“Crescita inclusiva e sostenibile”: con queste parole i leader del G20 ed i media internazionali hanno salutato la chiusura dei lavori al vertice internazionale di Hangzhou.
Crescita da ottenere attraverso riforme ed innovazione ed impegnandosi a contrastare protezionismo e dumping: “Abbiamo deciso di sostenere il meccanismo degli scambi multilaterale e di opporci al protezionismo” ha affermato Xi Jinping, padrone di casa e presidente della Repubblica Popolare Cinese, il quale tuttavia, non ha indicato misure specifiche che il G20 potrebbe adottare per favorire la liberalizzazione dei commerci.
Addio, dunque, (almeno nelle intenzioni) alle politiche fiscali e monetarie sin qui adottate ed incapaci di portare ad un rilancio dell’economia globale.
Non sembra esattamente dello stesso parere Christine Lagarde, direttore generale del FMI che dal 1 ottobre ammetterà ufficialmente lo yuan tra le monete di riserva, e che ha dichiarato: “tutti concordano sulla necessità di utilizzare pienamente tutte le leve di policy a disposizione, ovvero la leva monetaria, quella fiscale e quella delle riforme strutturali, sia a livello individuale che collettivo”. Un mix, insomma, delle due visioni del mondo che evidenzia come, in totale sinergia con la cultura cinese del mediare, questo vertice sia servito a trovare un’intesa di massima lasciando poi ai rapporti bilaterali le questioni più spinose.
Hangzhou è anche la città dove è nato Alibaba, colosso mondiale dell’e-commerce (competitor di Amazon); e non c’è forse immagine migliore per rappresentare in maniera plastica due superpotenze (USA e Cina) che si guardano in cagnesco, ma che in fondo hanno bisogno una dell’altra in un mondo globalizzato e fortemente interconnesso come quello attuale.
La crisi, però, ha messo in luce tutte le deformazioni della globalizzazione ed i leader del G20 si sono trovati perciò d’accordo sulla necessità di un ripensamento della stessa che porti ad una crescita sostenibile e condivisa, basata sul partenariato pubblico-privato e con orizzonti di investimento di lungo periodo. Su questo punto le dichiarazioni di Xi Jinping e Christine Lagarde sembrano coincidere in maniera totale (seppur con differenze lessicali dovute al differente background culturale dei due): “La crescita è per i popoli, deve essere raggiunta dai popoli, deve essere distribuita tra i popoli”, ha dichiarato il Presidente Cinese; “La crescita è stata troppo bassa e troppo a lungo è andata a vantaggio di troppo pochi”, gli ha fatto eco Christine Lagarde.
Sembra, dunque, centrato il duplice obiettivo cinese: da una parte quello di ottenere una condivisione politicamente impegnativa dei leader mondiali sull’obiettivo della crescita sostenibile e dall’altra quello di porsi non come seconda economia mondiale, ma come leader dei Paesi in via di sviluppo per i quali la Cina rappresenta un modello da imitare per la sua capacità di uscire in pochi anni da una situazione di povertà.
Nel primo caso si parla di “Hangzhou Consensus”, messo nero su bianco nei 47 punti del comunicato di chiusura del summit e che indicano tutti gli aspetti su cui lavorare per raggiugere gli obiettivi dello sviluppo e della cooperazione allo sviluppo.
Nel secondo, invece, di Global Governance, vero e proprio pallino del presidente cinese e sul quale non mollerà la presa: ottenere maggior peso per i Paesi in via di sviluppo (e chiaramente per il proprio Paese) all’interno degli organismi internazionali. La Cina infatti è di gran lunga sottorappresentata come nel caso, ad esempio, del capitale del Fondo monetario Internazionale dove l’aggiustamento delle quote - approvato nel 2010 e che riconosce il maggior peso globale di Pechino e di altre economie emergenti - è tuttora bloccato dal Congresso degli Stati Uniti, che hanno potere di veto.
Uno stallo che limita la rappresentatività all’interno del FMI e che Pechino potrebbe aggirare creando proprie istituzioni come già fatto con la creazione della Banca per le Infrastrutture (Aiib), che di fatto supplisce agli interventi della Banca mondiale, dove pure l’aumento della quota cinese e degli altri emergenti è bloccato dal Congresso Usa.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it
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