Negli ultimi anni si è spesso sentito parlare della forte crescita economica del Brasile, tanto che importanti istituzioni finanziare internazionali hanno classificato la sua economia tra quelle emergenti del nuovo millennio, arrivando anche a coniare un acronimo con cui identificarle: BRICS, che sta appunto per Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
In effetti il Paese, che conta oltre 200 milioni di abitanti, è grande quanto un subcontinente ed è ricco di materie prime, risorse naturali e commodities, prodotti per il quale si colloca tra i primi produttori al mondo.
Negli ultimi 10 anni, poi, sotto la presidenza Lula, il Brasile ha conosciuto un periodo fortemente espansivo le cui manifestazioni più evidenti sono stati lo svolgimento nel giro di due anni prima dei Mondiali di calcio e poi delle Olimpiadi. In realtà negli ultimi due anni il PIL si è contratto di oltre 7 punti percentuali a causa di un periodo di forte recessione dalla quale il Brasile sta cercando di uscire grazie alla riforma del sistema fiscale e previdenziale e a politiche di attrazione degli investimenti infrastrutturali.
Le nuove politiche economiche brasiliane ed il fatto che 1/3 della popolazione è di origini italiane rendono il Paese attrattivo per le imprese nostrane che, però, prima di investire in Brasile devono informarsi approfonditamente sulle condizioni che troveranno soprattutto per quello che riguarda gli aspetti doganali.
Il sistema burocratico e tributario brasiliano, infatti, è opprimente ed in alcuni casi addirittura distorsivo.
Per quanto riguarda i prodotti alimentari, ad esempio, alcune barriere che potrebbero fortemente penalizzarne l’ingresso nel Paese sono costituite dai dazi all’importazione, dalla tassazione a “cascata”, da requisiti tecnici e da controlli doganali esasperati. Tuttavia nel settore alimentare è già presente una concorrenza italiana, in alcuni casi anche ben posizionata ed affermata, ma c’è ancora spazio per l’esportazione di prodotti tradizionali e margine per influenzare le attitudini di consumo dei brasiliani.
Anche i settori tradizionali del Made in Italy (moda, calzature, arredamento) soffrono non poco l’ingresso nel mercato brasiliano dove è forte la concorrenza di prezzo dei prodotti cinesi e locali, le barriere tariffarie (dazi ed imposte), le complessità burocratiche e le recenti misure governative mirate a promuovere lo sviluppo di un’industria nazionale indipendente.
Da sottolineare, poi, che il Brasile è una Repubblica federale in cui ogni stato federato ha un proprio sistema di tassazione a cui si somma la tassazione del livello federale.
Ma quali sono nel concreto gli oneri doganali da affrontare per chi volesse approcciare il mercato brasiliano?
L’importazione di merci in Brasile è:
- non permessa per legge per alcuni specifici prodotti;
- soggetta a licenza preventiva per prodotti alimentari e cosmetici che richiedono la produzione di specifiche documentazioni da presentare a diversi organi di controllo amministrativi;
- permessa senza alcun tipo di licenza.
Ogni prodotto è classificato secondo un sistema localmente noto come NCM (Nomenclatura Comune del Mercosul), che si conforma alle normative doganali internazionali ed al Sistema Armonizzato e che serve a determinare il dazio, le imposte e le specifiche procedure di sdoganamento.
I Paesi membri del Mercosul (a vario titolo Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Venezuela, Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador, Perù, Messico e Nuova Zelanda) applicano una Tariffa Esterna Comune (TEC) alle importazioni extra-area che oscilla tra lo 0 ed il 35% e che può essere transitoriamente aumentata senza, però, superare i limiti imposti dal WTO. Ovviamente la circolazione delle merci tra gli Stati membri non subisce alcuna imposizione fiscale.
L’operazione di importazione, la richiesta di licenza e/o di particolari documentazioni è effettuata direttamente dall’impresa interessata attraverso una procedura telematica accedendo al sistema SISCOMEX (è necessario che l’impresa possegga il permesso di importazione RADAR).
La burocrazia brasiliana rende, in genere, molto complesso l’adempimento delle normative fiscali e delle procedure doganali che possono variare in base al tipo di prodotto esportato, all’esistenza di un prodotto similare in Brasile, alle modalità di trasporto scelte (aereo, marittimo o terrestre) ed al paese di origine delle merci.
Le imposte dovute vengono calcolate in base al valore della merce ed incidono:
- per l’1,65% circa per l’imposta di importazione (II), l’Imposta sui Prodotti Industrializzati (IPI), e quella per il Programma di Integrazione Sociale;
- per il 7,6% circa per il Contributo per il Finanziamento della Sicurezza Sociale;
- per una percentuale variabile a seconda dello stato federato che la applica, per l’Imposta sulla Circolazione di Merci e Servizi (ICMS).
A seconda dei casi alcune di queste imposte possono essere recuperate in tutto o in parte.
La Risoluzione del Senato Federale Brasiliano n. 13/2012 ha, inoltre, stabilito un’aliquota del 4% dell’ICMS da applicare alle operazioni di scambio merci tra stati federati nei casi in cui la merce venga importata da uno stato (che applica la propria aliquota) e successivamente venduta in un altro stato (che applica appunto l’aliquota del 4% generando un credito di imposta da scaricare sui consumatori).
Soggette a tale aliquota sono quelle merci che non abbiano subito processi industriali in Brasile o che siano composte da prodotti importati per più del 40%.
Spedizioniere, tasse di consolidamento partita/merce, immagazzinaggio, sindacati, addizionali al trasporto della Marina Mercantile e trasporto fino all’importatore sono ulteriori costi da considerare e che gravano sul totale dell’operazione di importazione tra il 5 ed il 10%.
Un ulteriore fattore critico da considerare è la non completa armonizzazione tra i sistemi di regolazione interna tra Stati.
Oltre a quelle tariffarie, esistono anche barriere non tariffarie come ad esempio il possesso di requisiti tecnici, sanitari, ambientali, di lavoro, restrizioni quantitative, quote, prezzi minimi, ecc.
In Brasile è consentita l’importazione temporanea di merci, linee di produzione e macchinari usati ed esistono anche dei regimi speciali (come ad esempio la zona franca di Manaus e dell’Amazzonia Occidentale), ma la complessità che regola questi casi particolari consiglia di contattare la Camera di Commercio Italiana competente per territorio.
Per chi volesse investire direttamente avviando un’impresa sul territorio brasiliano il peso fiscale può variare considerevolmente a seconda di fatturato, dimensione dell’impresa, settore di attività e posizione geografica: in media, tuttavia, la pressione fiscale è di circa il 40%.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it
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