%) rispetto all’anno precedente.

Ma quali sono i principali Paesi di destinazione delle nostre produzioni di eccellenza?

C’è da dire che 5 Paesi europei (Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera) riescono ad assorbire, da soli, più del 50% del nostro export del settore anche se i prodotti Made in Italy vanno forte anche in altre grandi economie come Giappone, Canada, Australia e Cina.

La Germania e la Francia acquistano dal Belpaese un paniere di prodotti assai vario, gli Stati Uniti si concentrano più su vini, acque minerali e olio, agli spagnoli piace il pesce fresco mentre Grecia e Filippine comprano ingenti quantità di alimenti per animali. In Cina vanno forte latte, amidi, tè, caffè e vini, in Arabia Saudita frutti e prodotti da forno ed in Australia ci apprezzano per pasta e piatti pronti.

Come si legge da un rapporto pubblicato la scorsa estate da AIIPA – l’associazione italiana delle industrie dei prodotti alimentari - i fatturati e l’export delle sei grandi famiglie di prodotti a cui sono riconducibili le aziende associate (nutrizione e salute, caffè, surgelati, prodotti vegetali, preparazioni alimentari, prodotti alimentari) hanno mostrato tutti, chi più e chi meno, ritocchi espansivi rispetto all’anno precedente.

Anche la ripartizione dei singoli fatturati si è confermata equilibrata: prevalgono i prodotti vegetali (25,2%), seguiti dal caffè (17,9%) e dagli altri prodotti racchiusi in una forbice tra il 10% e il 17%. 

Al netto dei numeri e dei dati, che chiaramente conservano una loro importanza e hanno il merito di descrivere un trend, emerge dunque la necessità di avvicinarci di più ai nostri diretti concorrenti come Germania, Francia e Olanda che hanno una maggiore vocazione all’internazionalizzazione e che registrano fatturati nettamente superiori a quelli del Belpaese.

Non a caso, l’Italia porta all’estero solo il 20,5% del fatturato alimentare, contro il 33% della Germania e il 27% della Francia. Per riuscire a ridurre il gap con i nostri concorrenti, è però indispensabile unire le sinergie all’interno della filiera e incentivare la collaborazione e il dialogo tra imprese e istituzioni.

Occorre, quindi, valorizzare al meglio le nostre produzioni e saper sfruttare l’opportunità che ci offre la richiesta crescente nel mondo di prodotti alimentari italiani di qualità.

Tra i prodotti Made in Italy più esportati, il vino è sicuramente quello più apprezzato. Prosecco e Barolo piacciono sempre più e hanno raggiunto complessivamente un valore dell’export pari a 5,4 miliardi di euro, seguiti da pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati per 3,4 miliardi. In crescita anche le acque minerali con un +21%.

Verona è la città che esporta di più con 2,7 miliardi di euro seguita da Cuneo e Parma mentre Milano, quarta, rimane fuori dal podio.

L’obiettivo è quello di raggiungere i 50 miliardi di euro di export entro il 2020, traguardo possibile se supportato da una politica di sostegno da parte del governo nei confronti delle nostre imprese.

In attesa di capire meglio quali saranno le iniziative del governo, è necessario che tutte le aziende imparino a fare squadra, rinunciando a guardare agli interessi di parte.

Poi, c’è da debellare il fenomeno dirompente della contraffazione e dell’Italian sounding che supera i 60 miliardi di euro e che pesa notevolmente in termini di valore sulle nostre esportazioni.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Valeria Gambino, redazione@exportiamo.it

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