Proprio oggi, dopo circa dieci mesi di stallo politico, Mariano Rajoy dovrebbe ricevere l’incarico di formare un nuovo governo conservatore. Il nuovo esecutivo, che nascerà grazie all’astensione dei socialisti, sarà un esecutivo di minoranza e per questo sarà costretto a negoziare, provvedimento per provvedimento, ogni passaggio in Parlamento. Ma in questi mesi senza guida l’economia spagnola non sembra avere accusato il colpo, anzi.

Economia

La Spagna conta una popolazione di 46,4 milioni di persone ed un PIL pari a 1.615,1 milioni di euro. Il reddito procapite è di 23.700 € (cresciuto del 3,5% nell’ultimo anno) e la popolazione ricca (quella con un reddito annuo di almeno 15 mila euro) consta di 27,8 milioni di individui. Nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano, la Spagna occupa il 26esimo posto su 188 paesi.

La situazione economica spagnola è sensibilmente migliorata nell’ultimo biennio, nel quale è stata l’economia con le migliori performance dell’area UE. Secondo i dati diffusi dalla Confederazione Spagnola delle imprese, infatti, nel 2015 il PIL spagnolo ha fatto un balzo del 3,2% (miglior dato dal 2007), sul quale hanno influito positivamente diversi fattori: bassi tassi di interesse, un’efficace riforma fiscale, la caduta del prezzo del petrolio ed il deprezzamento dell’euro.

Il trend positivo, sebbene assestato su valori inferiori, proseguirà nel 2016 e nel 2017.

Altro dato positivo è quello che riguarda i consumi, aumentati di ben il 3% e che continueranno a crescere anche nel 2016 (sebbene a ritmo inferiore). In particolare, la decelerazione dei consumi privati è da attribuire ad una scarsa dinamicità del mercato del lavoro (nonostante il riassorbimento di importanti quote di disoccupati), il calo delle borse e della fiducia dei consumatori e le tensioni politiche che interessano il paese da ormai due anni. Nel 2015, infatti, si sono svolte ben due consultazioni politiche, senza che nessun partito riuscisse ad ottenere la maggioranza per governare.

Nonostante mesi di trattative il governo Rajoy è rimasto in carica, in questo arco di tempo, quasi esclusivamente per gli affari ordinari. Il Parlamento spagnolo che, fino a due anni fa, era polarizzato attorno a due principali partiti è ora frammentato tra quattro diverse formazioni (Partito Popolare, PSOE, Podemos e Ciudadanos). Inoltre, nell’ultimo anno si sono riaccese le tensioni tra il Governo centrale ed il Governo catalano che continua ad insistere con le proprie velleità indipendentiste.

Tali tensioni hanno inevitabilmente influito sul cosiddetto business climate e sulla fiducia delle imprese dal momento che quella catalana è la prima comunità autonoma stagnola per popolazione e la seconda per PIL. Altro fattore di incertezza politica è quello legato alla sempre più accentuata indipendenza delle comunità autonome locali spintasi a tal punto da essere più nociva che utile sia a causa del peso sul bilancio dello stato che a causa del forte nepotismo che mina l’efficenza burocratica ed amministrativa.

Al momento, però, le tensioni politiche sembrano non aver inciso in maniera determinate sui dati macroeconomici: l’inflazione nel 2015 si è attestata allo 0,5% (grazie all’andamento dei prezzi dell’energia ed alla caduta del prezzo del petrolio), l’indice dei prezzi al consumo è bloccato allo 0,0% (le previsioni per il 2016 oscillano tra lo 0,0% e l’1,3%), il deficit pubblico si è attestato al -4,5% del PIL (l’obiettivo concordato con la UE era del -4,2%) mentre la disoccupazione è calata al 20,9% e secondo le previsioni si ridurrà ancora arrivando al 18% nel 2017.

Sono, inoltre, aumentati gli investimenti in macchinari ed attrezzature e per il settore edilizio, le esportazioni (+ 5,4%) e le importazioni (+7,5%); sono, invece, diminuiti gli investimenti finanziari in conseguenza dell’incerta situazione politica.

Commercio con l’estero

Ricordiamo innanzitutto che la Spagna (nome ufficiale Regno di Spagna) è una monarchia parlamentare, membro della UE dal 1986. Sebbene il suo territorio sia completamente situato in Europa (occupa l’84,5% della penisola iberica) i suoi confini politici si estendono fino al continente africano dove confina con il Marocco tramite le città autonome di Ceuta e Melilla, sue enclavi, spesso balzate agli onori della cronaca per vicende legate all’immigrazione clandestina (che la Spagna cerca di contrastare con due barriere erette alla fine degli anni ’90).

In quanto membro dell’Unione Europea, la Spagna aderisce al mercato comune europeo e consente, dunque, la libera circolazione delle merci attraverso l’eliminazione dei dazi doganali e di tutte le barriere fisiche e tecniche nei confronti degli altri Paesi membri. Esportare in Spagna non richiede, quindi, particolari adempimenti alle imprese italiane che devono occuparsi esclusivamente di tutte le operazioni connesse alla semplice spedizione delle merci.

Tra le esportazioni spagnole la quota maggiore è detenuta dai beni strumentali (20% del totale), seguiti da automobili (+19% sull’anno prima), alimenti, bibite, tabacco e prodotti chimici (14,4% del totale).

L’Italia è il quarto paese fornitore della Spagna con una quota del 6% del totale; i primi tre posti sono occupati rispettivamente da Germania (12,2%), Francia (11,7%) e Cina (7,5%). Il nostro Paese spedisce in Spagna perlopiù macchinari ed attrezzature, autoveicoli e rimorchi e prodotti chimici tutti in crescita seppur leggera rispetto ai due anni precedenti.

Secondo dati SACE, l’export italiano ha ancora un ottimo margine di crescita nella penisola iberica e si stima che nel 2019 raggiungerà i 5,1 miliardi di euro. La crescita dell’export nostrano è stata costante dal 2014 segnando un incremento record nel 2015 quando è aumentato addirittura del 10,1%.

Tra i maggiori settori di opportunità per le imprese italiane SACE indica la meccanica strumentale, i mezzi di trasporto, l’elettronica, la chimica, l’automotive, la componentistica e la farmaceutica. Il tempo medio per la registrazione di un’impresa in Spagna è di circa 82 giorni (contro i 50 dell’Italia), mentre l’indice di corruzione percepita vede la Spagna al 36esimo posto su 175 paesi (l’Italia è al 61esimo posto).

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it

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